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 2022  ottobre 15 Sabato calendario

Il XX congresso del partito comunista cinese

Pechino è pronta a sancire l’inizio del terzo atto della nuova era. Dopo i test Covid del caso, circa 2300 delegati in rappresentanza di circa 96 milioni di membri del Partito comunista, provenienti da tutti gli angoli della Cina, varcheranno la soglia della Grande Sala del Popolo di piazza Tiananmen. A poco più di 10 chilometri di distanza dal ponte su cui giovedì sono apparsi striscioni in una protesta individuale ma inedita per modalità e tempistiche. Ascolteranno la relazione di Xi Jinping, che elencherà gli «storici» risultati raggiunti negli ultimi cinque anni. Poi ci si ritirerà in un “conclave” per lo più a porte chiuse, dal quale usciranno i nomi che guideranno Partito e dunque paese nel prossimo quinquennio. La conferma di Xi per uno storico terzo mandato da segretario generale non è in dubbio. Ma in gioco ci sono anche tutte le altre poltrone, che diranno tanto della Cina che verrà.
Solo quando saliranno sul palco, si saprà chi saranno i componenti del nuovo Comitato permanente. Degli attuali 7, due dovrebbero lasciare il posto per limiti d’età: Li Zhanshu (fedelissimo di Xi) e Han Zheng (fazione di Jiang Zemin). L’influenza di Xi sembra destinata a crescere. Secondo le stime di MacroPolo, nel nuovo Politburo uscente il 90 per cento dei membri potrebbe avere legami diretti con Xi (ora è il 60). La partita più importante è quella sul premier. Li Keqiang, spesso descritto come rivale di Xi, lascerà il ruolo. Per prenderne il posto, i più quotati sembrano Wang Yang e Hu Chunhua. Il primo è considerato un riformista fautore del “modello Guangdong”, il secondo è il più giovane tra i quattro vicepremier. Entrambi hanno legami con la Lega della gioventù comunista, fazione considerata rivale a Xi, e con l’ex presidente Hu Jintao. Ma negli ultimi anni gli hanno mostrato fedeltà.
Si attendono indicazioni rilevanti sulla politica economica. Nelle loro relazioni, i leader sono soliti indicare lo sviluppo economico come «la priorità assoluta» del Partito. Xi potrebbe rompere la tradizione e utilizzare una formula che bilanci sviluppo e sicurezza. Il mantra della sicurezza nazionale ha accompagnato i primi 10 anni di Xi ed è prevedibile che lo faccia ancora di più nei prossimi. La campagna di rettificazione del settore digitale privato e le linee rosse imposte all’immobiliare dimostrano che Pechino persegue un modello di crescita più ordinato, posto sempre più sotto il controllo diretto dello stato.
Anche la strategia zero Covid, che sta costando diversi punti percentuali nelle previsioni di crescita del pil per il 2022 mentre aumenta la disoccupazione giovanile, non sembra verrà abbandonata presto. Gli articoli dei media statali e i documenti ufficiali hanno spento le speranze di chi sperava in un rilassamento delle restrizioni subito dopo il Congresso. Xi si attesterà il successo di aver vinto la guerra contro il “demone” del virus e rimarcherà il numero di contagi e vittime infinitamente più basso rispetto a quello dei paesi occidentali. Per la narrativa del Partito si tratta della dimostrazione dell’efficacia del suo modello e del suo rispetto dei diritti umani. «La perseveranza è vittoria», diceva Mao Zedong. Una massima rispolverata per provare a convincere i cinesi a continuare a combattere una guerra da cui tanti vorrebbero disertare.
Finito il ventennio di “opportunità strategiche” profetizzato da Jiang Zemin nel 2002, ora Pechino è nel mirino degli Usa. E non nasconde più la sua forza come voluto da Deng Xiaoping ma mostra chiaramente le sue ambizioni. Nel 2021 è diventata una società “moderatamente prospera”, ora persegue il “ringiovanimento nazionale” e la soluzione della “questione” Taiwan dopo aver sistemato Hong Kong. Ma la Repubblica Popolare sa che per completare il “sogno cinese” e realizzare una “società armoniosa” entro il centenario del 2049 dovrà navigare acque tempestose. Le turbolenze esterne, dall’Ucraina alla penisola coreana, diventano sempre più forti. E accentuano l’ammodernamento e potenziamento del suo esercito. Xi, che è anche capo della Commissione militare, cercherà di far promuovere generali a lui vicini per avere mani più libere su eventuali azioni future. Allo stesso tempo si proporrà come “garante di stabilità” nelle regioni in via di sviluppo attraverso la Global Security Initiative, creatura sucessiva alla Belt and Road. I venti di decoupling accelerano il desiderio cinese di autosufficienza. A partire da quella tecnologica. Una Cina più forte, nonostante le incognite, ma anche più lontana. —