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 2022  ottobre 18 Martedì calendario

Intervista a Clint Eastwood

È un bellissimo vecchio, il volto incorniciato in una ragnatela di rughe. Clint Eastwood quando incontrò Sergio Leone aveva 33 anni, era all’inizio della carriera: «Lavoravo in tv». La sua è una delle tante voci dello splendido documentario Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America, scritto e diretto da Francesco Zippel, nelle sale dal 20 dopo l’anteprima a Venezia, prodotto da Sky e Leone Film Group.
Risponde a tutto tranne che a una domanda, argomento di cui si parla nel filmato: perché C’era una volta in America non fu capito in USA, ne tagliarono un’ora? Leone non volle mai vedere quella versione. Parlando con Clint Eastwood, 92 anni, è inevitabile ripensare al poncho e alla colt nella fondina. «Sono girate tante leggende, a un certo punto dissero che li avevo conservati in casa, sotto una teca di cristallo…Ho restituito tutto al dipartimento dei costumi dei film di Sergio».
Il vostro primo incontro?
«Appena atterrato in Italia. Non c’ero mai stato prima. Una magnifica interprete ci aiutò nella comunicazione perché all’epoca io non parlavo una parola d’italiano e Sergio non parlava una parola d’inglese. Ci capivamo a gesti. Abbiamo parlato di cinema, ho incontrato la sua famiglia. Ma eravamo concentrati sul film. Non potevo sapere che, al pari di Don Siegel, sarebbe stato l’uomo che più mi avrebbe influenzato come regista. Mi ha fatto amare l’ironia e l’amore per i paesaggi».
Come reagì il pubblico USA al western all’italiana?
«Scorsese nel documentario dice che all’inizio ne fu irritato perché non riusciva a capirlo, a prendere le misure…C’erano dei tabù, penso che solo il jazz e il western sono forme d’arte veramente americane. In effetti nell’ambiente ognuno diceva che era un genere compiuto e non si poteva aggiungere altro. Ma era entrato in una zona opaca, manierata. Ci fu un cambio di prospettiva e gli spaghetti western (la favolizzazione di un mito a voi estraneo), furono considerati una rinascita».
C’è un tempo sospeso nei film di Leone.
«Ecco, questa novità che in un western possa non succedere nulla fu una cosa rivoluzionaria. Quei film fanno parte della storia del cinema, sembrano girati oggi, non sembrano vecchi, datati. Il documentario mi è molto piaciuto, mi ha fatto scoprire nuovi elementi di un uomo che credevo di conoscere».
Lei, dopo la trilogia…
«Vengo al punto, sta per chiedermi perché non accettai C’era una volta il West. Ho sempre cercato di fare cose nuove, ed era venuto il tempo di provare qualcosa di diverso, e di parlare la mia lingua. Con Sergio non ci siamo separati, abbiamo preso filosoficamente strade diverse. I miei sono set molto diversi dai suoi, giro velocemente pochi ciak. Non dico nemmeno azione, motore; dico, ragazzi se siete pronti partite. Io mi indirizzavo verso storie più personali, lui amava la spettacolarità, le esplosioni sui treni, i soldati sulle colline».
Quale episodio ricorda?
«Beh, la scena del ponte che esplode in Il buono, il brutto e il cattivo. I tecnici spagnoli sbagliarono i tempi dell’innesco della miccia e Leone sbucò fuori imprecando, gli occhi iniettati di sangue. Era furibondo. Il ponte si dovette ricostruire. E poi i set erano pieni di comparse spagnole e tzigane con i mantelli, le divise, le pistole, se lei avesse chiesto loro di cosa parlassero quei film, non avrebbero saputo rispondere».
Ennio Morricone?
«Nessuno ha usato la musica come lui, cambia lo stile, l’approccio, le sue melodie sembra che aggiungano frasi alle sceneggiature, sono suoni che parlano. Un sacco di trombe e poi bum, i cavalli nitriscono. È una musica operistica che esalta la violenza e le sparatorie. Ennio è stato uno splendido compositore, ha vinto due Oscar, uno glielo consegnai io».
Leone non ne vinse.
«Beh, tanti buoni film meritavano di vincerlo e sono rimasti a bocca asciutta, e vale il ragionamento contrario. Talvolta non dipende dalla qualità del film. Di Sergio ricordo le parole che mi hanno fatto diventare un attore migliore: tieniti stretta la fantasia, l’immaginazione dei bambini».
L’uomo senza nome, come si chiamava il suo personaggio, è un eroe?
«Eroe è chi fa cose utili per la società, io la vedo così».
Cosa ama?
«Il golf, il jazz e i sigari cubani. Ma ora cerco di evitarli».