il Giornale, 16 ottobre 2022
Nel salotto di Arbasino
Alberto Arbasino (1930 – 2020) si considerava un «nipotino dell’ingegnere». L’ingegnere per eccellenza delle lettere italiane: il geniale e vulcanico Carlo Emilio Gadda. L’ingegnere significava: il non finito, una lingua barocca come la vita stessa, la capacità di ritrarre un ambiente senza il paternalismo neorealistico. Il massimo, insomma, per l’inquieto Arbasino che risponderà, tra le altre cose, con un romanzo monstre, Fratelli d’Italia, scritto e riscritto nel corso degli anni, furiosamente. Dal libro non finito, La cognizione del dolore dell’Ingegnere, a quello infinito, Fratelli d’Italia: non inizia e dunque non finisce, si può aprire a caso e leggere. Ci sono tutte le lingue di tutta l’Italia, con particolare riguardo al mondo della cultura. Si discute con umorismo e ferocia delle nuove mode e dei nuovi personaggi contrapposti ai vecchi satrapi dell’editoria, ma anche della politica.
Ora il dattiloscritto di Fratelli d’Italia, nella prima stesura per Feltrinelli, che differisce dal volume per i numerosi tagli, è esposto in una teca della Sala Arbasino, appena inaugurata al Gabinetto Vieusseux di Firenze. Le carte del «nipotino» sono conservate accanto a quelle dello «zio» Gadda (e di Ungaretti, Montale, Pasolini, per fare qualche nome). Un’altra parte, per amicizia con Maria Corti, fu lasciata invece al Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta dell’università di Pavia.
La Sala Arbasino del Vieusseux ovviamente contiene solo una parte del lascito: 60mila volumi e una quantità sterminata di... scatole. Piccole, grandi, colorate, da ufficio, cartonate, di plastica. Dice Gloria Manghetti, direttrice dell’istituzione fiorentina: «Arbasino si divertiva a classificare grazie alle scatole». Infatti, si direbbe molto ordinato. «Per niente. Nelle scatole poi finiva di tutto, a prescindere dalle etichette». E quindi... «Quindi siamo certi che da questo fondo salteranno fuori scritti importanti, pensi soltanto alla corrispondenza, immane, ma non sappiamo ancora cosa. Il lavoro di catalogazione è iniziato subito, ma ci vorrà tempo».
La stanza riproduce in piccolo la casa romana di Arbasino. C’è il suo leggendario, lunghissimo divano: «Abbiamo dovuto tagliarlo a metà per trasportarlo. Non usciva in alcun modo da casa. Era stato costruito direttamente all’interno dell’appartamento di via Gianturco, a Roma». Ci sono le sue altrettanto leggendarie luminarie di forma scacchistica, un Re e una Regina (design Fontana Arte). Non manca la scrivania, quasi monastica rispetto al resto, sulla quale troneggia la macchina per scrivere elettronica. C’è il fax. Ci sono le foto con i fratelli Alberto, Mario e Massimo ancora piccoli. Le librerie, in parte, sono quelle originali. Ma naturalmente se ne sono dovute aggiungere altre in attesa di sistemare definitivamente il fondo. Appoggiata a una mensola, c’è una serie di cartoline da tutto il mondo. Sono da compilare. Manghetti: «Adorava scrivere cartoline, spesso buffe o tenere. Queste erano di scorta. Caso mai avesse il desiderio». In una teca, vediamo subito un libro con dedica firmato PPP: Pier Paolo Pasolini. Ci sono anche dediche di T.S. Eliot, Calvino, Queneau, Barthes, Manganelli, Calasso, Moravia. In un’altra biglietti per Inge Feltrinelli («La adorava» dice Manghetti), schede del Premio Strega, biglietti per il Maggio fiorentino, la targa del Campiello. Apriamo una scatolina. È quella dei piccoli e rari. Il primo è un racconto di Antonio Delfini. Il più piccolo è un minuscolo Ambrogio Borsani, Testori 8 e 43, illustrato dal ciclo dei pugili di Giovanni Testori. In mezzo, stranezze e perle, Millelire e All’insegna del pesce d’oro. Ci sono faldoni di recensioni, ci capitano tra le mani quelle di Luigi Baldacci. Tra i libri, fanno bella mostra Benedetto Croce e Gianfranco Contini. Cosa colpisce di questa libreria? «La passione per la musica non inferiore a quella per l’arte e la letteratura – spiega Manghetti -. Come vede i cataloghi delle mostre sono numerosissimi. Ma i volumi sull’opera e sulla musica non sono da meno». C’era qualcosa che proprio non poteva mancare? Sì, e infatti non mancano. Manghetti: «Un gran frequentatore di dame aristocratiche non poteva non avere un annuario enciclopedico della nobiltà, anche per soppesare eventuali sedicenti principi. Un viaggiatore non poteva non avere una collezione imponente di guide».
Il Gabinetto Vieusseux ha ricevuto in dono l’archivio privato dello scrittore, la biblioteca, arredi e opere d’arte: la sala è stata allestita nel corso dell’estate, nella sede dell’Archivio a Palazzo Corsini Suarez. La scelta dell’autore è stata «il frutto di una riflessione che con la sua sensibilità e la sua intelligenza ha condotto nel tempo», spiega Manghetti, ricordando che Arbasino «aveva una consuetudine con Firenze, andava al Teatro del Maggio, veniva a vedere mostre, e amava il Gabinetto Vieusseux. Negli anni della direzione di Enzo Siciliano ci chiese di venire a visitare proprio questo archivio. Mi ha colpito vedere, fra le carte che conserviamo, le lettere tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, quando a più di 80 anni ha iniziato a fare una riflessione sul destino da dare a tutta questa documentazione: con persone amiche cercava di comprendere, valutare il luogo dove lasciare tutto questo, e iniziò a prendere contatti con le varie istituzioni preposte alla memoria del ’900». Scelse il Vieusseux.
In tutto, il Fondo consta di centodiciannove unità tra faldoni e scatole di diversa misura che contengono corrispondenza, dattiloscritti e manoscritti, interviste, materiali a stampa di varia tipologia come bozze di stampa di alcune opere dello scrittore, libretti d’opera e di teatro, copioni, eco della stampa, ritagli di giornale relativi all’attività di giornalista e saggista per le principali testate nazionali, miscellanee di estratti e opuscoli insieme a materiali personali come block notes, appunti manoscritti e fotografie. Porsi di fronte a questo tesoro apre più di un interrogativo. Arbasino, Pasolini, Testori, Contini, Croce, Delfini, Gadda, Corti, Baldacci sono alcuni dei nomi saltati fuori durante questa breve visita. Erano uomini del passato per quanto siano stati innovatori, ciascuno a suo modo. Arrivavano alla fine di una storia. Prima c’era Benedetto Croce al quale si reagiva: ponendosi in sostanziale continuità o superandone l’eredità (come fece Gianfranco Contini). Dopo c’è la critica ridotta ad ancella del mercato, l’università di massa, una crescente ignoranza della letteratura italiana, le tesi di laurea di poche pagine, un disprezzo per la cultura troppo alta che nasconde il disprezzo per la vera cultura, i poeti che non riconoscono un endecasillabo, la massa degli scrittori più numerosi dei lettori, gli editori che perdono il gusto del dibattito. Forse Arbasino ci avrebbe composto uno dei suoi esilaranti Rap.