La Stampa, 17 ottobre 2022
Massimo Giannini e Renzo Piano parlano di guerra e di pace
n nome di Dio, fermate la guerra». La preghiera di Francesco squarcia questo buio dell’umanità, dove ci aggiriamo come i sonnambuli di Block, credendo incubo notturno una realtà quotidiana fatta di civili massacrati, di donne stuprate e di bambini torturati in Ucraina. Qualche giorno fa mi ha telefonato Renzo Piano – “il Geometra”, come lo chiamano gli amici, e non certo per dileggio – per non rimarcare troppo il fatto che in realtà lui è il più grande architetto-progettista italiano e uno dei più grandi del mondo. «Ho un peso immenso sul cuore – mi ha detto – e ne voglio parlare con te. Tu ed io eravamo amici di Gino Strada. Insieme a lui, ti ricordi, abbiamo fatto a Milano un bellissimo dibattito, tre anni fa, intitolato Di guerra e di pace. Mi piacerebbe riprendere il filo di quei ragionamenti». Sono partito subito per Genova, ospite di Renzo per un’intera mattinata, nella meravigliosa Punta Nave, un monumento alla grande bellezza dove ha sede la sua Fondazione, il suo studio, il suo buen ritiro. Dal nostro incontro è nato questo dialogo. Di guerra e di pace, appunto.GIANNINI: «Caro Renzo, forse ha ragione il Papa, quando dice che la Terza guerra mondiale è già cominciata da mesi, frammentata in cento focolai “minori” ma figli di un unico incendio globale nel quale gli Imperi sono impegnati a ridefinire le rispettive sfere di influenza geostrategica, politica, economica. Ma certo la sporca guerra di Putin in Ucraina ci ha fatto compiere un salto ulteriore, portando il Pianeta sulla soglia dell’Armageddon nucleare, come si è lasciato sfuggire Joe Biden. A me, da quel maledetto 24 febbraio quando l’invasione russa è iniziata, colpisce una cosa: i Grandi della Terra parlano solo di guerra, nessuno parla più di pace. È questo il peso che ti porti nel cuore?».PIANO: «Grande Papa Francesco. Io vivo una vita felice, come edificatore, come costruttore, vivo in mezzo ai giovani e facciamo progetti pubblici dappertutto in giro per il mondo. In questo momento stiamo lavorando per la John Hopkins University, per i grandi ospedali di Parigi. È una vita piena, una vita intensa. Ma mi devi credere: ogni giorno io la sento oscurata da questa terribile angoscia per quello che sta succedendo in Ucraina. E voglio raccontare questo mio tormento. Perché credo che in questo momento il mio stesso tormento lo vivano tante persone. E perché spero che se ti racconto in modo sincero di questo mio tormento, tanti altri facciano la stessa cosa, raccontando il loro».GIANNINI: «E tu speri che la somma di questi tormenti, se resa pubblica, possa cambiare le cose? Ho paura che non basti».PIANO: «Io non so se basta. Ma so che è la cosa più seria che posso fare. E so che tutte le persone con cui parlo, in qualche modo, mi spiegano che sentono dentro questo tormento. Nessuno lo esprime, perché forse siamo tutti annichiliti di fronte all’orrore che vediamo. Ma ora dico basta. Dobbiamo trovare la voglia e il coraggio di dire no a questa guerra. E mi auguro che anche gli altri lo dicano, che la massaia lo dica al marito, che il muratore lo dica al suo capocantiere, che tutti tirino fuori questo tormento. Ora mi dirai che questo è un discorso intimista. Ma ti chiedo: che altra forza abbiamo, noi cittadini normali, se non la parola? Il nostro unico potere è la voce. Bene, adesso tiriamola fuori, questa voce. Facciamola risuonare limpida, da persona a persona, nelle piazze, nelle strade, nei villaggi, nei paesi, nelle città di tutto il mondo».GIANNINI: «Condivido la tua angoscia. Ma se mi guardo intorno, in