La Stampa, 13 ottobre 2022
Una nave per abortire
Se non si può fare sulla terraferma, perché le leggi non lo consentono, si può fare per mare. La missione è garantire alle donne la libertà e la possibilità di scegliere l’aborto. Non solo nei casi in cui il rischio è la loro vita o quella del bimbo. Scegliere, anche dove i diritti si restringono. Come sta accadendo in molti Stati americani, dopo che la Corte Suprema ha ribaltato la sentenza Roe vs Wade, che dal 1973 consentiva di interrompere la gravidanza. L’America è solo l’ultima a usare l’inventiva per aggirare i divieti. Cliniche e Ong si riorganizzano, per allargarsi dove possono: dare supporto e non interrompere il servizio, è l’obiettivo. È il caso di Meg Autry, ginecologa e docente dell’Università della California a San Francisco, che insieme a un gruppo di colleghi sta organizzando un laboratorio galleggiante destinato a offrire aborti chirurgici e altre prestazioni a bordo di una nave nelle acque Usa della Costa del Golfo. Leggi che vietano l’interruzione di gravidanza sono oggi in vigore in Texas, Louisiana, Mississippi, Alabama, Oklahoma, Arkansas e Tennessee. La scure della Corte Suprema è arrivata il 24 giugno e ha portato con sé proibizioni o semi-divieti in sedici Stati.
La «nave dei diritti» della dottoressa americana veleggerebbe in acque in cui la procedura è consentita. Autry l’ha definita «un’opzione per le pazienti che non hanno altre possibilità». Viaggiare alla ricerca di un medico che opera nei 20 Stati americani in cui è ancora legale l’aborto, o a Washington, comporta costi significativi e tempo da dedicare, lontano da casa, dalla famiglia e dal lavoro, con notevoli disagi. Inoltre, bisogna essere accompagnate. «Una clinica galleggiante verso le coste degli Stati del Sud, i più restrittivi - ha detto la ginecologa - sarebbe più vicina e veloce». E ha costituito un’associazione senza scopo di lucro chiamata Prrowess, Protecting Reproductive Rights of Women Endangered by State Statutes, per «servire 20 pazienti al giorno, quasi gratuitamente». L’unico freno sono i costi: l’impresa richiederebbe 20 milioni di dollari per essere avviata.
È lo stesso spirito di tutela che ha spinto un’Ong olandese, Women on Waves, a navigare in acque internazionali davanti alle coste di Messico, Guatemala, Polonia, Marocco, Spagna e Irlanda, con un’imbarcazione che opera piccole significative campagne di qualche giorno per assistere le pazienti che non riescono ad abortire. L’imbarcazione attracca, non senza tensioni con la capitaneria di porto locale, come è accaduto in Guatemala, carica le donne e va ad operare a oltre 12 miglia, dove la legislazione applicata è quella della nazionalità della barca. «Là dove le donne hanno bisogno, noi ci saremo», spiega a La Stampa Rebecca Gomperts, fondatrice dell’organizzazione No Profit e di Women on Web, il progetto parallelo che offre aiuto per l’interruzione di gravidanza sicura in telemedicina. Nel 2020, il Time ha nominato la dottoressa tra le cento persone più influenti.
Ogni anno, nel mondo vengono compiuti circa 73 milioni di aborti (la metà di questi è illegale), moltissimi in Paesi in via di sviluppo. Rappresentano il 60% delle gravidanze non volute, il 30% di tutte le gravidanze. L’Oms ha raccomandato la pratica in auto-cura fino alle 12 settimane, proprio perché spesso alle pazienti non è possibile accedere ad una clinica o trovare medici disponibili. Ma se l’Occidente rimette in discussione i diritti, dagli Stati Uniti a Germania e Italia, dove soffiano sempre più forti istanze anti-abortiste, altrove si registrano progressi nel senso della piena legalizzazione. A febbraio, la Colombia ha depenalizzato l’aborto nelle prime 24 settimane di gravidanza. A settembre 2021 era stato il Messico (ma la legge non è ancora entrata in vigore), poco prima l’Argentina. In Asia, hanno dato l’ok Thailandia e Corea del Sud.
«Dopo la pandemia, ci stiamo concentrando molto sull’assistenza via web - continua Gomperts -, non importa dove la donna abiti, la aiutiamo in tele-cura». In passato, Women on Web aveva messo in piedi anche un sistema di droni che trasportavano le pillole anticoncezionali dalla Germania in Polonia. Ora, spiega, uno degli osservati speciali è l’Italia: «Vigileremo sul nuovo governo», commenta la dottoressa. Ospite di recente di un convegno a Roma sul tema, dove ha registrato «molta preoccupazione». Si dice pronta a «portare la barca dei diritti nel Mediterraneo, per offrire un’alternativa, qualora l’aborto venisse davvero limitato». Anche se, poi, resta fiduciosa: «Le organizzazioni delle donne in Italia sono molto attive, ci coordineremo con loro per capire come difenderle, qualora necessario».