Corriere della Sera, 15 ottobre 2022
Biografia di Xi Jinping
Non concede interviste, non accetta conferenze stampa, non comunica sui social media; i suoi vari uffici, di Segretario generale del Partito comunista, di Presidente della Repubblica popolare, di Capo della Commissione militare centrale non hanno numeri di telefono pubblici. Resta un segreto di Stato chi sia davvero Xi Jinping e che cosa pensi quest’uomo di 69 anni che uscirà dal XX Congresso del Partito-Stato, che si apre domenica 16 ottobre, con altri cinque anni di potere assoluto. Della sua vita la propaganda cinese diffonde solo foto selezionate con cura e memorie agiografiche. Il resto sono testimonianze filtrate dall’ombra.
Il principe istruito
È figlio di un compagno della prima ora di Mao, quindi è un «principe rosso», membro della nobiltà comunista destinata al comando. Però il padre, Xi Zhongxun, fu purgato nelle lotte di potere degli Anni Sessanta e secondo la biografia della Xinhua intitolata Uomo del popolo, il ragazzo Xi «soffrì umiliazioni pubbliche, la fame, restò senza casa e finì anche in cella». Si dice che in quegli anni terribili una sorella maggiore di Xi si sia tolta la vita, sopraffatta dalle vessazioni pubbliche.
Quando aveva 15 anni, anche Xi fu spedito come «giovane istruito», con decine di migliaia di coetanei a zappare in campagna «per essere rieducato dai contadini più poveri»: così ordinava la Rivoluzione culturale. Il salto da Pechino a un villaggio sperduto nella provincia nordoccidentale dello Shaanxi, alloggiato in una grotta illuminata dalle candele, dev’essere stato uno choc. A quanto si dice, il giovanotto pensò di imboscarsi, ma fu costretto dalla madre a tornare nei campi, per non disonorare la famiglia e per non perdere la possibilità di riprendere un giorno il cursus honorum.
Ritorno a Pechino
Nel 1976, finita la Rivoluzione culturale, tornò a Pechino. Le amicizie di famiglia gli permisero di entrare a 22 anni nella celebre università Tsinghua e laurearsi in ingegneria chimica. Però dovette presentare dieci volte domanda di ammissione al Partito, prima di ricevere la tessera. Un suo amico di quegli anni giovanili ha raccontato che Xi era «un sopravvissuto della Rivoluzione culturale», uno che aveva deciso di scampare agli anni di follia maoista «diventando più rosso del rosso».
I due matrimoni
Il primo matrimonio è fallito presto. La seconda moglie è Peng Liyuan (dalla quale ha avuto la figlia, Xi Mingze, che ha studiato negli Stati Uniti), grande fascino, soprano nel coro dell’Esercito a Pechino. Quando cominciarono a frequentarsi negli Anni Ottanta, lui era un funzionario del Partito in provincia. Lei era molto famosa. Alla festa di nozze nel 1987 un amico chiese a Xi: «Come hai fatto a invitare anche quello schianto di Peng?». Risposta: «Doveva venire per forza, è lei che sposo».
Funzionario con zappa in spalla
Quando ha bisogno di ricordare il suo impegno anche materiale, Xi fa riemergere dagli archivi una foto in bianco e nero: alto e magro, sorriso largo e zappa in spalla. Didascalia: «1989, l’allora segretario di Partito a Ningde nel Fujian guida mille quadri e contadini nello scavo di un canale di scolo per la prima rete fognaria». È rimasto nel Fujian diciotto anni, fino a diventarne governatore.
Ripescato per un voto
Nonostante la popolarità conquistata nelle campagne, Xi ha rischiato di perdere la partita a Pechino. Nel 1997 non rientrò nel listone per il Comitato centrale: 151° su 150 posti previsti, un’umiliazione. Ci vollero manovre dietro le quinte per ripescarlo nell’élite. Tra il 2002 e il 2007 è stato capo del Partito dello Zhejiang, provincia riformista e industriale. Bisognava distribuire i capitali per la crescita, e Xi lo fece.