verità, io almeno in Italia vedo un Paese frammentato. Da una parte c’è un’élite, politica, culturale e anche giornalistica, che si divide in un derby grottesco dove non c’è più spazio per ragionare e discutere, perché qualunque cosa dici viene risucchiata dal penoso tifo da stadio tra filo-ucraini e filo-russi. Dall’altra parte c’è un popolo che, comprensibilmente, è preoccupato soprattutto per il caro-bollette, per il costo del gas alle stelle che si porta dietro l’intera filiera dei prezzi delle materie prime e dei beni essenziali, dal pane al latte. La tua angoscia per la guerra, come la tua ansia di pace, sono così forti in te perché sei cittadino del mondo e perché costruisci le cose, e sai quanta passione, quanta fatica e quanto lavoro costino all’uomo».PIANO: «Questo è sicuro, come ti ho detto io sono un architetto-costruttore, costruisco ponti dappertutto, non solo qui a Genova: l’ultimo l’abbiamo fatto a Los Angeles, unisce due edifici. Costruisco luoghi di pace, costruisco luoghi per la gente, università, biblioteche, scuole, ospedali, tribunali».GIANNINI: «I luoghi del vivere civile. Tu costruisci luoghi di pace, laguerra li distrugge».PIANO: «Esattamente. Vedi, per me costruire la pace è un po’ come costruire una città pietra per pietra, una città meravigliosa che non esiste, una città immaginaria, la città che descrive la Sacra Scrittura. Ci vuole tempo a edificare, e non è solo un atto fisico ma anche etico: non a caso da edificare viene l’aggettivo “edificante”, che vuol dire buono, bello, positivo, istruttivo. Perché poi quelli che costruisci diventano luoghi dove la gente condivide valori e impara l’arte dello stare assieme, del nutrirsi delle diversità. La guerra nega e distrugge tutto questo. L’altro giorno hanno bombardato il ponte di Kerch, in Crimea. Ci credi che mi è venuto un colpo al cuore? Subito dopo sì, ma lì per lì non mi sono neanche chiesto chi aveva colpito chi. Ho solo provato sofferenza. Una sensazione di lutto, che mi accompagna costantemente».GIANNINI: «Mi torna in mente il Ponte di Mostar, ai tempi della guerra nella ex Jugoslavia».PIANO: «Ci ho pensato anch’io, sai? Ma poi c’è un’altra cosa che ti voglio spiegare sul valore del costruire. Non c’è nulla di più solidale e, di fatto, anche pacifico di un cantiere. Io di cantieri di costruzione ne ho avuti di difficilissimi. Ricordo quello di Potsdamer Platz, a Berlino, quello lungo la Miljacka a Sarajevo, quello di Manhattan dove ho ricostruito il palazzo del New York Times subito dopo la caduta delle Torri Gemelle. Quando sei in un cantiere, sei in un luogo miracoloso dove la solidarietà e l’orgoglio del costruire qualcosa vincono su tutto. A Londra, nel cantiere della Torre Shard, avevo 1.500 operai di 70 nazionalità diverse. A Berlino avevamo 5.000 operai, solo 500 erano tedeschi, gli altri venivano da tutto il mondo, Turchia, Russia, ovunque. Un giorno venne a trovarmi Mario Varga Llosa, che abitava in Germania, proprio nella capitale, e mi disse: “Questa piazza, dove c’era il bunker di Hitler, è stata teatro della più grande ferocia della Storia moderna, e ora con questi 5.000 operai di tutte le nazionalità è diventata un luogo di tolleranza, di comprensione, di condivisione"».GIANNINI: «La stessa cosa potremmo dirla della musica. Non a caso a Kherson i russi compiono il più insopportabile dei crimini: uccidono un direttore d’orchestra ucraino perché si rifiuta di suonare dopo l’annessione dei territori del Donbass».PIANO: «Questa notizia mi sconvolge. Mi fa tornare in mente Daniel Barenboim, che moltissimi anni fa creò un’orchestra con una metà di musicisti