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 2022  ottobre 16 Domenica calendario

Ita, il Mef vuole vendere ora, prima che arrivi FdI

Sulla questione, in punto di diritto, si stanno esercitando alcune tra le migliori menti del diritto amministrativo italiano. Volendo badare al sodo, però, nella compagnia aerea pubblica Ita è in corso un violento scontro di potere con un obiettivo ben preciso: vendere l’azienda alla cordata tra il fondo Certares e le compagnie Delta e Air France-Klm prima del 31 ottobre, quando scadrà la “trattativa in esclusiva” con gli americani e, probabilmente, a capo del ministero dell’Economia, socio unico di Ita, non ci saranno più Daniele Franco e il suo potente staff, che quella trattativa hanno avviato.
La novità delle ultime 24 ore è lo scontro aperto a colpi di lettere tra il consiglio d’amministrazione e il collegio dei sindaci, che potrebbe finire persino in tribunale. Per capire, bisogna ripartire dall’inizio. Nel cda del 12 ottobre i sei membri espressione del Tesoro si presentano leggendo un testo di delibera che toglie le deleghe operative al presidente Alfredo Altavilla e le riassegna all’ad Fabio Lazzerini: il ministero gli imputa in sostanza di ostacolare la trattativa con Certares nascondendo dati fondamentali (ad esempio la profittabilità delle rotte) alla controparte. I sei hanno con sé il parere legale di un giurista di peso, Andrea Zoppini, che li autorizza al blitz. Altavilla esibisce invece un parere di segno opposto di Piergaetano Marchetti, notaio ubiquo ai grandi affari italiani, in cui si afferma – riassumendo – che non è il cda a poter revocare le deleghe, ma solo l’assemblea dei soci che le ha concesse. Il Tesoro però, e siamo a giovedì, ritiene chiusa la partita: la delibera è stata approvata, Altavilla è senza poteri, guida Lazzerini, che può dare a Certares tutto quel che le serve.
È qui che si apre una nuova fase ed entra in scena il collegio dei sindaci di Ita, che richiede un terzo parere: incaricato è il professor Niccolò Abriani, il quale – sempre riassumendo molto – ritiene da un lato che il cda abbia diritto di revocare le deleghe ad Altavilla, ma che d’altro canto le modalità siano illegittime (il punto non era all’ordine del giorno, non c’è stata votazione formale, etc). Forzature che rendono la delibera di fatto “inesistente”: il consiglio è di riconvocare un cda che approvi formalmente la stessa delibera o di aspettare l’assemblea dei soci, che poi è il Tesoro, già convocata per il prossimo 8 novembre (che serve soprattutto a incamerare i 400 milioni di prestito autorizzati dall’Ue, visto che Ita perde soldi a ritmi anche peggiori di Alitalia).
Siamo alle ultime 24 ore. I sindaci venerdì sera scrivono al cda appoggiando il “Parere Abriani”. Ieri pomeriggio ricevono una contro-lettera dei membri del cda che avevano sostenuto la delibera il 12 ottobre: sostengono in sostanza che l’argomento non era all’ordine del giorno perché Altavilla s’è rifiutato di mettercelo e che la votazione non c’è stata perché sempre Altavilla non l’ha resa possibile. Seguiranno altre puntate, ma non è escluso che si finisca in Tribunale: se il cda non desse riscontro alle richieste del collegio dei sindaci, quest’ultimo potrebbe chiedere la sospensione degli effetti della delibera in tribunale e con ottimi argomenti (di chiunque sia la colpa della forzata procedura utilizzata in cda).
Come detto, l’affascinante duello sui principi del diritto societario nasconde un ben più corposo scontro sul futuro della compagnia pubblica. Il Tesoro – ancora per qualche giorno appannaggio di Franco – e i suoi consiglieri in cda (oltre all’ad Lazzerini) vogliono vendere subito a Certares e soci, ma evidentemente la compagine di chi ancora spera nella cordata tra Msc e Lufthansa non si sente sconfitta (l’ad della compagnia tedesca ha detto giusto venerdì che loro sono pronti a tornare al tavolo).
E qui è ora di far entrare in scena il convitato di pietra di queste manovre frettolose del ministero dell’Economia: l’arrivo a giorni di un nuovo inquilino e di una maggioranza che potrebbe non essere così desiderosa di vendere Ita così in fretta. Fratelli d’Italia, Meloni in testa, aveva chiesto a Draghi di fermarsi e lasciar decidere il nuovo governo.