La Stampa, 15 ottobre 2022
Potenti provvisori
Simone Weil pensava che l’Iliade fosse l’unica vera epopea occidentale, ed esce dal genio greco perché soltanto i greci ebbero la forza d’animo di non mentire a sé stessi. La tragedia attica, di Sofocle e di Eschilo, è la continuazione dell’epopea che si conclude col Vangelo. Poi l’Occidente si spegne. I greci non mentirono a sé stessi, colsero la pienezza della loro miseria, quella che accomuna l’uomo potente e l’uomo debole, perché l’uomo potente sa di dover soccombere, presto o tardi, sotto la sua stessa potenza. La forza che esercitiamo ogni giorno, in guerra o nelle relazioni umane, è effimera e transitoria ed è la nostra condanna: più forza useremo, più forza subiremo. Per questa consapevolezza, dice Simone Weil, i greci seppero raggiungere in ogni campo il più alto grado di lucidità, purezza e semplicità. Uno spirito che ha attraversato l’uomo greco per secoli, dall’Iliade al Vangelo, e nel Vangelo la miseria è squadernata senza freni, l’uomo è fallace, disperato, solo, trema davanti alla sventura e alla morte pure se è un essere divino congiunto alla carne umana. La consapevolezza della miseria è una condizione della giustizia e dell’amore, e invece di lì in poi l’uomo occidentale ha celebrato la sua forza con archi di trionfo, palazzi dorati, poemi di gesta eroiche, in cui la finitezza della forza viene ribaltata e resa immortale, cioè chi la esercita si sente irrimediabilmente nel giusto, e la infligge a chi crede irrimediabilmente nell’errore. Alla malinconia della forza si è sostituita l’esaltazione e l’arroganza: a questo mi è capitato di pensare davanti ai nuovi potenti provvisori issati sui loro troni.