israeliani e l’altra metà di musicisti palestinesi. Anche fare musica è come costruire. Suonare assieme, lavorare assieme, trovare la bellezza assieme».GIANNINI: «Io però vedo un pericolo. Mi sembra che ormai prevalga una certa assuefazione, anche di fronte alle mattanze più terribili, le fosse comuni di Bucha e di Irpin, le immagini dei corpi dilaniati a Dnipro o a Kharkiv. Soprattutto i giovani, non si mobilitano, non si indignano, non si ribellano. Ai tempi della guerra del Vietnam c’erano proteste e manifestazioni continue, non solo nelle città americane ma in tutte le capitali del mondo. Non sembrano provare il tuo stesso tormento. Come te lo spieghi?».PIANO: «Hai ragione. Non ho una spiegazione. Ma anche in questo caso ho un’inquietudine profonda. Proprio perché penso ai giovani, vivo tra i giovani, tu lo vedi, qui nel mio ufficio a Genova, come in quello di Parigi o di New York. Io entro qui dentro, e per me è la gioia. Lavoro con e per i giovani. Il mio ambiente naturale sono loro. I giovani in studio, che vengono da tutti i continenti, i giovani che ho raccolto attorno al mio tavolo rotondo al Senato, che lavorano sulle periferie. E, vedi, lavorando con i giovani io mi immedesimo con loro. E mi viene un accidente, sono stato giovane anch’io, in una situazione totalmente diversa, e perché come diceva il mio amico De André sono “figlio di un temporale”. Sono nato nel 1937, avevo otto anni quando la guerra è finita. E dagli otto anni in poi, nove, dieci, undici, fino ai vent’anni, tu cresci con una sensazione meravigliosa, credimi. Nella mia adolescenza, e poi nella mia giovinezza, sentivo allontanarsi sempre di più l’orrore della guerra. Ogni giorno, ogni settimana, ogni mese che passava, tutto diventava migliore, tutto. Le strade diventavano man mano più pulite, il cibo a tavola diventava man mano più buono, la mamma era più serena, il papà era meno taciturno. Ho vissuto tutta la vita persuaso che il tempo che passa rende le cose migliori. Tutto si risolve. Tutto diventa più facile. Adesso, per i giovani, non è più così. E di questo soffro terribilmente».GIANNINI: «Senti Renzo, in giro per il mondo ci sono da anni un centinaio di guerre in corso. Ti sei chiesto perché proprio questa guerra innesca in te una reazione così forte? Perché senti il bisogno di manifestare proprio adesso il tuo tormento? Io penso che dentro di noi danzino i fantasmi di un Novecento che credevamo ormai esorcizzati: la Guerra Fredda, l’equilibrio del Terrore, l’Unione Sovietica, adesso anche la paura dell’atomica».PIANO: «È una domanda legittima. Ti rispondo partendo da un’altra cosa di cui devo parlarti: l’amicizia con Gino Strada, che per me è contata molto. A una certa età scoprirai che tu sei nient’altro che la somma di tutte le persone che hai conosciuto, gli amici che hai avuto, i libri che hai letto, i film che hai visto. Quel meraviglioso poeta che era Jorge Luis Borges diceva che il nostro essere e il nostro creare è sempre sospeso tra memoria e oblio. La memoria di ciò che ti è rimasto, l’oblio di ciò che hai perduto. Gino fa parte del Panteon che mi è rimasto. Da Gino ho imparato il mio essere così contrario alla guerra».GIANNINI: «Era il suo mantra: non sono pacifista, sono contro la guerra».PIANO: «Gino era uno che aveva la bussola dentro. Tu sai che le barche hanno una bussola che si chiama bussola cieca. Non è cieca perché non vede, ma perché è rinchiusa all’interno della barca e per questo è insensibile alle interferenze esterne. Gino era una di quelle persone con la bussola cieca, la bussola dentro, la bussola interna. Quando uno è fatto così, puoi fare