Corriere della Sera, 15 ottobre 2022
Chi la chiama Linuccio?«Mio fratello e mia sorella. E un pochino il mio migliore amico, Jager. Anche io mi chiamo Linuccio quando parlo con me stesso»
Chi la chiama Linuccio?
«Mio fratello e mia sorella. E un pochino il mio migliore amico, Jager. Anche io mi chiamo Linuccio quando parlo con me stesso».
Chi la chiama Pasquale?
«Quelli che pretendono di essere in confidenza con me, ma non mi conoscono, altrimenti saprebbero che neppure mia madre mi chiamava così».
E sua moglie Carlotta?
«Lei Linusc, con la esse romagnola».
Pasquale Di Molfetta detto Linus compie 65 anni il 30 ottobre e ne dimostra dieci di meno. Figlio di Michele, artigiano che costruiva e vendeva cornici porta a porta, e di Maria, casalinga pragmatica di Canosa di Puglia (come il marito), fa radio dal 1976. Direttore storico di Radio Deejay (dal 1994), oggi guida il polo radiofonico del gruppo Gedi.
Se le dico casa?
«Ho trascorso metà della mia vita a Paderno Dugnano, dove ci siamo trasferiti quando avevo due anni e mezzo, l’altra metà a Milano. Mi sento milanese. Spesso mi esprimo in automatico con frasi come “Va a ciapà i ratt”...».
Il primo ricordo di Milano?
«Ero un bambino asmatico e i miei genitori mi ci portavano per le cure. Venivo in treno con mamma o in Lambretta con papà: stavo in piedi davanti, mentre lui guidava, fumava e mi spiegava quello che vedevamo. Ho queste visioni di Milano molto luminosa, molto bianca, compresi i marmi della Stazione Centrale! Ricordo strade larghe, tanta luce, tanta gente».
È più andato da Sgaramella, il bar dove suo padre la trascinava quando giocava a carte?
«Ci passo davanti ogni tanto. Andare a Paderno Dugnano significa tre cose: trovare mia sorella, che sta ancora lì, i miei al cimitero o prelevare Jager per un giro in bici. Sgaramella è sempre lì, ha cambiato nome cento volte».
Ai tempi suo padre aveva 45 anni, e le sembrava già anziano. Che effetto le fa, oggi?
«Continuo a fare paragoni. Io somiglio molto a mia mamma, come carattere e nei lineamenti. Lei è morta a 66 anni ed era nata nel ‘23. Io nel ‘23 avrò 66 anni. Questa simmetria di numeri al contrario mi inquieta».
Ha mai fatto un regalo simbolico ai suoi?
«Loro andavano poco in vacanza. Un po’ perché non se lo potevano permettere, un po’ perché mia madre non la smuovevi. Poi ho affittato una casa in montagna per un anno, e lei c’è andata un mese d’estate. Credo si sentisse come la moglie di Kennedy».
Ha fatto in tempo a vedere il suo successo?
«Il successo sì, nel 1984 facevo già Deejay Television. Se n’è andata nell’89 e non ha fatto in tempo a vedere nessuno dei nipoti. Ma è riuscita a vedere me e mia sorella sposati: per lei era un gran traguardo».
Un’immagine che le fa ancora tenerezza?
«Un martedì mattina mio padre ci chiama dicendo che stava male, il giovedì mattina è mancata. In ospedale non era più la mamma poco affettuosa cui eravamo abituati. A un certo punto mi chiede di andare a casa sua e controllare sotto il materasso dov’era il suo borsellino: dentro c’erano 30 milioni di lire. Le loro finanze erano sempre state precarie, ma lei era riuscita a risparmiare negli ultimi anni di nuovo benessere, privandosi di chissà quali cose».
Lei si spende molto per Milano. Penso solo alla Deejay Ten, che organizza dal 2005. Le piacerebbe diventare sindaco?
«Mi piacerebbe nel senso che a me piace gestire le cose e quello del sindaco, alla fine, è un lavoro gestionale, si è un po’ spogliato delle valenze politiche. Gestire le cose vuol dire gestire le persone, che è quello che faccio a Radio Deejay dalla fine del ‘94. Dunque sarebbe divertente, mia madre sarebbe contenta».
Chi è il sindaco che le è piaciuto di più?
«Dal punto di vista dell’apertura culturale Milano è cambiata con Pisapia. Poi ho rivalutato la Moratti: l’ho conosciuta meglio ed è una persona molto capace e di spessore. Ma la rivoluzione l’ha fatta Beppe Sala».
Un difetto di Milano?
«Oggi la creatività viene vissuta come coniugazione di business, moda e design. Ma così è lontana dalle persone. Noi siamo stati la città di Leonardo da Vinci, caspita! Ora invece siamo la città di Armani, al quale non mancherei mai di rispetto, ma lui per primo prenderebbe le distanze da questo paragone».
Ha un legame fortissimo con Riccione, città di sua moglie e appendice estiva di Radio Deejay. Il sindaco lo farebbe lì o a Milano?
«Meglio Milano: Riccione è troppo piccola e avresti sempre davanti un elettore che ti rinfaccia quel che stai o non stai facendo!».
Fa la radio da quasi 50 anni. «Fino a quando» vuole continuare, per citare il suo libro?
