la Repubblica, 18 ottobre 2022
Anche Ganna ha bisogno di riposo. Intervista
Una settimana di Ganna.
«Immaginate di correre prima una maratona e solo qualche giorno più tardi i 5000 metri, e di fare due record mondiali» ha detto il ct azzurro Marco Villa dopo il primato nell’inseguimento individuale, sei giorni dopo il record dell’ora.
Immaginate un ragazzo di 26 anni e quello che aveva dentro: un investimento complessivo da 400 mila euro che dipende tutto dalle tue gambe, e poi le scorie di una stagione deludente e un paese intero, a corto di campioni in bicicletta, che ti chiede miracoli. Filippo Ganna ha sempre risposto presente e sulla sua bici spaziale, made in Italy, è volato sulla luna. Ora che tutto è alle spalle, è tempo degli ultimi brindisi – una birra in compagnia degli altri azzurri dopo il grande Mondiale su pista, a Saint Quentin en Yvelines, 4 ori e 3 argenti – e di programmare il mitico “novembre del corridore”. L’unico mese di vacanza per i forzati della strada. E della pista, nel caso di Pippo.
Ora che lei è detentore di tre record mondiali, l’ora, l’inseguimento a squadre e quello individuale, può scegliere: a quale dei tre è più legato?
«L’inseguimento a squadre l’abbiamo ottenuto a Tokyo e con quello abbiamo vinto l’oro olimpico.
Il fatto di averlo centrato in gruppo, con i miei compagni, gli dà un valore speciale, inarrivabile. In quello c’era tutta la passione che ci abbiamo messo, il lavoro di mesi nel cercare i meccanismi, errori e ripetizioni continue, finché tutto non è andato come doveva andare. Ed è successo quella volta più di ogni altra volta, e proprio quando valeva di più».
Il più complicato, rischioso, snervante?
«Il record dell’ora perché si portava dietro mesi di lavoro, di aspettative, di paure, tanta fatica, ma anche tanto entusiasmo, tanta voglia di arrivare lontano».
Il paradosso è quello di andare molto lontano, di coprire 56,792 km, senza mai muoversi dagli stessi 250 metri di pista. Percorsi oltre 200 volte. Quando lo tentò, Miguel Indurain chiese di avere davanti e accanto una sagoma che si muoveva alla sua velocità, per non sentirsi solo.
«Ci vogliono testa e gambe in pari proporzioni, 50% testa, 50% gambe.
Tenersi dentro quel dolore e andare oltre, oltre e oltre. Non lo farò più.
Non prima di dieci anni almeno. È uno sforzo che non si dimentica facilmente».
Dopo la vittoria mondiale nell’inseguimento, arrivata nella finale tutta azzurra contro Jonathan Milan, ha fatto un gesto di liberazione, quasi di stizza. Cosa c’era lì dentro?
«Ho ripensato in quell’attimo all’annata, agli obiettivi che avevo e non ho centrato o per sfortuna, come la crono del Tour, o perché ho trovato altri che andavano di più. Mi sono portato dentro il rammarico di non essere stato competitivo nel momento in cui sentivo di starebene. Quando le gambe non girano, provo sempre una forma di rabbia verso me stesso. Il giorno dell’inseguimento mi sentivo vuoto, con la schiena a pezzi. La squadra mi ha voluto dentro, me l’hanno chiesto i compagni».
Ha sentito tutti contro, in certi momenti, quest’anno?
«Le persone che mi aiutano davvero nei momenti bui sono quelle che contano davvero per me. A Grenchen avevo tutti i miei cari vicini. La cosa più bella in assoluto nella vita è sapere che le persone care sono fiere di te».
Il grande risultato di squadra dell’Italia al Mondiale su pista ha fatto dimenticare per un attimo i problemi strutturali del nostro Paese: in tutta la penisola abbiamo un solo velodromo coperto, quello di Montichiari. Spera che i suoi successi possano riportare al centro del dibattito l’importanza della pista?
«Sarebbe molto importante e belloavere qualche velodromo coperto in più. Non solo per noi, utenti di élite, ma per la base soprattutto, per tutto il movimento in senso generale».
Fausto Pinarello ha raccontato del vostro primo incontro, in azienda, a Treviso: lei aveva 17 anni, c’era anche Davide Cassani: “Fausto” disse l’ex ct, “questo è uno forte”.
«La mia prima bici da pista arrivò quel giorno. Ho iniziato a girare nel velodromo Francone di San Francesco al Campo, in provincia di Torino. In cemento, una pista lunga 400 metri, all’aperto, intorno a un campo da calcio. A due ore da Vignone, da casa mia».
Ne è passata di strada sotto le sue ruote.
«Ma adesso basta, non toccherò più la bici per tanti giorni. Non so ancora dove andrò in vacanza, ma di sicuro non salirò più su una bici fino al primo ritiro con la Ineos, a Nizza. Ci rivediamo a dicembre».