il Fatto Quotidiano, 17 ottobre 2022
Tutti i dossier di Berlusconi contro gli avversari
Diciassette giugno 2011, Napoli. Di fronte ai magistrati che lo interrogano sull’inchiesta P4, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti racconta di una lite con Silvio Berlusconi: “Non sarò vittima del metodo Boffo”, chiosa Tremonti col premier. Parlando ai pm, Tremonti specifica: “Mi riferisco alla divulgazione sui mass-media di notizie riservate e/o infondate atte a screditare chi viene preso di mira”.
Dossieraggi. La grande paura di ogni nemico di Berlusconi. Roba in grado di stroncare carriere e rovinare vite, il cui ricordo aiuta a comprendere meglio l’avviso di Giorgia Meloni: “Io non sono ricattabile”.
Contro Di Pietro. Caduto il primo governo Berlusconi, Silvio si mette in testa di vendicarsi contro Antonio Di Pietro. Lo fa con la sponda di Antonio D’Adamo, imprenditore in crisi che entra in affari con B. Nel 1997, Berlusconi davanti ai pm accusa Di Pietro di corruzione, per aver preso soldi da un suo indagato: “D’Adamo mi ha riferito di aver ricevuto da Pierfrancesco Pacini Battaglia un finanziamento di 9 miliardi (…), la metà sarebbe dovuta essere destinata al dottor Di Pietro”. Silvio riferisce dell’esistenza di alcune registrazioni in cui D’Adamo gli confida il reato commesso dall’ex pm. È tutto falso: l’audio è un taglia e cuci e non dimostra nulla, le accuse di D’Adamo non stanno in piedi. Di Pietro sarà prosciolto.
Il caso Follini. Nel luglio 2004 la spaccatura tra Forza Italia e l’Udc minaccia la tenuta del governo Berlusconi. Silvio chiede una verifica di maggioranza per parlare con Marco Follini (“Mi hai rotto il cazzo”), leader centrista. Il giorno dopo, i quotidiani riportano le minacce di Silvio: “Sei molto presente a Mediaset”. Follini: “Ho avuto 42 secondi in un mese”. B.: “Non dire sciocchezze, nessuno ti attacca mai. Se continui così vedrai come ti tratteranno le mie tv”. E Follini: “Voglio che sia chiaro a tutti che sono stato minacciato”.
Metodo Boffo. È l’agosto 2009. Il direttore di Avvenire Dino Boffo critica Berlusconi per i suoi scandali sessuali. Vittorio Feltri pubblica sul Giornale un dossier proprio su Boffo: include la notizia di una condanna per molestie (500 euro di ammenda) e un’informativa attribuita al Tribunale di Terni (che smentisce) in cui Boffo è descritto come un “noto omosessuale” che intimidisce la moglie dell’uomo che frequenta. La vicenda risale ad anni prima, ma il significato di pubblicarla ora è chiaro: “È venuto il momento di smascherare i moralisti”, scrive Feltri. Boffo si dimette da Avvenire.
Giudice “stravagante”. È ancora il 2009 e Mediaset usa la clava contro Raimondo Mesiano, il giudice che ha appena condannato Fininvest a risarcire il gruppo Cir per oltre 700 milioni di euro (caso Mondadori). A Mattino 5 va in onda un surreale servizio in cui i cronisti riprendono Mesiano mentre compie azioni normalissime, ma descritte come sintomo di scarsa lucidità. Il giudice passeggia, si ferma al semaforo, va dal barbiere: “Alle sue stravaganze siamo ormai abituati”. Il giudice è al parco: “Un’altra stranezza. Guardatelo seduto: camicia, pantalone blu, mocassino bianco e calzino turchese. Di quelli che in tribunale non è proprio il caso di sfoggiare”.
La casa a Montecarlo. A luglio 2010 i rapporti tra Gianfranco Fini e Berlusconi sono ai minimi storici (siamo poco dopo il celebre “Che fai, mi cacci?”). Il Giornale esce con uno scoop: una casa a Montecarlo donata da una contessa ad An è stata venduta due anni prima a Giancarlo Tulliani, cognato di Fini, a un prezzo irrisorio. Il processo su quell’operazione immobiliare è ancora in corso, ma la questione politica si è chiusa da un pezzo, con Fini sparito dai radar.
L’audio farlocco. Nel giugno 2020 Rete 4 trasmette un audio in cui il giudice Amedeo Franco, relatore della sentenza di Cassazione che condannò B. per frode fiscale, sbugiarda il collega Antonio Esposito (presidente di quella sezione) asserendo che “Berlusconi fu vittima di un’ingiustizia” e che nei suoi confronti c’era “un plotone d’esecuzione”. Il caso esplode quando Franco è scomparso da un anno, nonostante l’audio risalga al 2014. Qualche mese più tardi, una perizia smentisce la teoria del complotto: l’audio è stato manomesso.
Bossi&C. Detto dei casi più memorabili, le ombre sono molte altre. A partire da quando, nel 1995, per mesi la Lega viene accreditata di sondaggi farlocchi che la danno sotto l’1 per cento dopo la rottura con FI. L’anno successivo, alle elezioni, andrà sopra il 10. E poi il caso di Piero Marrazzo, governatore del Lazio vittima di un ricatto di alcuni agenti nel 2009, dopo essere stato ripreso in atteggiamenti intimi con una trans. Il filmato arriva anche al gruppo Fininvest ed è B. ad avvisare Marrazzo. Per non dire delle mezze parole di Roberto Maroni, che nel 1995 racconta a Panorama del suo periodo al Viminale: “Di dossier ne giravano tanti, ce ne era uno anche su Scalfaro”. Confezionato da chi? Non si sa. “Decisi di avvertire il presidente. Lui mi rispose, tranquillo: ‘Che lo tirino fuori, non ho nulla da nascondere’”. Sembra di sentire Meloni.