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 2022  ottobre 15 Sabato calendario

Storia di "Via col vento"

«Rossella O’Hara non era propriamente bella, ma gli uomini incantati dal suo fascino, come i gemelli Tarleton, quasi non se ne accorgevano». Quell’incantesimo, Rossella O’Hara sembrava spargerlo su chiunque, non solo nei dintorni di Tara, o ad Atlanta, o fra i soldati della sua Georgia dove un mondo, quello del Sud degli Stati Uniti, andava dissolvendosi nella Guerra civile: la protagonista di Via col vento conquistava chiunque la incontrasse, fin dalle prime righe del romanzo di Margaret Mitchell. Il libro uscì nel 1936, vinse il Pulitzer, fu un successo clamoroso e divenne poi uno dei film più grandiosi della storia di Hollywood: otto Oscar (nel 1940), più due statuette speciali, Clark Gable e Vivien Leigh indimenticabili nel ruolo di Rhett Butler e Rossella, milioni di spettatori e di incassi (ne ha detenuto il record per venticinque anni). Detto così, suona facile: il fascino di Rossella aveva fatto terra bruciata intorno a sé, ma in senso positivo, al contrario di quanto accaduto alla amata tenuta di famiglia, distrutta dalle truppe nordiste...
E invece, beh, non è andata proprio così. Nel senso che Rossella, così capricciosa, sensuale, istintiva, ben poco signorile per come doveva essere una signora (e ancor più una signorina...) all’epoca conquistò davvero tutti, lettori e lettrici soprattutto; ma divenne anche, subito, un’ossessione per chi da lei era stato attratto. Impossibile liberarsi da Rossella: nel romanzo, come nella realtà. È questo il fil rouge che accompagna la sorte del romanzo e poi del film, che uscì per la prima volta in una sala di Atlanta il 15 dicembre 1939: un destino di successo immenso ma, anche, di distruzione, di meschinità, di caduta, che viene raccontato da François-Guillaume Lorrain, scrittore e inviato speciale di Point, nel suo Rossella (Corbaccio, pagg. 332, euro 18,60). Un romanzo pieno di aneddoti, curiosità, retroscena e battute, che ripercorre «L’incredibile storia del più grande film mai realizzato», all’epoca d’oro di Hollywood, quando i produttori erano ancora coloro che avevano dato i nomi alle grandi case come la Mgm, la Fox, la Goldwyn, la Warner... E quando gli attori in ballo per i casting erano Gary Cooper, Clark Gable, Bette Davis, Katharine Hepburn, Lana Turner...
Per cominciare dall’inizio, Margaret Mitchell non voleva nemmeno pubblicare il suo romanzo. Era stata una giovane che aveva conosciuto, una certa Lois Cole, che aveva suggerito al suo capo alla Macmillan, Harold Latham, di andare a sbirciare fra le sue pagine. E Latham, fidandosi, da New York era andato ad Atlanta, e aveva bussato alla porta della signora Mitchell la quale, a differenza di ogni aspirante scrittore, non voleva parlare del suo manoscritto: voleva parlare di cornioli. Insomma, non c’era speranza. Ma poi Margaret Mitchell ci aveva ripensato, e si era presentata da Latham con una pila infinita di fogli, che lui aveva stipato in una enorme valigia e portato a New York, dove Lois Cole era stata la prima a essere presa da quel virus che presto avrebbe contagiato la nazione intera: la «febbre di Rossella».
Prima che il libro venisse pubblicato, gli agenti più svegli avevano già cercato di piazzarne i diritti presso una delle major hollywoodiane. Ma si era creato uno strano cortocircuito: nessuno si fidava a fare un film sulla Guerra di secessione e sul Vecchio Sud, come erroneamente qualcuno lo sintetizzava. Fra costoro c’era anche David O. Selznick, che non capiva l’ossessione di Kay Brown, di solito così misurata e affidabile, e che sembrava preda di una inspiegabile frenesia di convincere il suo capo ad acquistare i diritti di quel tomone. Ci aveva pensato la moglie Irene a fargli cambiare idea: alzando il naso dalle pagine di Via col vento, che stava divorando, gli aveva spiegato che quello era un romanzo su uomini e donne, e di una donna completamente diversa dal solito, una donna che tante criticavano, e che tutte avrebbero voluto essere. A partire dalle attrici di mezzo globo, come sarebbe presto emerso...
