Il Messaggero, 18 ottobre 2022
Il gran ritorno di Letta il tessitore
«A questo punto, serve Zio Gianni». Marina e Piersilvio hanno il fiuto per le situazioni non facili e quando sentono che serve un gioco delicato, una trama sapiente e un surplus di diplomazia sono i primi – e questa volta è stato di nuovo così, con in più la sponda di Confalonieri: «Gianni è una mano santa» – a invocare l’aiuto di Letta. Che puntualmente arriva in favore di Berlusconi, ma non solo per una lealtà e per un affetto di tipo personale, quanto anche per una fedeltà dell’Eminenza Azzurrina al buon funzionamento delle istituzioni, alla stabilità di governo, anche di un governo che ancora non c’è, che è condizione indispensabile per mandare avanti il Paese. La «mano santa» di «Zio Gianni» c’è anche nella ricucitura tra Silvio e Giorgia di questi giorni, fino all’incontro di ieri. Non è vero che quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. Nel caso di Letta è vero l’opposto: quando il quadro si guasta occorre la pennellata leggera ma sostanziosa di un civil servant che è l’incarnazione post-andreottiana dell’arte del compromesso. Nelle telefonate tra i pontieri azzurri e meloniani in queste ore è nata per Letta una nuova definizione che non è nuova affatto: «Il Ministro dell’Armonia». Era la proverbiale definizione coniata per Tatarella, e anche se Letta non sarà ministro e mai lo è stato questo non conta perché egli nel centrodestra conta, quando ha agibilità di campo, ben più di un ministro.LA SPOLA Eccolo in questi giorni fare spola tra Villa San Martino e Villa Grande, rispondere alle telefonate di tutti quelli che vogliono la pax melonian-berlusconiana e sono tanti e disseminati non solo nella politica ma anche nella macchina statale che farà da supporto al nuovo governo e in cui Zio Gianni ha tanti ammiratori, allievi e adepti, preparare il faccia a faccia di via della Scrofa dove – al contrario che nella visita a suo tempo del Cav al Nazareno – Letta non è andato sia perché l’incontro è voluto essere rigorosamente a due, anche se La Russa si è affacciato – sia perché la sua presenza avrebbe potuto generare qualche gelosia nel partito azzurro. Il fatto è che Letta ha rapporti continui e in certi casi quotidiani con gli uomini più vicini a Giorgia, da Crosetto a Fitto, e non solo perché sono stati ministri quando lui era sottosegretario alla presidenza del consiglio ma anche perché con Gianni parlano la stessa lingua che è quella della politica. Per non dire del rapporto tra Gianni e Meloni. Si sviluppò appunto quando lui era a Palazzo Chigi con Berlusconi e lei ministro della Gioventù dello stesso governo. Come tutti, tranne i leghisti e Tremonti, tutti facevano capo a Letta per consigli e problemi da risolvere. E Giorgia si è sempre molto fidata di lui. Poi un filo di rapporto tra i due è rimasto, e «negli ultimi due anni – narrano i big di FdI – Gianni ha seguito passo passo, e con interesse, la crescita della leadership di Giorgia, ne ha capito fino in fondo le potenzialità». A molti di quelli che lo chiamano in queste ore, Letta non risponde al telefono. E quando Gianni tace, vuol dire che sta operando. E lo sta facendo alla maniera sua, che è quella di uno Stradivari del potere. «Quando c’è Letta di mezzo – assicura Gianfranco Rotondi, che conosce benissimo lui, il Cav e Giorgia – scoppia la pace e questa sarà una pace duratura». La durata si vedrà ma intanto, dicono tutti quelli che vogliono bene al Cav, «sta evitando che Silvio vada a sbattere». Lui e Meloni sono romani, e questo facilita il buon rapporto tra i due. Entrambi hanno un senso della politica che li unisce e che è l’unico strumento, come sa bene anche il Cav quando non esagera nel suo berlusconismo, per realizzare le cose.