Corriere della Sera, 16 ottobre 2022
La storia dei cattivi rapporti tra Berlusconi e Meloni
«Può la donna permettersi di stare alla pari con l’uomo? No! È aperto il dibattito». Nella casa del popolo del film d’esordio di Roberto Benigni si consumava l’eterno confronto, che ora, anche in politica, vede sul ring il campione non più in carica e la sfidante. Eccoli: Silvio Berlusconi, 86 anni, da Milano, Bilancia, 165 centimetri per 84 chili, pantaloncini azzurri. E Giorgia Meloni, 45 anni, da Roma, Capricorno, 163 centimetri per 54 chili, pantaloncini tricolore con Fiamma. Non solo pugni, sul quadrato, ma anche guerra psicologica. Mohamed Alì fustigava con il dispregiativo di «zio Tom» i suoi avversari neri. E i duellanti di oggi non sono da meno. «Supponente, prepotente, arrogante, offensiva», ferisce Berlusconi, «con lei non si può fare nessun accordo». «Non mi piaci, non ti devo nulla, io non sono ricattabile», sferza Meloni. Sembrano a prima vista coltellate dell’ultimo minuto, un c’eravamo tanto amati finito a carte bollate, con la «ragazzina che si è montata la testa» (copyright Gianfranco Fini) da una parte e il patriarca che, con un filo di machismo, difende il suo onore e la sua prediletta, Licia Ronzulli.
E invece no. A pelle non si sono mai sopportati. Lui che la fa ministra per i Giovani a nemmeno trent’anni. Lei che chiede agli atleti di non partecipare alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino nel nome del Tibet oppresso. Lui che la smentisce, Franco Frattini, il ministro degli Esteri di allora, pure. Lei che abbozza ma non abiura. Racconta che già al giuramento qualcuno del cerimoniale aveva avuto l’idea di metterla in fila in ordine di altezza, come i ragazzini delle colonie negli anni Cinquanta. «Tra Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo e Mariastella Gelmini sembro il brutto anatroccolo, qualcuno fa anche uno strepitoso fotomontaggio dove al mio posto c’è Kermit, la rana dei Muppet». Non è l’unico fake. Diventa virale un video durante il congresso del Pdl. Si sente la voce di Berlusconi, che la chiama in prima fila: «Dov’è la piccola?». Viene deformato in «Dov’è la zocc*?». E incredibilmente in tanti ci credono. Ma comunque, è convinta lei, mi chiamava piccola perché non si ricordava il mio nome.
Fastidiosamente irritante, nella sua insignificanza, pare che la giudichi fino da allora Silvio Berlusconi. Ma il primo incidente vero arriva a firma di un giornalista del Corriere, Fabrizio Roncone. La chiama e le racconta delle intercettazioni di telefonate tra aspiranti soubrette e Berlusconi, le ragazze erano in cerca di raccomandazioni. «Io ero al mare e dissi quello che pensavo e penso, e cioè che le raccomandazioni sono frutto di una società che non premia il merito, che le protagoniste della storia mi facevano tristezza e che il comportamento di Berlusconi, in quel frangente, da donna di destra, proprio non mi era piaciuto». Poi si rimette al sole. Ma all’alba la sveglia la telefonata di Ignazio La Russa: «Giorgia, ma come ti è venuto in mente? C’è Berlusconi fuori dalla grazia di Dio. Hai visto il titolo? “Questo Silvio non mi piace”. Lo sai che mi ha detto? Questa ragazza mi ha già rotto le palle». Nel suo libro Giorgia riconosce l’imprudenza, ma in realtà si appunta la lite al petto come una medaglia.
Il primo incidente
Meloni lo criticò per alcune intercettazioni
e lui si infuriò con «quella ragazza»
Poi c’è il capitolo primarie, chi se le ricorda? Si preparavano le elezioni del 2013 e Berlusconi, magari per gioco, aveva fatto credere a tutti che il leader del centrodestra sarebbe stato scelto con una consultazione popolare. Ci cascarono in tanti: almeno undici, se non di più, erano pronti a candidarsi. L’ultima a non voler credere che fosse tutto uno scherzo fu Giorgia Meloni, testarda fino all’ultimo, tra qualche inquietudine e tanti sberleffi. Racconta allora che salì le scale di Palazzo Grazioli, per dire a Silvio che si metteva in proprio. Lui le rispose, pragmatico: «Va bene, ho capito. Dimmi: che cosa vuoi?». Sono fatti così, nati per non capirsi. Lei andò a fondare Fratelli d’Italia, lui la guardò allontanarsi, con la pena di chi vede una che va a buttarsi dal ponte dell’Ariccia. Ma anche sulle cose piccole il rapporto è sempre urticante. Ha raccontato La Russa a Tommaso Labate: «Ce ne andiamo a pranzo a Villa Certosa, con Giorgia. Lui ci fa vedere le sue farfalle, vive e imbalsamate. E lei, rivolta a Silvio: tu sì che potevi invitare una ragazza a casa e mostrarle per davvero la collezione di farfalle...».
Quando Salvini scavalca Forza Italia alle elezioni del 2018 si prende il diritto di parlare lui dalla tribunetta del Quirinale. Berlusconi lo tratta da ragazzo di bottega e mentre parla mima con le dita: uno, due, tre... come a controllare che abbia ripetuto bene la lezione. Matteo ne esce irritato, ma è Giorgia che, a favore di labiale, si rivolge a Silvio furiosa. Lui, a sua volta, non è mai tenero con lei. Liquidatorio: «Meloni? È leader a casa sua». Glaciale: «Non sostiene Draghi? Ne prendo atto con rispetto e con rammarico». Augurante: «Si isola e farà la fine della Le Pen».
L’ultima puntata si chiude con Berlusconi che sbatte la penna e digrigna i denti, e con Meloni glaciale, tanto da far rimpiangere di non essere su Netflix, che le serie le dà tutte di fila, e non devi aspettare per sapere come va a finire. Nel frattempo vale, metaforicamente (e pacificamente) parafrasando, il comandamento di Lee Van Cleef, il cattivissimo dei film western: «Se spari a un alleato uccidilo, o prima o poi lui ucciderà te».