la Repubblica, 13 ottobre 2022
2100, la grande fuga dalle terre bollenti
Fra poco meno di ottant’anni vivere nella fascia tropicale del mondo sarà praticamente impossibile. Se i tassi delle ondate di calore estremo, intensificati dalla crisi climatica, continueranno a salire al ritmo attuale entro il 2100 diverse zone dell’Asia e dell’Africa diventeranno inabitabili per 600 milioni di persone. Una stima, quella che esce da un rapporto appena lanciato da Croce Rossa e Mezzaluna Rossa internazionale e Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), che a tre settimane dall’inizio della Cop27 — Conferenza delle parti sul clima prevista in Egitto dal 6 novembre — appare come un avvertimento non più rimandabile a cambiare rotta.
Il caldo estremo, come quello sperimentato negli Stati Uniti, in Europa o in Cina negli ultimi mesi, sarà letale tanto quanto tutte le malattie infettive o i tumori. Nella prima decade degli anni duemila nel solo 2003 le ondate di calore hanno portato a un eccesso di 70mila morti in Europa, nel 2010 di 55mila persone in Russia. Dal 2010 al 2019 i decessi legati alla crisi del clima, fra caldo e disastri hanno contribuito a quasi 410mila vittime.
Nel 2022, anno che si candida ad essere fra i più bollenti della storia, solo nei principali paesi d’Europa si contano almeno 25mila decessi collegati alle alte temperature e a pagare il prezzo più alto sono spesso donne, anziani, lavoratori agricoli e bambini. Le ondate di calore stanno crescendo per intensità, frequenza e durata, tracciando il declino costante dei suoli già piegati dalla siccità che a sua volta amplifica il problema della fame.
«I risultati del rapporto sono sorprendenti e inquietanti. Ci auguriamo che questo rapporto serva non solo come campanello d’allarme, ma anche come tabella di marcia» scrivono gli autori del report. Se non si arriverà a tassi di neutralità carbonica soddisfacenti da qui al 2100 i centri urbani di paesi come India, Indonesia, Sudan o Kuwait rischiano di non garantire più condizioni sopportabili di vita: già oggi dal sud est asiatico al Medio Oriente molte città d’estate superano i 50 gradi centigradi, in India e Pakistan le ondate di calore sono iniziate a marzo.
Gli esperti temono che più l’emergenza climatica aumenterà «più le temperature crescenti e l’umidità spingeranno ai limiti fisiologici e sociali di sopravvivenza umana ». Sempre entro fine secolo le previsioni indicano che un terzo della popolazione globale vivrà in aree con temperature medie superiori a 28,9 gradi. Già a partire dal 2070, anche i territori più a sud d’Europa,del nord del Sudamerica oppure stati come Georgia, Alabama o California negli States, saranno «meno adatti all’insediamento». Come già avviene con le temperature elevate dei mari, che stanno mutando gli ecosistemi, il caldo estremo contribuirà al declino degli ecosistemi, degli animali e delle colture (come il grano).
Una crisi che colpirà soprattutto paesi e continenti oggi considerati meno abbienti e che per paradosso sono poco responsabili delle emissioni globali, come l’Africa cheemette solo il 4% ma che in zone come Shael, Somalia o Corn o d’Africa paga oggi i conti di una siccità devastante, con milioni di persone costrette a diventare rifugiati climatici. Eppure, sostiene Martin Griffiths, sottosegretario generale dell’Ocha, «i paesi più ricchi hanno le risorse per aiutare quelli più poveri ad adattarsi». Servono finanziamenti sicuri e accordi rapidi, già dalla prossima Cop27, sia per affrontare il mix letale di surriscaldamento e urbanizzazione, sia per tutelare le persone nei paesi in via disviluppo. Riuscire a limitare il riscaldamento globale a +1,5° rispetto ai +2° verso i quali ci stiamo avviando, riuscirebbe già a scongiurare che 420 milioni di persone nel mondo siano esposte a ondate di calore. Sarebbe già un primo passo: nel frattempo, in attesa che i leader del mondo agiscano concretamente per un cambio di rotta, la Croce Rossa pensa al futuro e insieme alle organizzazioni umanitarie sta testando rifugi di emergenza e “centri di raffreddamento”.