La Stampa, 17 ottobre 2022
Un mondo diviso in quattro
Per il benpensante italiano la guerra ucraina è un’aberrazione. Deve finire il più presto possibile, importa abbastanza poco come. Il Ritorno degli Imperi gli produrrà un elettroshock. Maurizio Molinari spiega che l’invasione russa dell’Ucraina è la nuova normalità. Non nel senso che il mondo si avvii verso una guerra o delle guerre permanenti, ma perché negli equilibri politici, economici, tecnologici – e militari – sono venuti meno i freni sistemici alla conflittualità fra grandi protagonisti. La guerra russo-ucraina è la spia di questo nuovo assetto.
Molinari ne individua quattro che chiama “imperi reali o potenziali": Russia, Unione Europea, Stati Uniti, Cina popolare. Accanto a loro ruotano la non doma Jihad, la Turchia neottomana di Recep Tayyip Erdogan, il “resto”, Sud del mondo conteso, a cominciare dall’India. Si può discutere sul termine imperi, che definisce in base alla «volontà o capacità di estendere il controllo su un’area assai più vasta dei confini» ma non sul concetto. Sono quattro placche tettoniche geopolitiche in movimento, quindi a rischio di faglie profonde. L’Ucraina si è trovata sul ciglio della faglia fra Russia e Unione Europea. L’indipendenza ucraina si scontrava con le ambizioni nazional-imperiali russe. Ed è stata guerra. Dalla quale Molinari risale a quanto rivela del «ritorno degli imperi destinato a segnare gli anni che verranno». Arriva alla geopolitica dall’acuta osservazione della cronaca. Nota profonde differenze nelle molle che muovono i quattro imperi. La discriminante di fondo fra autocrazie e democrazie avvicina Russia e Cina, americani ed europei. Ma, all’interno dei due campi, le visioni non coincidono. Soprattutto in quello autocratico. La Russia persegue un doppio disegno imperiale, di rivendicazioni territoriali ottocentesche in Europa e di mobilitazione antioccidentale novecentesca nel mondo. Gli obiettivi della Cina di Xi Jinping sono ancora più ambiziosi. La Russia si contrappone all’Occidente; la Cina vuole circondarlo. Pechino mira alla supremazia mondiale, puntando a superare gli Stati Uniti in capacità economiche, penetrazione e infrastrutture commerciali, alta tecnologia e innovazione – l’intelligenza artificiale è il principale terreno di sfida. L’unico dubbio cinese è se arrivare al traguardo in progressione economica di crescita pacifica, oppure con uno scatto militare, estromettendo gli Stati Uniti dal Pacifico orientale. Nel secondo caso, una mossa su Taiwan replicherebbe quella russa su Kiev, di cui Pechino segue attentamente l’andamento, militare e politico.
Gli Stati Uniti, maggiore potenza mondiale, ben consapevoli della doppia sfida di Russia in Europa e Cina in Asia, cercano di farvi fronte con reti di alleanze, in primis con una Nato che guarda anche alla Cina, e con poi con una strenua difesa del primato tecnologico. L’Unione europea, invece, pur unita dal ritorno del nemico, è ancora a metà del guado. Per essere il quarto protagonista non basta il Pil: ci vuole maggiore coesione. Stati Uniti ed Europa sono accomunati dal substrato valoriale che rimette al centro delle relazioni internazionali i diritti umani sui quali «l’avvento della globalizzazione ha progressivamente ridotto l’attenzione». Peccato che l’autore non approfondisca questa incompatibilità globalizzazione-diritti umani. Cita le trascurate proteste di piazza iraniane del 2009: lo si potrebbe ripetere quanto al prevalere della ragion di Stato del negoziato sull’accordo nucleare con Teheran sulle ragioni di appoggio alla rivolta delle donne iraniane contro la brutalità della polizia morale iraniana che sta scuotendo il regime ancor più che non nel 2009.
Il Ritorno degli Imperi arriva in libreria nella settimana in cui Giorgia Meloni riceve l’incarico di formare il nuovo governo italiano. La politica estera sarà banco di prova sia quanto a tenuta interna della coalizione di centrodestra, sia nei rapporti esterni dell’Italia con alleati, partner, amici e meno amici. A chi farà la politica estera, al futuro ministro degli Esteri come alla presidentessa del Consiglio – sarà lei a dare indirizzo e a prendere le decisioni chiave – una seppur rapida lettura del Ritorno degli Imperi può essere di grande aiuto. Non per mutuarne le conclusioni o trarne scelte, ma per capire senza paraocchi il mondo in cui saranno chiamati a muoversi nell’interesse nazionale, a Washington, a Bruxelles, a Pechino, a Mosca.
Nel grande gioco degli imperi, come Molinari mette lucidamente a fuoco, l’Italia è tutt’altro che marginale. È comprimaria. Intanto per la coesione dell’Europa che «esce sicuramente più compatta da questa crisi». Finora. Se nel mirino di Vladimir Putin c’è l’Europa così come il domare l’Ucraina, oltre che la volontà di alimentare il mito «dell’unico spazio spirituale» e della grande madre Russia, è strumentale a una guerra ibrida contro l’Europa, che rompa il cordone ombelicale atlantico della Nato e incrini l’Ue già orfana del Regno Unito, l’Italia diventa campo di battaglia ideologico, mediterraneo ed energetico. Lo spartiacque internazionale fra democrazie e autocrazie si ripete all’interno, non solo fra partiti euroatlantici e non, ma anche trasversalmente, come fu nella Guerra Fredda, fra l’Italia cattolico-democristiana di Don Camillo e quella comunista dell’onorevole Peppone.
Per il nostro Paese, la rottura della dipendenza europea dal gas russo è un sacrificio temporaneo ma diventa un dividendo duraturo portando avanti il progetto di forniture dall’Africa, dal Qatar e da Israele, destinate non solo all’Italia ma al Nord dell’Europa. I gasdotti esistono già. Basta invertire il flusso. Trasformeremmo così la crisi in opportunità, da manuale di politica estera. Farlo, avverte Molinari, va contro gli interessi del Cremlino che già non ha mancato di agitare le acque politiche interne. L’ambasciatore russo, Sergey Razov, non ha esitato ad assumere pubblicamente un «profilo di primo piano», andando ben oltre – a parere di chi scrive – quanto consentito dalla prassi diplomatica. Le ingerenze si intensificheranno man mano che la Russia porta avanti la lunga guerra contro l’Europa, alla ricerca anche di anelli deboli periferici, nei Balcani, in Libia, nel Mediterraneo orientale, teatri dove l’Italia ha presenza consolidata ma influenza solo potenziale.
La seconda dipende dalla politica estera. Un tempo, alla politica estera italiana bastavano i due assi portanti dell’Europa e dell’Atlantico. I due assi restano fondamentali ma non bastano a muoversi fra imperi di ritorno e gli altri scenari, vicini e lontani, dall’Indo-Pacifico, al Mediterraneo esteso fino all’Africa sub-sahariana a Sud e all’Asia centrale a Est, dall’incognita nucleare di un Iran dove le donne sfidano gli ayatollah, agli Stati Uniti impegnati su due fronti. Nei prossimi mesi e anni l’Italia navigherà in mari molto mossi. Servirà una bussola. Il Ritorno degli Imperi la offre, il timoniere sceglierà poi la rotta. —