quel che vuoi, lo puoi girare, spostare, capovolgere, ma alla fine, poi, tum, riprende sempre la rotta. La sua dote era quella. Lui era chirurgo, era medico, curava le vittime dei bombardamenti in Afghanistan, in Sudan, e aveva una certezza: con le armi si distrugge. Per questo combatteva contro la guerra, che nel 90 per cento dei casi fa vittime tra i civili innocenti».GIANNINI: «Renzo, a questo punto però dobbiamo chiarirci su una questione cruciale. Non basta dire pace. Dobbiamo anche chiederci quale pace. E per trovare una risposta dobbiamo partire da una serie di presupposti sui quali non possiamo non convenire. Te li elenco in ordine sparso. L’Ucraina è una nazione libera e sovrana, che è stata attaccata e invasa da un criminale che si chiama Putin. Il responsabile della guerra è lui. È lui che bombarda e uccide uomini, donne e bambini, è lui che culla il sogno neo-imperiale della Santa Madre Russia, è lui che minaccia l’Occidente e considera finito il ciclo delle liberaldemocrazie. Su questo dobbiamo essere tutti d’accordo, dobbiamo sapere da che parte stare e non cadere nello spirito di Monaco 1938, perché se non facciamo niente Putin adesso si prenderà l’Ucraina, poi toccherà alla Moldavia, poi magari alla Finlandia e poi chissà dove finisce la Storia. Quindi non possiamo essere neutrali, non possiamo dire né con la Nato né con la Russia, non possiamo negare l’aiuto anche militare al governo di Kiev».PIANO: «Tu l’hai scritto, e io condivido, è ovvio che la colpa di quel che succede è di un dittatore assassino criminale che si chiama Putin e che in questo momento è un nemico. Sia chiaro, e lo voglio ribadire: in questa guerra la neutralità è un atteggiamento colpevole, ed io non mi sento minimamente neutrale perché so esattamente da che parte stare. E non sono nemmeno un pacifista inerme o un “ciecopacista”, che era la formula coniata da Giovanni Sartori. Quel tipo di pacifismo non è il mio, assolutamente. Però aggiungo, e anche questo tu l’hai scritto, che il principio à la guerre comme à la guerre significa per forza che a orrore dovrai rispondere con altro orrore, in una sequenza di azioni e reazioni dalla quale non esci più, se non con l’autodistruzione totale. Per questo, seguendo il Papa, grido “fermatevi"».GIANNINI: «Forse è solo utopia. Anche se io, fatte le premesse condivise di cui parlavamo prima, come te sottolineo il dovere dei Grandi della Terra di spiegarci fin dove vogliamo arrivare, in questa escalation bellicista che ormai sembra non fermarsi più. E rivendico anche il diritto di non avere soluzioni da proporre, perché da cittadino non le ho, mentre loro devono averle e pensarle perché li abbiamo eletti per questo».PIANO: «Tutto quello che dici è limpido come l’acqua di fonte. È proprio per questo che siamo tutti così angosciati. Chi ci spiega come si ferma la guerra, come si fanno tacere le armi? È chiaro che dietro a tutto questo c’è anche un immenso interesse privato, la produzione annuale di armi nel mondo supera i 1.000 miliardi, mentre la spesa per gli aiuti ai paesi poveri non arriva a 100 miliardi. Hai ragione quando scrivi che Zelensky e gli ucraini devono continuare a godere di tutta la nostra solidarietà e del nostro aiuto, ma devono essere anche responsabili. Per esempio, mi preoccupa molto questa storia delle armi a lunga gittata che l’America potrebbe inviare a Kiev. Mi torna sempre in mente questo fatto: quando ho aperto a Berna il Museo di Paul Klee, è venuto un cronista del New York Times che conosco da anni, e mi ha chiesto: “Renzo, ma quanto è costato l’edificio?”