il Giornale, 16 ottobre 2022
Campioni depressi
Giovani, ricchi, famosi. Cosa mai potrà mancargli? Di cosa mai si potranno lamentare? Siamo abituati a vedere i campioni dello sport come super eroi. Osservati, osannati, presi a modello. Vite da copertina invidiate dai noi comuni mortali. Eppure lontano dai riflettori, dietro a quella patina quasi di imperturbabilità, si può nascondere un mondo. Segreto, buio. Dannatamente normale. Altro che super eroi: uomini e donne come noi che vivono di dubbi, di ansie, di fragilità. E alle volte anche di buchi neri che prendono l’anima e portano lontano, in mondi ammantati da un buio profondo e da paure difficili da affrontare. E spesso difficili da confessare. Ma sempre più sportivi lo ammettono: la depressione non è più tabù. L’ultimo a raccontare le proprie debolezze è stato Luis Nazario de Lima, a tutti noto come Ronaldo, uno dei calciatori più forti, ricchi e famosi degli ultimi 50 anni.
«Sì, oggi faccio terapia. Sono passati due anni e mezzo e capisco molto meglio anche quello che avevo provato prima», ha raccontato il Fenomeno. Lui che ha conquistato il mondo con le sue giocate e il suo sorriso, anche nei momenti più difficili di una carriera condizionata dagli infortuni. Lui che ha guadagnato milioni. Lui che ha avuto donne bellissime al suo fianco. Lui che è stato ed è amato da milioni di appassionati. Eppure. Eppure nemmeno lui è un robot. «Guardo indietro e vedo che siamo stati esposti a uno stress mentale molto, molto grande e senza alcuna preparazione per questo. Anche perché non c’era alcuna preoccupazione per la salute mentale dei giocatori» ha raccontato il brasiliano, spiegando che oggi le cose sono cambiate e c’è più attenzione anche agli aspetti emotivi. «Ai miei tempi non c’era niente di questo. Molti hanno attraversato momenti terribili, anche di depressione, per mancanza di privacy, mancanza di libertà. I problemi erano molto evidenti, ma le soluzioni non erano subito disponibili».
E chi non ha radici solide e certezze a cui aggrapparsi e chiedere aiuto, da quel cono nero può essere assorbito. Perché tra depressione, attacchi di panico e paure per il futuro, in tantissimi tra atleti di primo piano hanno sofferto di disturbi della sfera emotiva. Gianluigi Buffon, per anni miglior portiere al mondo, ha raccontato che un giorno del 2003 «le gambe hanno iniziato a tremare. Non ero soddisfatto della mia vita e del calcio». Fu saggio benché giovane: si rivolse al medico della squadra e iniziò un percorso di psicoterapia. La terapia ha salvato anche Michael Phelps, icona del nuoto con le sue 28 medaglie olimpiche. «Nel 2012 passavo la vita a letto, non volevo essere vivo», ha detto, ammettendo di aver pensato più volte al suicidio. Di recente ha fatto clamore il caso della tennista Naomi Osaka, che all’improvviso ha abbandonato il Roland Garros a Parigi perché seppur vincente e giovanissima, era afflitta da un male di vivere che lacerava. Come accaduto a Josip Ilicic, talento ex Atalanta che a un certo punto si è dovuto fermare: testa e corpo non erano più in sintonia. Gli attacchi di panico di Federica Pellegrini, le dipendenze di Andre Agassi, la depressione di Marc Cavendish. Campioni, fenomeni che non ce la fanno più. Che devono affrontare i demoni del proprio animo.
La differenza è che fino a qualche anno il disagio mentale, in qualsiasi forma si presentasse, era un tabù. Andare dallo psicologo era roba per i pazzi e le fragilità venivano nascoste in cassetto buio, salvo poi pretendere il loro spazio e finire col fare ancora più male. Adesso invece se ne parla, e se a raccontare questi problemi sono personaggi famosi che, piaccia o no, fanno tendenza, ecco che l’effetto emulazione può diventare positivo. Col solo rischio, quasi opposto, di diventare frivola moda. Ma anche e soprattutto il buono di trasmettere che quel buio così brutale può capitare davvero a tutti. Fa male. Fa paura. Ma si può affrontare.