«La gente è convinta che lo abbia scritto come provocazione, ma è un pensiero che mi accompagna tutto il giorno. Le cose belle prima o poi devono finire e non voglio che succeda a sfumare. Nel 2023 mi scade il contratto: mi hanno già proposto un rinnovo di 5 anni, ma non ho ancora firmato. Comunque non è detto che ci arrivi al 2023, no?».
Se togliamo Radio Deejay, chi è Linus?
«Non credo di essere molto diverso da chi ero prima di diventare famoso. Sono una persona che ha bisogno di sentirsi benvoluta».
Dei «Ragazzi di via Massena» molti hanno sfondato in tv. Ha un rammarico?
«Sarei bugiardo se dicessi che non ho quel tipo di rammarico. Ma non perché la tv sia piu bella della radio: è che a volte ho un po’ di frustrazione nel percepire il mondo radiofonico come se fosse di Serie B».
Un ricordo di quando faceva l’operaio, tagliando e incollando grandi fogli di kevlar?
«Il freddo terrificante. Lavoravamo in un capannone, d’inverno ero costretto a indossare calzamaglia, jeans, quattro maglioni uno sopra l’altro. Avevo 18-19 anni e il mio sogno era avere un lavoro qualunque nel quale potermi vestire come un ragazzo della mia età».
La Porsche quando è arrivata?
«Tardi, mi ha incoraggiato Nicola Savino, a me imbarazzava. La prima l’ho comprata 5-6 anni fa, il colore più discreto possibile, coupé normale. L’ho rivenduta con seimila chilometri. Ora ho una Porsche Targa, quella che volevo davvero. Quando facevo le superiori a Cesano Maderno c’era un tale con un Carrera Targa arancione che mi sembrava venisse da Marte».
Perché la usa così poco?
«Per me è come aver comparto un’opera d’arte. Mi obbligo a usarla una volta alla settimana per venire alla radio: 4 chilometri ad andare e 4 a tornare. Non la uso nemmeno per andare a Riccione, poi diventa scomoda».
Parliamo di Carlotta. Quando l’ha conosciuta aveva 16 anni. Vi siete messi insieme cinque anni dopo. È una storia romantica.
«Sì, è vero. Mi chiedo ancora cosa abbia trovato in me: non potremmo essere piu diversi. Lei era così carina, io veramente uno sfigato».
Che cosa è per lei?
«Il mio equilibratore. Ho un’inclinazione alla cupezza che ho preso da mia mamma. Ho bisogno di stare con la gente. Carlotta è socievole, solare, positiva e mi compensa».
I figli vivono ancora con voi?«Fino a qualche mese fa Michele, il piccolo, viveva a Madrid, dove faceva il liceo, e Filippo, il grande, a Milano con altri due amici. Filo a breve dovrebbe trasferirsi a Roma per lavoro e così ha deciso di tornare con noi. Lo stesso Michi. Così io e mia moglie ci siamo ritrovati tutti in casa: in certi momenti è complicato».
Nessuno ha seguito le orme del padre?
«Michi diventerà il più bravo dj dei prossimi 20 anni. Con lui l’accordo è che comunque deve fare l’università e un percorso convenzionale: di fianco può fare quello che vuole».
E se le dicesse che vuole lavorare a Rtl?
«Gli chiederei se è impazzito! Per adesso sta imparando il mestiere da m2o, con mio fratello Albertino, che è il direttore artistico».
Com’è fare il capo del proprio fratello?
«La cosa piu complicata del mondo... Sono contento che adesso abbia la sua radio. Io, come suo direttore editoriale, lo guardo e lo lascio fare. Prima avevo spesso l’atteggiamento del fratello maggiore che rompe le scatole».
L’ospite che l’ha emozionata di più?
«Peter Gabriel, per fascino e umanità».
Quello che ha agitato di più la palazzina?
«Henry Winkler: Fonzie di Happy Days. Sono venuti da tutti i piani per foto e autografo».
L’intervista più bella?
«A Kobe Bryant, per la sua capacità di essere sia uomo di spettacolo che persona molto semplice. Quando è venuto da noi, una decina di anni fa ed era già famoso, si ricordava di me: a 15 anni era in italia e mi guardava a Deejay Television. È stato un ribaltamento dei ruoli bizzarro ed emozionante».
Farebbe il giudice a «X Factor»?
«No, perché non mi piace questa spettacolarizzazione del giudizio. Il programma è fantastico, ma non ritengo di essere così esperto da dire tu vai bene o non vai bene. Semmai sono in grado di dire con buona approssimazione se una canzone sarà un successo o no».
Chi è il cantante più grande di tutti i tempi?
«Elvis».
Se le dico dipingere?
«Meglio: disegnare. Ho avuto ospite Zerocalcare e lo invidio. Fa quello che avrei sempre voluto fare. Startene nella tua stanza con la radio accesa e disegnare per me significava il paradiso, il lavoro più bello del mondo».
E se chiedessimo a Linuccio di disegnare la sua famiglia, cosa farebbe?
«Disegnerebbe qualcosa tipo il Quarto Stato di Pellizza da Volpeda, con tanta gente, perché la mia famiglia è molto allargata, non riesco a pensare solo a noi quattro. Mi piace pensare che lì dietro ci sono le famiglia di ognuno di noi e poi le loro famiglie e poi gli amici di quando ero piccolo. E così via...».