la Repubblica, 14 ottobre 2022
Ritratto di Eliogabolo
Le storie che riguardano Eliogabalo sono raccapriccianti e inattendibili. Sono raccontate perlopiù negli scritti di due storici più o meno contemporanei del III secolo d.C. e in una lunga biografia facente parte di una delle più enigmatiche opere letterarie sopravvissute dal mondo antico: si tratta di una serie contenente le vite degli imperatori, nota come Historia Augusta,che sostiene di essere l’opera composita di sei scrittori diversi che si occuparono di imperatori diversi, scritta alla fine del III secolo d.C. In verità, un’analisi condotta ai nostri tempi ha dimostrato in via conclusiva che si tratta del lavoro di un solo autore che la scrisse circa cento anni più avanti. Perché mai un’unica persona scrisse un intero volume di biografie, fingendo che fosse creazione di sei persone diverse operanti cento anni prima è un mistero. Fu uno scherzo? Fu un tentativo di evidenziare le ambivalenze e le contraddizioni del processo storico? Non lo sappiamo. Di sicuro, come vedrete, è pieno di invenzioni, fantasie ed esagerazioni riguardanti gli imperatori (a un certo punto, raccontando la storia di Eliogabalo, perfino l’autore dice che quello che ha scritto può non essere vero). Tuttavia, per me è proprio questo a farne una meravigliosa lente di ingrandimento attraverso la quale vedere le critiche connesse all’autocrazia. Ed èda questa opera che è tratta la maggior parte, ma non tutta, della mia discussione su Eliogabalo.
A una comune lettura, ci si presenta una caricatura dell’imperatore che infranse ogni regola, un trasgressore che superò mostri imperiali come Caligola o Nerone. Le storie che lo riguardano, e non soltanto nella Historia Augusta, sono continuativamente sfavorevoli: dalle accuse di sacrifici di bambini alla scelta dei suoi consiglieri in base alla misura dei genitali, all’istituzione di un Senato delle donne (benché non suoni così male alle nostre orecchie) o al fatto di non indossare mai due volte lo stesso paio di scarpe. Di Eliogabalo si racconta anche che cercò di sovvertire la struttura religiosa dello Stato romano (sostituendo Giove a capo del pantheon di Roma Antica con il dio El-Gabal della sua città natale di Emesa di cui era sacerdote e da dove deriva anche il nome con cui lo conosciamo); e si racconta anche che sfidò quella che noi chiameremmo una visione binaria dei generi (insistendo affinché ci si rivolgesse a lui come a una donna, arrivando perfino a chiedere una transizione chirurgica) – anche se, a complicare ancora di più tutto, contrasse anche quattro matrimoni eterosessuali.
Tuttavia, è attorno alla tavola dei banchetti che gli eccessi e le trasgressioni di Eliogabalo emergono con lucidità. Oltre ad alcune prelibatezze particolarmente complicate e di alta cucina, per esempio, faceva servire cene a base di cibi abilmente colorati tutti di verde o tutti di rosso. Aveva anche una inclinazione particolare per umiliare i suoi ospiti. A cena faceva sedere alcuni commensali su cuscini gonfiabili che, con il passare del tempo si sgonfiavano poco alla volta, lasciandoli così letteralmente per terra. In altre circostanze, trasformava i suoi ospiti in soggetti da schernire in altro modo, allineando per esempio gli uni accanto agli altri otto uomini calvi, oppure otto uomini guerci, o otto uomini gottosi… o ancora otto uomini molto grassi, che provocavano le risate (spietate) di tutti gli altri commensali perché di fatto non entravano tutti insieme sui triclini. In altri casi, al momento del dolce lasciava circolare leoni e leopardi addomesticati nella sala, terrorizzando tutti coloro che non si rendevano conto che gli animali erano mansueti. In qualche occasione, però, gli ospiti perdevano davvero la vita. In un episodio sommerse i suoi ospiti con così tanti petali di rosa che ne furono asfissiati a morte. Il messaggio è chiaro: anche quando ègeneroso, un imperatore può ucciderti.
Sono sicura che non sia difficile immaginare che cosa abbia fatto di tutto questo la maggior parte degli storici moderni. Alcuni se ne sono lavati le mani, considerando il tutto semplicemente una fantasia. Altri hanno cercato di leggere tra le righe dei racconti stravaganti e di trovarvi una verità di gran lunga più banale, o più spesso hanno cercato di passare al vaglio le prove, respingendo alcuni dei dettagli più strampalati (come la morte inflitta con i petali di rosa), cercando al contempo di ricostruire da quello che ne restava una storia più plausibile. Qui siamo in presenza di enormi problemi metodologici. Si tratta di problemi altalenanti in buona parte dei testi storici del mondo antico: per la precisione, quali criteri adottare per decidere quali elementi dei resoconti che sono arrivati fino a noi siano “veri” nel senso stretto della parola. Desidero trascendere tali problemi e – pur assumendo che le storie di Eliogabalo siano in buona parte un mixdi fantasia, incomprensione ed esagerazione – chiedere quale “verità” ci racconta questa “fantasia”.
A mio parere, i delitti di Eliogabalo, così come sono presentati, non sono fortuiti atti di pazzia. Seguono una logica che, osservata nel suo complesso, caratterizza che cosa è l’autocrazia (o quali sono le conseguenze dell’assenza di libertà). Descrivono il potere assoluto come una forma particolare di distopia, nella quale le leggi di Natura e le convenzioni sociali dei significati sono calpestate o sospese, in cui niente è come sembra e non si può mai credere ai propri occhi. Come ha ben detto uno dei miei studenti, il messaggio romano è che «l’autocrazia abolisce l’autopsia», distruggendo la nostra capacità di fidarci dei nostri sensi, di credere nella realtà di ciò che pensiamo di vedere. Per dirla in un altro modo ancora, il messaggio è che la libertà garantisce che possiamo credere ai nostri occhi.
Quel che voglio dire, dunque, è che Eliogabalo non è soltanto unesempio di “cattivo imperatore”; egli rappresenta la sostanza stessa del regime imperiale nel suo complesso; è descritto come il livello zero o l’estremo per eccellenza dell’autocrazia romana. In parte a segnalarlo è anche il suo stesso nome. Io lo sto chiamando, come è noto di consueto, Elagabalus (come la sua variante Heliogaba-lus), ma di fatto non fu mai chiamato così, essendo quello un nome basato semplicemente sul suo dio preferito. In effetti, davvero non ha un nome. Un autore dell’antichità (non della Historia Augusta) si limita semplicemente a redigere un elenco dei suoi soprannomi che termina con “Tiberino”, dal nome del fiume nel quale perse la vita. La Historia Augusta stessa si riferisce a lui con il suo nome di nascita, “Varius” (anch’esso non noto in riferimento a lui), e sottolinea che il suo significato letterale, “variato” o “vario”, è un segno della sua complessità e ambiguità. Da un certo punto di vista, Eliogabalo è ogni imperatore.