. Io ho risposto: “Più o meno 100 milioni di dollari”. E lui: “È esattamente il costo di una giornata di operazioni di un bombardiere americano in Iraq, con i suoi quattro caccia di protezione e il suo carico di bombe”. Capisci perché odio la guerra?».GIANNINI: «Noi stiamo correndo anche un altro pericolo. Questa guerra è diventata anche l’occasione per contrapporre ancora una volta l’Occidente al resto del mondo. Qui non c’è più solo il conflitto tra l’inaccettabile invasione dell’Ucraina da parte della Russia, c’è anche una contrapposizione ideologica e pre-politica tra liberal-democrazie euroatlantiche e autocrazie russa, cinese, indiana, turca. Sotto certi aspetti siamo alla riproposizione dello schema che già ci fu fatale negli anni che precedettero e prepararono l’11 settembre. Cioè l’Occidente, ricco e autosufficiente, che grazie al suo soft power si illude di aver imposto il suo modello al pianeta, mentre poi viene aggredito e scopre l’odio che gli è cresciuto intorno, e a quel punto si deve difendere dagli Imperi del Male. Insomma, quello che temo è che riprecipitiamo tutti dentro la logica dello scontro di civiltà teorizzato da Samuel Huntington vent’anni fa».PIANO: «Purtroppo stiamo già scivolando dentro quella logica lì. Dobbiamo fermarci, finché siamo ancora in tempo».GIANNINI: «Sai che ora gli opinionisti con l’elmetto diranno che sei un filo-putiniano anche tu, vero?».PIANO: «Ma figurati! Io sono un europeista ante litteram, partito per l’Europa su una 1100 con moglie e due figli nel 1958, quando l’Europa non era neanche nata. Dicano quel che vogliono. Io so che la gente vuole pace. Anche in Russia, sai? A Mosca ho trasformato una vecchia centrale elettrica in un centro culturale, a due passi dal Cremlino, sull’isola Ottobre Rosso: ha aperto a dicembre e adesso è pieno di gente che mi manda messaggi e foto in continuazione. Cantano, ballano, leggono e mi scrivono “siamo qui perché questo è un luogo di pace”. Perché poi c’è questo fatto da tenere ben presente: Putin non è la Russia, come Hitler non era la Germania. Ecco, se devo dirti la verità, ho l’impressione che i cosiddetti Grandi della Terra siano tutti un po’ persi. È chiaro che l’unica soluzione è far tacere le armi. E cercare un negoziato, che sarà fatto inevitabilmente di compromessi. Se no come diavolo si fa per fermare questa escalation?».GIANNINI: «Norberto Bobbio a suo tempo scrisse di “pace provvisoria”, di una “tregua d’armi in attesa di un evento straordinario”. Al punto in cui siamo, alla soglia dell’apocalisse nucleare, ci accontenteremmo anche di questo».PIANO: «Fai bene a parlare di Bobbio, è stato uno degli intellettuali che ho amato di più. Ci basterebbero anche 15 giorni di pace provvisoria, per provare ad aprire un dialogo. Ma dobbiamo fare di più: dobbiamo rifiutare le armi come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. È un principio che abbiamo nella Costituzione, e anche nel Dna. Io sono nato e cresciuto in Italia, e l’Italia me la vedo sempre come una splendida creatura adagiata in mezzo al Mediterraneo, con la testa nelle Alpi e i piedi distesi verso l’Africa. Talmente bella, talmente desiderabile, talmente ricca di storia, che è stata invasa, violentata, posseduta, maltrattata, amata da tutti quanti. Ma proprio per questo, nei secoli, ha imparato il valore di stare in pace».GIANNINI: «Speriamo davvero che aver reso pubblico questo tuo tormento spinga tanti altri come te a fare la stessa cosa».PIANO: «Me lo auguro con tutto il cuore. Per me resta sempre vera quella celebre frase di Einstein: “Io non so come sarà la terza guerra mondiale, ma so che la quarta si combatterà con le pietre"». —