Robinson, 15 ottobre 2022
Biografia di Ada Negri
Orfana di padre, cresciuta con la madre operaia e con la nonna – la vita le offre un incipit da romanzo cupo, quasi dickensiano ( e nasce nell’anno in cui Dickens muore). Ma è una storia di riscatto e di rivalsa: gli sforzi materni le consentono di studiare, di diventare maestra; di cominciare a scrivere, poco più che ventenne, sul giornale stampato a Lodi, sua città natale, Il Fanfulla. La fama postuma l’ha relegata in una ingenerosa biblioteca di tardo crepuscolarismo, ma Ada Negri – in un mondo di letterati diffidenti quando non apertamente misogini – si ricava uno spazio di credito e di grande popolarità.
Pirandello la giudica sentimentale e retorica, e l’etichetta è pesante, ma il suo lavorio sugli stati d’animo, sulle tempeste del cuore, non è convenzionale come può apparire a una lettura distratta e pregiudiziale. I versi – nelle prime prove irrigiditi dalle forme chiuse e da un timbro tipico della poesia italiana di fine Ottocento, tra Carducci e il primissimo d’Annunzio – cercano però un’autonomia di sguardo. Che spesso raggiunge luoghi inosservati dai maestri: i luoghi della privazione, della miseria.
Negri cerca i volti e le vicende degli umili, dei dimenticati dalla storia. I sacrifici indica non a caso il titolo di una poesia della raccolta Tempeste ( 1895), che Edizioni Ensemble rimanda in libreria con la cura di Dario Pontuale e la prefazione di Alessia Bronico: ed è la messa a fuoco di una maestra di scuola, «rassegnata calma paziente». «Morrà un giorno sola», immagina Negri, che conosceva bene le aule fredde e l’amaro di una giovinezza votata a preparare l’avvenire dei «figli d’altri». In poesia tanto quanto in prosa, la scrittrice raduna le protagoniste per una ideale galleria di «solitarie» (altro titolo – Le solitarie – appena ristampato da Ensemble): e sono vedove, acrobate del circo, fidanzate che attendono e fremono e qualche volta sanno odiare. Nei racconti inclusi nella raccolta del 1917, Feliciana, Raimonda, Fresia sono figure perlopiù segnate, quando non straziate, dal peso di una vita non scelta. Ma dimostrano una ostinazione, una tenacia che coincide con la loro stessa dignità: «Vi è contenuta tanta parte di me – scrisse Negri a proposito del libro -, e posso dire che non una di quelle figure di donna che vi sono scolpite o sfumate mi è indifferente. Vissi con tutte, soffersi, amai, piansi con tutte».
Protofemminista? Capace di travasare la cronaca del proprio tempo in poesia, di portare in versi uno sciopero operaio, di restituire a una tessitrice il posto che le spetta in una società che l’ha schiacciata: tanto più che si è decisa, Feliciana, di fare a meno dei maschi. «Suo marito era morto in tempo. Per due bimbi piccoli, è ben più provvida una madre vedova, ma attiva e sana, che non lo siano cento padri beoni. E basta, di uomini, nella sua vita. Quell’uno, in sette anni di malinconica esperienza coniugale, gliene aveva lasciata la nausea. Avrebbe tirato il carro da sola, fino a quando le fossero bastate le forze; e allora i ragazzi, cresciuti ed a posto, avrebbero pensato a lei». Altro che sentimentale!
Chi ha paura di Ada Negri? Una socialista melanconica, «rozza figlia dell’umile stamberga», che si apre, attraverso la letteratura, uno spazio di azione politica: attivissima sui giornali, costruisce una rete “militante” di alleanze istituzionali milanesi, con la Società umanitaria, l’Università popolare, l’Unione Femminile Nazionale. Con Ersilia Majno contribuisce alla fondazione dell’Asilo Mariuccia – il più delle volte citato a sproposito e in accezione negativa nelle frasi fatte dei maschi ( anche politici) ignoranti – per «addestrare all’emancipazione le fanciulle pericolanti», offrire ricovero e sostegno alle ragazze madri e combattere la prostituzione.
Il fascismo della prima ora la attrae,coniugando le istanze socialiste a un severo spirito patriottico; il Premio Mussolini ricevuto nel 1931 e l’ammissione nell’Accademia d’Italia un decennio dopo ( prima donna a farne parte) la rendono ascrivibile a una schiera di intellettuali non sgraditi al regime e tuttavia capaci di restare indipendenti.
Il poeta Silvio Raffo, introducendo il volume mondadoriano che raccoglie la produzione poetica di Negri, parla di una autentica “damnatio memoriae”: un caso clamoroso di oblio volontario da parte della critica letteraria – e forse però anche di incomprensione. E ce la mostra – arrivata alla fine della sua vita – «intenta a leggere con l’aiuto di una lente accanto alla stufa a carbonella», incupita dal dolore e dallo sdegno per l’Italia in guerra. In una poesia della raccolta Il dono( 1936) si rivolge alla morte come «sorella della vita» : «Perché / fra il basso peso della carne e il soffio / in cui respira, Iddio, nel punto estremo / del separarsi, così stretto è il nodo / che lo strappo è martirio?».
Non c’è risposta possibile, soltanto silenzio. «È la tua legge. E l’improvvisa / pace che imbianca come un’alba il volto / di chi trapassa, unica a noi può dire / quanto sia bello, quanto dolce, dopo / la scissione, il tuo riposo,o morte».