Corriere della Sera, 18 ottobre 2022
Mosca mette fine alla mobilitazione. Nella capitale obiettivi raggiunti
«Stimati moscoviti». La mobilitazione parziale è finita, almeno e per ora soltanto nella capitale. Non nei prossimi giorni, ma da subito. Il messaggio del sindaco Sergey Sobjanin è stato pubblicato a mezzogiorno. La chiusura di tutti i centri di reclutamento era prevista per le 14, appena due ore dopo. Una tempistica che colpisce. «Gli obiettivi sono stati raggiunti».
Le cartoline di precetto inviate a domicilio nel corso della mobilitazione «cessano con effetto immediato la loro validità». La notizia ha una sua importanza, che va ben oltre i numeri striminziti. La sconfinata area metropolitana di Mosca era stata trattata bene dal decreto attuativo del ministero della Difesa che regolava la questione. Sono partiti per il fronte solo 32.000 persone, l’un per cento scarso dei residenti idonei. E molte delle esenzioni sembravano concepite per tenere a bada gli umori degli abitanti delle grandi città.
Mosca decide, la Russia segue. Spesso non è solo un proverbio. Appena tre giorni fa, al termine del vertice di Astana, Vladimir Putin l’aveva anticipato. Questo lavoro sta per finire, tra due settimane tutto sarà concluso, aveva detto. Il presidente non aveva negato i problemi. «C’è stata grande confusione, legata ai vecchi registri di immatricolazione, che non sono stati aggiornati per decenni». La capitale è anche la zona più colpita dalla fuga delle persone che hanno lasciato il Paese per evitare l’arruolamento. Emigrazione esterna, ma anche interna. Migliaia di moscoviti sono scappati nelle dacie dei contadini, cercando di far perdere le loro tracce nello sconfinato territorio russo. Con l’annullamento di ogni cartolina di precetto, l’amministrazione di Mosca, e il Cremlino, stanno in qualche modo dicendo di tornare indietro, che tutto è perdonato.
A patto di fidarsi, dettaglio non scontato. Pavel Chikov, noto avvocato e presidente dell’associazione Agorà, mette in guardia. «La cessazione della mobilitazione non viene regolata da atti normativi. Le autorità delle regioni della Russia assecondano il suo svolgimento senza detenere alcun potere per dichiararla conclusa. Quindi le lettere di convocazione non perdono validità in relazione alla dichiarazione del sindaco di Mosca».
I sospetti
L’annuncio è del sindaco della capitale Ma c’è chi mette in guardia: non è legge
Sergey Sobjanin, segnarsi questo nome. Forse non è casuale il fatto che è stato lui a comunicare una novità gradita alla maggioranza del Paese. Sessantaquattro anni, due lauree in ingegneria e giurisprudenza, ha fatto carriera amministrativa nella nativa regione petrolifera di Tjumen. Poi è stato chiamato a Mosca a dirigere l’amministrazione presidenziale del secondo mandato di Putin, che lo volle con sé al governo durante la staffetta con Dmitry Medvedev.
Dall’ottobre 2010 è sindaco di Mosca, rieletto l’ultima volta nel 2018 con il settanta per cento dei voti. Il vero fedelissimo del presidente. Per molti analisti è tra i favoriti a una eventuale successione. Il suo punto debole è l’assenza di legami con i Siloviki, gli uomini della forza che lavorano negli apparati di sicurezza. Ma è anche considerato la figura ideale per normalizzare le relazioni della Russia con il mondo esterno.
Come sempre, dipende da chi vincerà tra le due fazioni. E da cosa deciderà Putin, naturalmente.