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 2022  ottobre 12 Mercoledì calendario

Intervista a Jeremy Rifkin - su "L’età della resilienza" (Mondadori)



"Questa maledetta guerra ha colto il pianeta proprio nel momento in cui si stava imboccando finalmente la via dello sviluppo sostenibile. Ma invece della terza rivoluzione industriale, quella dell’era digitale, ora siamo qui a parlare della terza guerra mondiale: eppure bisogna tener duro, e fare l’impossibile per risolvere il cambiamento climatico che provoca danni, si è visto, irreversibili". Non mollare mai è il mantra di Jeremy Rifkin, classe 1945, economista, sociologo, attivista. Il suo ultimo libro, L’età della resilienza, che esce in Italia per Mondadori il 18 ottobre (traduzione di Tullio Cannillo), è il compendio di un lungo cammino attraverso le cause giuste: Rifkin cominciò nel 1967 con le marce per il Vietnam, poi portabandiera del Volunteers in Service to America (il movimento antirazzista creato da John Kennedy), infine punto di riferimento dei movimenti ambientalisti di tutto il mondo. "Nell’età della resilienza - ci spiega via Zoom dal suo ufficio di Washington - dovremo sviluppare noi gli anticorpi per sopravvivere in una Terra che cambia, anziché pretendere che sia la Terra ad adattarsi a noi. E intanto muoverci perché questo cambiamento si fermi. Pena, la fine della razza umana. Non sarebbe la prima estinzione di massa nelle centinaia di milioni di anni di vita del pianeta. La sesta, per la precisione".

Evitando scenari apocalittici, qual è il suo messaggio?
"Operiamo nell’età del progresso e dell’efficienza a tutti i costi. Ogni nostro atto è finalizzato al miglior risultato come se tutto fosse possibile senza preoccuparci del contesto. Senonché pandemie, catastrofi naturali, perfino l’agghiacciante guerra di Putin, ci hanno insegnato che dobbiamo deciderci a sviluppare la resilienza, che il nostro impegno deve essere finalizzato a stabilire un modo più adattivo, flessibile ed empatico di vivere. Dobbiamo imparare a mantenere gli standard esistenziali e le relazioni anche passando attraverso tormenti indicibili. E intanto adoperarci perché le disgrazie non si ripetano. Questa è resilienza".

Non sempre è possibile.
"A volte sì, come per lo sconvolgimento climatico che provoca fenomeni sempre più distruttivi: è opera dell’uomo e l’uomo deve battersi per contenerlo. Questo è lo spirito del mio libro: infondere consapevolezza, e conoscenza, perché nessuno si faccia più cogliere impreparato di fronte alla "rinaturalizzazione" del pianeta, insomma alle rivincite della natura. Ma il mio non è solo l’ennesimo saggio sulla difesa dell’ambiente".

Cos’altro?
"Prendiamo i risvolti del Covid. La crisi dei chip che equipaggiano telefoni, auto, lavatrici, computer: senza quelli prodotti in Cina il mondo non va avanti, ma, dato che l’occidente si è ripreso prima dalla pandemia e la Cina era ancora ferma mentre veniva travolta da una domanda rutilante, l’intera macchina produttiva mondiale è andata in tilt. E i prezzi sono impazziti. La lezione è: per quanto possano aver risparmiato, cosa è saltato in mente alle aziende occidentali di affidarsi in toto alle produzioni cinesi?".

Professore, che pensieri le inducono le immagini delle alluvioni delle ultime settimane, dal Pakistan all’Italia centrale?

"L’Italia è un Paese che amo: una terra delicata dal punto di vista idrogeologico perché ha spazi angusti fra mare, montagne, pianure. Vi vengono amplificati problemi comuni a tutto il mondo. Prendiamo il consumo dei suoli. Il "soprassuolo", la parte "calpestabile", è sempre più ristretto e degradato da colture intensive, incuria, siccità. Non c’è più spazio perché il suolo "vivo" sottostante, ricco di sostanze nutrienti e principi attivi, dia il suo contributo all’equilibrio naturale. La nuda terra ha bisogno di cura, come tutto ciò che è vivente. Io la chiamo biofilia".

Una nuova coscienza?
"Si mette la vita al centro dell’azione. L’economia non va più concepita solo per cercare profitto ma per salvare l’essenza umana stessa. È un cambiamento che impone di rivedere le regole dell’insegnamento e della formazione per improntarle al nuovo modello di rapporto fra essere umano e ambiente che lo circonda. È l’unico modo per garantire il diritto inalienabile di ogni essere a una vita dignitosa".