Il Messaggero, 19 ottobre 2022
L’addio al tennis di Andreas Seppi. Intervista
Andreas Seppi, è sorpreso di tanto affetto del tennis per il suo addio?
«Mi ha fatto enormemente piacere, soprattutto da parte di tanti colleghi, il messaggio comune è che sono stato d’esempio».
Per lei comportarsi bene è naturale.
«E’ vero: non ho fatto sforzi, sono stato cresciuto con questi valori dai miei genitori. E vorrei dare gli stessi insegnamenti ai miei figli anche se oggi l’influenza dei social e di tante informazioni on line rendono tutto più difficile».
Ha avuto anche un secondo papà: coach Massimo Sartori.
«Dagli 11 anni sono stato più tempo assieme a lui che col mio vero papà, pure Max mi ha trasmesso tanti valori anche fuori del campo e abbiamo una relazione molto forte».
Ce l’ha anche con Jannik Sinner che ha fatto una strada simile, dai monti a Sartori, a Riccardo Piatti.
«All’inizio per Jannik sono stato d’ispirazione: venivamo della stessa zona e siamo diventati tennisti professionisti. Lui ha già fatto tanto di più, più di chiunque altro nel nostro sport in Italia a così giovane età. E’ sempre difficile da dire, ma per me può diventare numero 1 del mondo. Quest’anno è stato solo sfortunato con gli infortuni, sennò era stabile top ten».
Chi avrebbe mai detto invece che Seppi sarebbe diventato numero 18 del mondo?
«Per fortuna non c’è solo dritto, rovescio e servizio, io avevo altre qualità: ho sempre creduto di poter arrivare, mi sono allenato tanto, ho guardato tante partite per capire e in campo avevo l’intelligenza per trovare le soluzioni. Poi ho anche trovato specialisti come Daribor Sirola e Massimiliano Pinducciu, che ha usato il suo sistema per fare il lavoro fisico giusto, anche di prevenzione».
Qual è il risultato di cui va più orgoglioso, come tennista?
«La longevità della carriera, i 18 anni fra i top 100, perché poi tutto era migliorabile: i 3 titoli su 3 superfici diverse, le 66 partecipazioni di fila negli Slam, le vittorie, ma stare per tanto tempo a quel livello è la cosa più importante. Anche perché non avevo un colpo incredibile ma non avevo debolezze evidenti, e giocando più vicino alla riga di fondo anticipavo la palla e dettavo il gioco con quello che avevo».
Seppi era sempre il più pacato, il più calmo, il più freddo degli azzurri.
«Sapevo che se avessi continuato a fare le cose per bene in allenamento sarei tornato in forma e in fiducia».
Dieci anni fa a Roma, contro Wawrinka, si sciolse davanti al pubblico del Foro.
«Fu una settimana speciale, l’atmosfera più bella di sempre: i sei match point che salvai contro Wawrinka li fanno ancora rivedere. Quelle sensazioni sono state anche più forti di altre di coppa Davis, che pure sono state forti».
Più forti delle vittorie su Federer e Nadal?
«Con tutto il rispetto per gli altri che l’hanno superato come Slam, Roger per me resterà inarrivabile come classe, batterlo in uno Slam mi lasciò la sensazione della partita perfetta».
Quegli Australian Open 2015 furono anche il rimpianto più grosso negli Slam.
«Vinsi con Roger al terzo turno e negli ottavi persi con Kyrgios da 2 set a zero e con match point al quarto. Mi fece molto male. Poi non sono più andato più avanti del quarto turno nei Majors anche perché all’epoca con Federer, Nadal, Djokovic, Murray, più Wawrinka, del Potro che ho incrociato io non era facile. Era bello affrontare quei giocatori così forti ma oggi vedi anche un Carreno Busta che vince un 1000 sul cemento».
Se fosse nato qualche anno dopo oggi vivrebbe il Rinascimento italiano.
«Ecco, un po’ mi dispiace, però tanti mi hanno detto che un po’ è anche merito mio e di Fabio Fognini se oggi ci sono tanti giocatori e alla fine ci ho creduto. Questa squadra può anche vincere la Davis. L’ambiente è cambiato, è migliorato anche grazie ai tanti maestri che si scambiano informazioni e crescono insigne come Santopadre-Berrettini, Gipo Arbino-Sonego, Tartarini-Musetti, Piatti-Sinner».
Fra i problemi all’anca e i 38 anni, da un anno non è più competitivo, però si è arrabbiato per la mancata wild card a Firenze e Napoli che è andata ai giovani come succedeva a lei a quell’età. E il capitano di Davis, Volandri, le propone di diventare allenatore FIT.
«In Spagna hanno dato la wild card a Robredo che non giocava da 3 anni, è una consuetudine salutare così un giocatore di casa che si ritira. Un giorno, allenare mi piacerebbe, anche come nuovo sfida con me stesso, non andrei però mai in giro 30 settimane l’anno, l’ho promesso alla mia famiglia. Al momento mi vedo nel mio ranch in Colorado dove c’è un campo da tennis, e dove i miei figli se vorranno potranno giocare».