Il dito sulle «pance piene»
Al Congresso del 2007 entrò nel Comitato permanente del Politburo e nel 2008 fu nominato vicepresidente della Repubblica: erede designato in attesa di salire al vertice del Partito-Stato cinque anni dopo, nel 2012. Visto che il padre Xi Zhongxun aveva subìto un paio di purghe per le sue posizioni «liberali» (aveva anche chiesto comprensione per i ragazzi della Tienanmen) molti pensarono che il nuovo leader potesse essere un riformista che avrebbe allargato alla politica la grande apertura economica di Deng Xiaoping. Pochi si annotarono una frase pronunciata dal vicepresidente Xi nel 2009 in Messico: «Alcuni stranieri con le pance piene non hanno niente di meglio da fare se non puntare il dito contro di noi. Dico loro: primo, la Cina non esporta la rivoluzione; secondo, non esporta carestia e povertà; terzo, non perde tempo a giocare con voi. Che altro c’è da dire?».
Salvate il soldato Ryan
WikiLeaks ha rivelato un dossier classificato, raccolto tra il 2007 e il 2009 dalla sede diplomatica americana. Veniva segnalata con rilievo una simpatia hollywoodiana. Parlando di cinema con l’ambasciatore degli Stati Uniti, Xi disse di aver molto apprezzato Salvate il soldato Ryan perché «contiene un senso di giustizia». In seguito, ha continuato a giocare sulle sue conoscenze culturali americane, citando anche la serie tv House of Cards, per rassicurare l’uditorio che la Cina non era un luogo di trame oscure all’ombra del potere. Era il 2015 ed era ancora il leader di una Cina che cercava di affascinare il mondo e fare affari, seguendo la strategia indicata da Deng: «Nascondere la nostra forza e prendere tempo». Un paio di anni dopo sarebbe scoppiato lo scontro politico e ideologico con gli Stati Uniti e l’Occidente, che ora si è aggravato.
Due settimane di vuoto
Nel 2012, poco prima del XVIII Congresso che doveva incoronarlo per la prima volta, Xi scomparve per due settimane. Solo voci: scontro finale con gli avversari; addirittura una rissa durante una discussione per ottenere pieni poteri e non solo un mandato da primus inter pares. La versione più accreditata è che, semplicemente, si fosse stirato i muscoli della schiena mentre giocava a pallone, il suo sport preferito.
L’incubo sovietico
Il motivo per cui Xi è stato scelto dagli anziani dirigenti è che la Cina comunista temeva di fare la fine dell’Unione Sovietica, schiacciata da corruzione endemica e mancanza di slancio ideologico. E Xi ha ammonito i compagni: «Sapete perché l’Urss si è disintegrata? Perché il suo partito comunista è crollato? I loro ideali vacillarono. E nel momento cruciale mancò un vero uomo capace di alzarsi in piedi per difenderla».
Il sogno e i bottoni
Nei primi dieci anni di potere Xi ha coniato slogan che sono anche ordini precisi, seppure da decifrare. Il suo «Sogno cinese» all’inizio fu interpretato come promessa di costruire una società inclusiva simile all’American Dream. Si trattava invece di rovesciare l’ordine internazionale, mettendo Pechino alla guida del Sud del globo. Subito, nel 2012, ha lanciato una campagna contro la corruzione: «Schiaccerò le mosche e ingabbierò le tigri», promise e minacciò riferendosi ai piccoli burocrati e agli alti dirigenti. Almeno 1,5 milioni di corrotti (e molti avversari) sono stati puniti. E la caccia continua.
Gli piacciono i modi dire popolari, da padre autoritario della gioventù, come questo rivolto agli studenti: «Attenti al bottone della vita. È come quando ci si veste e si infila il primo bottone nell’asola sbagliata, tutti gli altri seguiranno male. Nella vita bisogna chiudere i bottoni nel modo giusto, fin dall’inizio». Di fatto, ha richiuso la Cina al mondo.