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 2022  ottobre 13 Giovedì calendario

Intervista a Riccardo Tozzi, il fondatore di Cattleya

«Ormai c’è stata una svolta. In Italia sono nate società di produzione creativa» dice Riccardo Tozzi, fondatore di Cattleya. «Non è più tempo del produttore con la segretaria che mette in piedi il film, la società diventa il centro motore di ideazione di progetti. E bisogna variare i generi». Da Romanzo criminale-La serie alla lunga saga diGomorra, ZeroZeroZero, a
Suburræterna per Netflix, che espande l’universo Suburra, dal libro di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo (che curano lo story editing), di cui sono appena iniziate le riprese, le produzioni girano il mondo.
Tozzi, 75 anni animati dalla curiosità, non ha dubbi: «Devi sapere a chi ti rivolgi». Alla Festa di Roma due le anteprime targate Cattleya: Romulus 2 — La guerra per Roma di Matteo Rovere (su Sky dal 21 ottobre), e
Django, omaggio al western di Sergio Corbucci (su Sky nel 2023): primi quattro episodi firmati da Francesca Comencini, anche direttrice artistica della serie, i successivi da David Evans e Enrico Marta Artale.
Tozzi, l’offerta è sconfinata: come si conquista il pubblico?
«La griffe di Armani ha certe caratteristiche, vedi una giacca e la riconosci; Prada ne ha altre. Così le società di produzione sono diventate come la griffe: Cattleya è diversa da Palomar, loro fanno Montalbano noiPetra.Wildside ha un’identità forte, come la Lux o Fandango solo per citarne alcune. Ognuno ha la sua cifra perché sono centri di ideazione e le idee nascono all’interno. Questo implica un giro di talenti».
Esplorare il genere è stata la strada del successo?
«Fin dall’inizio volevamo fare opere con una forte componente narrativa che non fossero soggettive, personali. Il genere è forte e riconoscibile, fondato su archetipi universali. Èinteressante l’universo femminile: penso a Petra, una detective speciale. Con Francesca Longardi abbiamo pensato che l’unica in grado di interpretarla fosse Paola Cortellesi.
La protagonista è stronza, ci voleva un’attrice con una forte dose di empatia. Poi c’è una sceneggiatura perfetta, il tocco della regista Maria Sole Tognazzi, un attore come Andrea Pennacchi».
Il genere preferito?
«Il crime ci piace molto, Gomorra ha un’impronta forte di realismo fantastico. Dietro al prodotto c’è un lavoro collettivo che non penalizza gli apporti artistici. Penso alla creatività di Stefano Sollima o Francesca Comencini».
Le serie sono diventate sempre più sofisticate. Si vince osando?
«La nuova serialità, nata con la tv a pagamento e con le piattaforme, non è figlia della fiction ma del cinema; c’è una forte selezione. Per fare una serie si lavora in modo estenuante, giriamo la versione 20, 21, 22, alla fine il prodotto acchiappa il pubblico. Se prendi la mira a volte fai a centro, a volte colpisci intorno: se non la prendi non ce la farai mai».
Produrre per le piattaforme o la pay richiede strategie diverse?
«La pay vende abbonamenti quindi puoi fareRomanzo criminale o
Gomorra con attori sconosciuti. Offre cose speciali: il racconto può essere più complicato, anzi deve esserlo. La serieRomanzo criminale — con il film — resta il titolo a cui sono più legato, abbiamo lanciato tanti attori. Le piattaforme devono vendere abbonamenti ma tendono a un pubblico di massa, come la free. Il prodotto deve essere molto locale e originale, riconoscibile anche da una platea internazionale. Poi Netflix è un conto, Amazon un altro, Paramount, Disney altro ancora».
La vera sfida è rivolgersi al pubblico della tv generalista?
«È il lavoro più difficile. Devi catturare 5 milioni di spettatori, che devono seguirti puntata dopo puntata. La trama deve essere compatibile anche con un ascolto distratto, che vuol dire uscire e rientrare nella storia. Richiede meccanismi più semplici e gli stereotipi, non per forza negativi».
“Noi”, la trasposizione di “This is Us”, che non era banale, non ha
funzionato.
«Era bella ma il pubblico non è entrato nella storia, nell’andare avanti e indietro nel tempo».
Alla Festa di Roma saranno presentati “Romulus 2” e “Django”: un sequel e un esperimento.
«La serie in protolatino è un’idea di Matteo Rovere, non era mai stata fatta e ci è piaciuta subito. Django,rivisitazione dello spaghetti western di Corbucci, finita nelle nostre mani è diventata più complicata. Usiamo il western per fotografare il presente.
Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli parlano di ribellione, con il genere affrontiamo i temi di oggi: il femminile, la diversità i conflitti razziali. Ci sono le sparatorie, i cavalli, ma il filtro è emozionale».
“Suburra” ha svelato il mondo di mezzo, gli affari del Vaticano: il nuovo capitolo cosa racconta?
«Suburraeterna ha tre personaggi nuovi, la base è il bel libro di Bonini e De Cataldo. C’è una visione, faremo scoprire altri volti di Roma».
Complice la pandemia, siamo diventati tutti “casa e serie tv”: la saIa sopravviverà?
«Il cinema è stata la prima forma di intrattenimento tecnologico ma proprio per questo, periodicamente, affronta delle sfide quando appare un’altra tecnologia. Con la rivoluzione digitale le sale devono competere con i ristoranti, diventare un luogo per incontrarsi e essere attraenti. Oggi le persone hanno riscoperto il piacere di uscire».
Un film può battere una serie?
«Nel fare film dobbiamo sapere che ci troviamo a competere con una serialità di altissimo livello. I titoli sono centinaia ma c’è una serie A formidabile e siamo in concorrenza con quella. Non si sopravvive al cambiamento con la conservazione, sale e film devono essere speciali, se no vince la comodità del divano».