la Repubblica, 15 ottobre 2022
Putin non è dispiaciuto
Non ha rimpianti Vladimir Putin. E a quanto pare neppure rimorsi. «Voglio esser chiaro: quello che sta accadendo ora è spiacevole, ma se la Russia non avesse attaccato l’Ucraina il 24 febbraio, ci saremmo ritrovati in questa stessa situazione un po’ più tardi, solo che le condizioni sarebbero state peggiori per noi. Quindi stiamo agendo in modo corretto e tempestivo», ha detto. È stato un Putin senza tentennamenti, ma a tratti più moderato, quello che ieri ha risposto alle domande dei giornalisti a conclusione delle due giornate ad Astana, in Kazakhstan. Si è detto «aperto» a negoziati. Ha riconosciuto per la prima volta le preoccupazioni dei partner ex sovietici e asiatici. E assicurato che la mobilitazione «parziale» finirà entro due settimane. L’unico accenno a una nuova escalation è stato quando ha detto che «uno scontro diretto tra truppe Nato ed esercito russo sarebbe un passo molto pericoloso che potrebbe portare a una catastrofe globale. Mi auguro che chi ne parla abbia abbastanza buon senso da non compiere passi così pericolosi».
I toni più pacati potrebbero fare parte di quella che l’analista Andrej Pertsev s uMeduza ha definito nuova «opzione tattica» ricordando le precedenti aperture ai negoziati del capo dell’intelligence estera Serghej Naryshkin e della presidente del Senato Valentina Matvienko. Mosca, secondo fonti del Cremlino citate da Pertsev, vorrebbe arrivare quantomeno a un cessate il fuoco temporaneo per guadagnare tempo così da addestrare i russi mobilitati e compensare le perdite di equipaggiamenti in vista di una «nuova offensiva su vasta scala» che potrebbe iniziare tra febbraio e marzo del 2023. Per il bene di questo accordo, sarebbe pronta a ritirare le sue truppe da almeno parte del territorio di Kherson che controlla.
La Russia «non mira a distruggere l’Ucraina», ha assicurato Putin ieri dicendosi soddisfatto dei raid «massicci» di lunedì e martedì, ma aggiungendo di non averne pianificati altri «nell’immediato». «Su 29 obiettivi, soltanto sette non sono stati colpiti come previsto dal ministero della Difesa, ma gradualmente ci arriveranno. Non c’è bisogno di raid massicci, almeno non per ora. In futuro, vedremo». Neppure una nuova ondata di mobilitazione è all’ordine del giorno, secondo il presidente russo. A sua detta, sarebbero stati reclutati 222.000 uomini sui 300mila previsti, di cui 16.000 già in «unità impegnate in combattimento». «Non è previsto nulla di più. E non è necessario nel prossimo futuro», ha spiegato aggiungendo di prevedere la fine della mobilitazione «in circa due settimane».
Commentando i due incontri di ieri ad Astana, il summit della Comunità di Stati Indipendenti (Csi) formata da ex Repubbliche sovietiche e il vertice Russia-Asia Centrale, Putin ha riconosciuto la preoccupazione dei partner «per gli sviluppi futuri nelle relazioni russo-ucraine». «Li tengo informati, dico loro il nostro punto di vista. Ma ciò non influisce sul carattere, sulla qualità o sullaprofondità delle nostre relazioni», ha detto. Quanto a India e Cina, «parlano sempre della necessità di stabilire un dialogo e di risolvere tutto pacificamente, conosciamo la loro posizione. Sono nostri stretti alleati e partner e rispettiamo la loro posizione». Putin si è detto comunque «aperto» alla mediazione di Paesi come Turchia o Emirati Arabi Uniti, ma ha addossato le responsabilità di mancati colloqui agli altri. «Kiev continuava a dire di voler negoziati, ma ha preso una decisione ufficiale che li vieta», ha rimarcato. Mentre di colloqui con il presidente statunitense Joe Biden, ha detto di «non vederne la necessità». «Al momento non esiste una piattaforma negoziale. Bisogna chiedergli se è pronto a condurre tali negoziati con me o meno». Peraltro, ha aggiunto, «la Russia parteciperà sicuramente» al G20 di novembre in Indonesia, ma «la questione del mio viaggio lì non è stata ancora decisa in modo definitivo. Ci penseremo».
Dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan intanto non sono ancora arrivate proposte concrete di mediazione, bensì l’incarico al suo governo di iniziare a lavorare all’hub del gas proposto da Putin. Preoccupano le dichiarazioni del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko che ieri ha annunciato il dispiegamento al confine meridionale con l’Ucraina di un raggruppamento di forze russe e bielorusse e annunciato di aver posto il Paese in regime di allerta anti- terrorismo. Mosse che fanno temere un suo maggiore coinvolgimento nella cosiddetta “operazione militare speciale”. Intervistato da Nbc, Lukashenko ha inoltre avvertito Ucraina e Occidente di «non mettere nell’angolo» il suo alleato. «Dio non voglia che la Russia debba usare le armi nucleari».