la Repubblica, 14 ottobre 2022
Meloni, prova di leadership
Ci sono diversi angoli da cui osservare il giorno più lungo del centrodestra alSenato, ma uno in particolare merita attenzione. Ieri abbiamo assistito sia al collasso di Forza Italia sia alla contemporanea affermazione della leadership di Giorgia Meloni. Di lei, della sua determinazione, qualcuno aveva dubitato. Invece ha saputo dire “no” a Berlusconi su un nome preciso che le era stato proposto per un ministero e non si è spaventata di fronte alla deflagrazione del caso. Poteva agire diversamente? Certo, avrebbe potuto mettere insieme i tasselli del governo nel modo tradizionale: cucendo insieme le indicazioni dei due partiti “alleati” così da presentarsi davanti a Mattarella, nei prossimi giorni, come la delegata dell’intesa FI-FdI-Lega, i cui fili erano tenuti in mano dal vecchio “regista”, come lo stesso Berlusconi amava presentarsi.
Sarebbe stato un comportamento senza dubbio più prudente. Tuttavia avrebbe condizionato da subito la presidenza del Consiglio e ipotecato il cammino del governo.
Giorgia Meloni si è presa i suoi rischi e con ciò ha trasmesso all’esterno un messaggio chiaro: la vincitrice delle elezioni è lei, visto che FdI vale il 26 per cento contro l’8 dei berlusconiani e qualcosa di più, l’8,8, dei leghisti. Certo, se il disimpegno di Forza Italia avesse provocato la mancata elezione di La Russa, lo smacco sarebbe stato della premier in pectore. Così invece si dimostra che il partito berlusconiano, un tempo architrave del centrodestra, non è più decisivo. Il neo presidente del Senato ha perso oltre 20 voti, tra le schede bianche e qualche franco tiratore. Ma li ha riavuti tutti, anche uno o due in più, grazie all’aiuto ricevuto dall’opposizione. E questo è un fattore cruciale in termini politici.
Abbiamo assistito non solo alla disfatta di Forza Italia, ma anche a qualche sommovimento clandestino nel recinto del centrosinistra. Come dire che entrambe le coalizioni stanno cercando nuovi assetti.
L’elezione del presidente del Senato era il terreno adatto per avviare le manovre, tanto più che il centrosinistra non presentava un suo candidato, però attendiamoci altri passi nel prossimo futuro. Nel frattempo si vedrà come saranno distribuite le vicepresidenze di Palazzo Madama nonché, più in generale, a chi andranno le presidenze delle commissioni di garanzia spettanti all’opposizione. In ogni caso, chiunque ieri abbia preso l’iniziativa (Renzi, i centristi del Pd, la corrente di Base Riformista o altri), è plausibile che Giorgia Meloni fosse informata. Il suo azzardo era quindi temperato dall’ombrello che stava per aprirsi a favore di La Russa.
E c’è un altro risvolto da non sottovalutare.
L’operazione che ha destabilizzato il partito di Berlusconi è stata resa possibile dal patto, questo sì ben calibrato, stretto tra la leader di FdI e Matteo Salvini. Segno che è lì, in una Lega scossa dal mediocre esito elettorale, che può celarsi una minaccia al cammino del futuro governo. Se il timore è questo, la mano tesa di Giorgia Meloni è volta a impedire che si saldi contro di lei il fronte degli “alleati”. Per il resto si vedrà strada facendo. Tuttavia si è capito che la quasi premier non ha paura di rischiare in difesa delle sue prerogative. Ed è consapevole da chi deve guardarsi nell’immediato.
Un’ultima annotazione sul discorso inaugurale di La Russa. Si può essere più o meno d’accordo, ma il richiamo all’opportunità di celebrare il 17 marzo, giorno nel quale il Regno d’Italia fu proclamato nel 1861, non è una novità. Se ne discusse in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità, quando il presidente Napolitano tenne un solenne discorso davanti alle Camere. E ovviamente non si tratta di rendere omaggio alla monarchia, bensì di ricordare, appunto, l’unità nazionale. Così da collocare le altre date, dal 25 aprile al 2 giugno, in un itinerario coerente.