David O. Selznick non era un uomo qualsiasi. Figlio di un immigrato ucraino, Lewis J. Selznick, che aveva fondato una piccola casa di produzione, era il pupillo del padre: fin da ragazzo si occupava del marketing, dei casting, delle strategie della World Film Corporation. Per dire, nel 1917 si era preso la libertà di fare un’offerta di lavoro allo zar Nicola Romanov, rimasto disoccupato... Poi, David aveva sposato Irene, la figlia adorata di Louis B. Mayer. Ovvero il proprietario della Mgm, l’imperatore delle produzioni hollywoodiane, di cui David era diventato socio. Ma il suocero, per Selznick, era un tiranno, che aveva affondato i sogni di gloria del padre, che invece David, da bravo pupillo, avrebbe rinverdito: così aveva mollato la Mgm e fondato la Selznick International Pictures, e iniziato a produrre una serie di trasposizioni letterarie per alimentare la sua ambizione. Cioè superare Mayer.
Insomma, Rossella stava per catturare un’altra preda, la più grossa. Da quando mise le mani sui diritti di Via col vento, David O. Selznick ne fu completamente travolto: avrebbe realizzato il film più grande della storia di Hollywood, solo che prima avrebbe dovuto trovare uno sceneggiatore in grado di gestire tutte quelle pagine, un costumista capace di giostrarsi fra oltre cinquemila abiti diversi, un regista capace di girare un film di quattro ore e di sopportare manie e follie di attori e produttore (infatti cambiò in corso d’opera, e George Cukor fu sostituito da Victor Fleming), una quantità di soldi spropositata per l’intera produzione e per le scenografie in particolare e destinata a lievitare col passare dei mesi e poi, soprattutto, un intero cast, fra cui l’eccezionale governante di colore Mami, l’ambiguo Rhett Butler, l’insulsa e buonissima Melania, l’impalpabile Ashley e ovviamente lei, l’inarrivabile Rossella. E qui incrociò una donna la cui ossessione per la creatura di Margaret Mitchell era quasi pari alla sua: Vivien Leigh, attrice britannica (ma di sangue irlandese e francese) dagli occhi verdi, splendida, legata al re della recitazione inglese, Laurence Olivier (negli anni ’30, i due non erano ancora sposati e la loro era una relazione clandestina). Dall’Inghilterra, Vivien Leigh assisteva alla diffusione inarrestabile della «febbre di Rossella» fra le attrici: quel diavolo di Selznick, fiutando l’ulteriore coinvolgimento del pubblico, aveva addirittura lanciato un concorso per scegliere la migliore interprete per quel ruolo, con tanto di selezionatori che avrebbero battuto il territorio nazionale. Intanto, una dopo l’altra, incontrava e/o scartava attrici come Katharine Hepburn, Lana Turner, Ingrid Bergman, Paulette Goddard... Quest’ultima gli pareva perfetta, e aveva anche superato l’ostacolo frapposto dal marito Charlie Chaplin, suo vicino di casa, solo che... lei e Chaplin non erano veramente sposati, e questo, per il pubblico americano dell’epoca, sarebbe stato inaccettabile. Come Vivien Leigh finisca per conquistare il ruolo, a dieci giorni dall’inizio delle riprese, ha del miracoloso. Come Selznick, mese dopo mese, finisca per ricadere nelle mani e nelle tasche del suocero, in primis per avere Clark Gable, è invece disastroso.
E disastroso, per la sua salute, è il meccanismo che lo travolge, fra sesso (le attrici finiscono spesso nel suo studio, e non per fare veri provini...), pillole, soldi buttati, e un’intera «fabbrica» costruita apposta per stare dietro alla sua infinita ossessione. Il film sarà un successo immenso, che si mangerà sia Selznick, sia la sua meravigliosa Rossella in carne e ossa. Ma anche la loro storia è un romanzo da divorare, come Via col vento. Anche qui non c’è l’happy end. Ma tanto poi si sa, domani è un altro giorno.