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 2022  ottobre 14 Venerdì calendario

Intervista a Pierfrancesco Favino

Dal romanzo premio Strega di Sandro Veronesi al film di Francesca Archibugi, apertura della XVII Festa del Cinema di Roma e da oggi al cinema su 450 schermi: Il colibrì inquadra il falso movimento, la stasi dinamica di Marco Carrera, il destinatario di quel soprannome volatile. Sospeso tra coincidenze fatali, perdite e amori assoluti, a incarnarlo è Pierfrancesco Favino.
Favino, perché Il colibrì?
È uno dei pochi romanzi italiani che non accusi la borghesia. Marco Carrera ha una maschilità diversa, non fragile, non tossica, più completa e complessa di quella che generalmente ci viene propinata.
E il sesso?
Decentrato. Come se non fosse definitivo della maschilità, del romanticismo o della coppia. E non penso sia una storia di corna.
Nondimeno la moglie, la Marina di Kasia Smutniak, rivendica: “Io scopo”. Marco Carrera no, lui è – per citare un suo film precedente – l’uomo che ama.
Ci saranno spettatori che a quella battuta diranno “c’ha ragione”, ma non è il punto di vista di Carrera. Non c’è persona che non si prenda la briga di definirlo ignobile, però pochissime si occupano di sé mentre glielo dicono. Non credo che Marco non scopi con Luisa Lattes (Bérénice Bejo) perché verrebbe meno al contratto matrimoniale, bensì perché quando lo stava per fare gli è morta la sorella. Una perdita enorme, l’unico essere femminile che lo capiva e che lui comprendeva.
L’eutanasia: condivide la scelta di Marco?
Credo che un po’ come per Monicelli e Godard Marco si sia guadagnato la stanchezza sufficiente per potersi dire “be’, basta”. Anche in quell’occasione non vuole che gli altri vedano il patimento, l’agonia, intende risparmiarli. Ha fatto, ha dato talmente tanto per la felicità degli altri, quindi la propria, che non mi viene da giudicare il suo gesto egoista piuttosto che coraggioso. Aggiungo, Veronesi inquadra un futuro prossimo, il 2030, in cui l’eutanasia è ancora illegale in Italia.
Alleggeriamo, lei che uccello sente di essere?
(ride) Sa che mi chiamano picchio da quando sono piccolo, per cui condivido la “volatilità” del mio personaggio… Però se devo pensarci, qualcuno che plana con più calma: mi vedo un po’ un falco.
L’immobilismo del colibrì possiamo ascriverlo a una classe sociale, la borghesia, e un orientamento politico, la sinistra.
La borghesia nasce allorché da raccoglitori imparammo a far nascere le verdure e potemmo non spostarci più. Abbiamo messo i paletti, dichiarato “questo è mio”, dunque la borghesia ha paura di perdere ciò che ha. Tanto è vero si dice conservatore. Marco Carrera non lo è, i suoi genitori che litigano sembrano essere due anime della sinistra, una progressista e l’altra tradizionale.
Lui?
Un tempo si sarebbe detto radicale. Meno chiuso in schemi predefiniti, attento al prossimo, non bacchettone, non bloccato dagli idealismi. Un sognatore, un romantico.
Oltre lo schermo non è un momento facile. La guerra, innanzitutto.
È da qualche tempo che provo un senso di inutilità. Mi spaventa la crisi dei riti collettivi, quelli che ci permettono di sentirci compresi nelle nostre difficoltà. Da tre anni a questa parte facciamo tutti la vita di Marco Carrera, stiamo tenendoci strette le cose a cui non vogliamo rinunciare. Per vedere un futuro. Ma ogni giorno qualcosa mina questa volontà.
Nemmeno la pace è un rito collettivo.
Non ritengo sia la parte russofona né Odessa, il problema della guerra in Ucraina è l’energia, sotto più aspetti. È uno dei posti con più silicio nel mondo, dove si costruiscono i microchip in Europa, dove operano le grandi fabbriche automobilistiche: tutto questo non è mai venuto fuori. Ma mi creda, faccio fatica a mettermi il vestito buono, a far finta che ci sia la pace.

Nostalgia di Mario Martone, di cui è protagonista, è il candidato italiano agli Oscar.
L’Oscar è un viaggio, ora serve l’aiuto di tutti. Ci sono filmografie che proteggono se stesse indipendentemente da chi in quel momento le stia rappresentando. Come ho fatto io l’anno scorso per Sorrentino.
Non la sente questa comunione d’intenti intorno a Nostalgia?
Non può essere fatta solo dal sistema cinema italiano, la campagna Oscar va considerata quale indotto della nostra industria all’estero. Se viceversa si riduce l’indotto al 40% di sgravi a chiunque venga nel nostro Paese a girare facendo finta che sia Messico, facendo recitare attori inglesi nel ruolo degli italiani, allora non mi sta bene. Siamo l’unica cinematografia al mondo in cui accade: che rispetto possiamo pretendere?