la Repubblica, 13 ottobre 2022
Ritratto di Ignazio La Russa
Dalla padella alla brace e ritorno. Se le istituzioni parlamentari hanno ancora un senso, un cuore, una funzione e soprattutto una dignità, con Ignazio La Russa presidente del Senato e seconda carica dello Stato il sistema di cottura della maggioranza di destradestra sfrigola sopra la fiamma lasciando comunque poco scampo in termini di misura, riserbo e moderazione.
In questo senso la memoria è crudele, specie là dove ormai le mille imprese del prescelto hanno ormai lasciato abbondantissime tracce negli archivi elettronici in termini di eccessi, effervescenze, sovraeccitazioni, scherzi, euforie. Così, a proposito di decoro istituzionale, di La Russa, che di secondo nome fa pur sempre Benito, ti viene subito incontro la foto di quando (2006) andò a prendersi una torta in faccia da Pippo Franco; e il fatto che una cultura politica a lungo emarginata e perfino maledetta, una volta uscita dal recinto scegliesse in allegria la via dell’intrattenimento più degradato dice molto sul traguardo, ma anche sulle peripezie del post-fascismo nella società, ormai, del disincanto.
L’iconografia, ma anche lo stile di vita e la carriera stessa di La Russa offre poco o pochissimo dell’antica nostalgia. Qualche accenno, in pandemia, all’utilità del saluto romano; qualche riflesso nostalgico ricordando, a bordo di una Lancia Astura 1938, che gli italiani avevano inventato l’automatizzazione della capote, “poi sono arrivati gli altri...”; qualche ricordo di quando, con lunghi capelli e un pastore tedesco di nome Schranz, o qualcosa del genere, guidava a Milano i giovani del Msi. Ma ciò che da un bel po’ di anni più colpisce di lui è un che di esorbitante, vertiginoso e perfino allucinatorio proprio rispetto al modello e alle caratteristiche finora richieste alla figura del presidente del Senato.
Il soggetto possiede un’indubbia capacità di acchiappare il microfono e tenere la scena con qualsiasi mezzo, vedi il video in cui contro le disposizioni anti-movida canta e lecca un cono gelato, ancora una volta aiutato dallo sguardo fiammeggiante, dalla voce cavernosa e dalla barba mefistofelica - una sera se la fece anche radere per scommessa sotto i riflettori di Porta a porta – chehanno contribuito a renderlo un politico-meme per eccellenza fin dai tempi dell’irresistibile “La Russa jouer” di Fiorello: “Ascella sudata/ Mutande ragno/ Alabarda...”.
È difficile ricordare un discorso politico di La Russa; troppo facile al contrario recuperarlo nella memoria per le smorfie e gli strilli nei talk-show o qualche greve esagerazione da tifoso nerazzurro (a proposito di Lukaku: «L’Inter ha cambiato un grande centravanti col pisello confuso con un centravanti confuso dal pisello grande »). Espressività del genere più fracassone e fazioso se si pensa che una delle sue più spontanee e irresistibili prestazioni lo ritrae su YouTube mentre nella calca ingaggia un’asperrima colluttazione a base di pedate e pestoni con il giornalista Formigli.
A suo modo formidabile è la recente e magari profetica immagine di ‘Gnazio che, assiso sullo scranno più alto del Senato, governa l’assemblea leggendo La Gazzetta dello Sport, così come appare ineffabile il frammento video d’aula in cui, rivolgendosi alla Segretaria Generale, commenta l’outfit di una sua collega: «Ma gome gazzo è vestita?» prima di concentrarsi sul telefonino la cui cover reca la scritta “100% Milf”. Sempre molto teatrale, da ministro della Difesa si travestiva spesso, in mimetica e da top-gun; per il 150° dell’Unità d’Italia con la sua amica Santanché si mise addirittura a disegnare gioielli tricolore, rubino, zircone, smeraldo. Già una decina d’anni fa il produttore De Laurentis gli chiese di interpretare se stesso in un cinepanettone, non esattamente ciò che fa curriculum per la presidenza del Senato. Ma basta, e non solo perché si potrebbe andare avanti quasi all’infinito, ma perché gli spettacoli politici presentano il conto quando ormai i buoi sono scappati dalla stalla dell’intrattenimento buffonesco.
Ora, siccome nulla è mai perduto, è anche vero che anche nelle istituzioni esiste la “grazia di Stato”, per cui può darsi che l’elezione e la responsabilità normalizzi La Russa. Eppure, osservato a debita distanza prima del voto e al di là dei giochi di Palazzo, più che un patriota, un simpatico marpione o un fantasista esibizionista, l’impressione è che sia vissuto dal grande pubblico come una figura, un personaggio, una maschera e insieme una macchietta al di là del bene e del male.