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 2022  ottobre 16 Domenica calendario

Viaggio a Taiwan

«Siamo nel posto più sicuro dell’isola. Se Pechino attacca, risparmierà il museo»: Wendy Li, la guida turistica, guarda serissima. Con i suoi 697.490 manufatti – alcuni di immenso valore, come le 21 porcellane “Ru Ware” tipiche della dinastia Song (1100 circa) valutate 40 milioni di dollari l’una, altri universalmente famosi, come il “cavolo” scolpito in un unico pezzo di giada – il National Palace Museum che domina il distretto di Shihlin, a nord della capitale Taipei, raccoglie il meglio della millenaria cultura cinese. Qui si conserva parte del tesoro imperiale: la raccolta smantellata nel 1924 per non farla finire nelle mani dei giapponesi con cui la Cina era in guerra, i cui pezzi migliori – seimila casse – furono trasferiti sull’isola nel 1948 per ordine di Chiang Kai-shek. Poco prima che il generalissimo, in fuga dall’esercito popolare di Mao Zedong, s’installasse a Taipei, imponendo quella dittatura che ancora molti ricordano come “terrore bianco”, conclusasi solo nel 1987, con l’abolizione della legge marziale. Per il leader del Kuomindang, il partito nazionalista, la collezione avallava la pretesa di essere il legittimo governante dell’intera Cina. E sostenendo di aver salvato vestigia antiche di 8mila anni dalla furia iconoclasta della rivoluzione culturale, anche il museo, aperto nel 1965, fu trasformato da Chiang Kai-shek in un simbolo del suo regime, mentre il Dragone lo accusava difurto.
Semiconduttori
Le parole della giovane Li la dicono lunga sul mood che si respira pure in una città “cool” come Taipei, metropoli dai mille volti, proiettata com’è verso il futuro – te ne accorgi passeggiando per Ximending, il quartiere tutto luci, gay bar e karaoke. E allo stesso tempo radicata nella tradizione, come dimostra la folla che il venerdì pomeriggio affolla il settecentesco Longhsan Tample: il tempio buddista proprio dietro Herb Lane, la stradina dove ancora si vendono medicamenti a base di erbe, dove insieme a Wenchang Dijun, dio della letteratura si venera Guan Gong, dio dalla faccia rossa signore della guerra, caro a poliziotti e mafiosi. L’estate, d’altronde, è stata turbolenta. Segnata dalla visita della speaker americana Nancy Pelosi, primo viaggio di un alto rappresentate Usa dal 1997, talmente sgradito al presidente Joe Biden che dopo aver cercato di dissuaderla con garbate pressioni, ha provato a smorzarne l’importanza conuna lunga telefonata all’omologo Xi Jinping. Quella visita, si sa, ha scatenato la furibonda reazione cinese. Accusando Washington di aver violato la loro sovranità e aver abbandonato l’“ambiguità strategica” per cui dal 1979 riconoscono l’autorità di Pechino ma allo stesso tempo, grazie al Taiwan Relations Act, sostengono il diritto alla difesa di Taiwan, fornendo armi – la Cina ha dunque dato il via a una serie di esercitazioni militari. Simulando, per la prima volta, il lancio di missili balistici su Taipei e attacchi aerei e marittimi sulla costa orientale dell’isola. Non basta: le manovre hanno parzialmente bloccato l’isola, possibile strategia per strangolarne l’economia. E lo spazio aereo taiwanese è stato violato più di 600 volte, «costringendoci a cancellare e deviare voli di linea», come ci spiega Lin Kuo-Shian, direttore dell’aeronautica civile, accompagnandoci a visitare la nuova ala dello Songshan Airport, l’aeroporto a nord della capitale costruito dai giapponesi durante il loro dominio (fra 1895 e 1945) da dove oggi partono i voli domestici. «Ci hanno imposto di chiudere 6 rotte, dimostrandoci come, insieme a quello marittimo, possono bloccare l’intero spazio aereo fino a soffocarci». Pechino, infine, ha pure interrotto l’export di sabbia naturale, necessaria alla produzione di quei semiconduttori su cui si basa l’economia di Taiwan.
Azioni che hanno allarmato gli Stati Uniti (ma anche Giappone e Australia): e non solo per motivi ideali. Gli americani, che pure i microchip li hanno inventati – a opera di un italiano, il fisico Federico Faggin – e sono ancora leader nel loro design e sviluppo, da anni hanno ceduto lo scettro della produzione alla taiwanese Tsmc. La più grande fabbrica indipendente al mondo di quei componenti essenziali per far funzionare auto, smartphone, computer, e pure dispositivi militari e medici. La sua sede è a Hsinchu, 60 km da Taipei. La “città ventosa” tutta giardini e grandi alberghi, diventata a partire dagli anni 80 la “Silicon Valley” asiatica, dove 350 aziende high-tech danno lavoro a 168mila persone, generando un giro d’affari da 57 miliardi di dollari statunitensi. «Cuore economico dell’isola, qui, secondo contratti stretti nel 2022, si produce il 66 per cento della domanda di semiconduttori mondiali, e il 90 per cento dei microchip di ultima generazione» racconta aRepubblica Wayne Wang, direttore del piccolo, tecnologicissimo museo dove sono mostrati gli ultimi prodotti qui sviluppati (dalla macchina a raggi x portatile al filtro per eliminare i leucociti durante i trapianti).
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Viaggio a Taiwan, lo strategico territorio ambito dalla Cina che tiene il mondo con il fiato sospeso e dove ci si prepara ad affrontare una guerra che la popolazione non vuole. Ma nonostante le tensioni di questa estate, nella capitale
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