il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2022
18,5 miliardi di lire. Ecco quanto B. avrebbe versato a Dell’Utri
La Procura di Palermo ha proposto di sequestrare con le misure di prevenzione i beni di Marcello Dell’Utri e anche dei suoi familiari più stretti (coinvolti solo indirettamente e non per fatti da loro compiuti) perché li considerava frutto del periodo in cui l’ex senatore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa era stato pericoloso socialmente per la sua vicinanza alla mafia. Il Tribunale il 9 giugno ha rigettato la richiesta di sequestro patrimoniale mentre per il versante ‘personale’ ha fissato l’udienza a Palermo il 20 ottobre. Gli avvocati dell’ex senatore potranno depositare memorie e convincere i giudici a rigettare anche la proposta di sorveglianza speciale.
Nelle carte del procedimento c’è tutta la storia dei rapporti economici tra Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri nell’arco di quasi mezzo secolo. Il provvedimento di 26 pagine del Tribunale di Palermo, relatore Luigi Petrucci, presidente Raffaele Malizia, ricostruisce le indagini e le tesi della Procura prima di rigettare la proposta. In questa parte del provvedimento si ripercorre l’analisi dei pm sul “bilancio familiare” di Dell’Utri. Dalle informative degli investigatori “emergono ‘prestiti infruttiferi’ da parte di Berlusconi per un totale di euro 9.500.000,00 fino al 2011 (… non è precisato se siano stati poi restituiti)”, chiosano i giudici.
Poi i giudici citano una nota del 15 marzo 2019 della Guardia di Finanza che analizza varie Segnalazioni per Operazioni Sospette dell’UIF di Banca d’Italia. “Dalla nota emergono prestiti infruttiferi e bonifici sempre da parte di Berlusconi in favore della moglie di Dell’Utri e del loro figlio Marco Jacopo per complessivi euro 3.500.000,00 nel 2016, 1.300.000,00 nel 2017, 2.300.000,00 nel 2018”.
Alla fine dell’indagine la Guardia di Finanza e i pm hanno tirato le somme nella loro proposta. Scrivono i giudici sempre nel provvedimento: “nella proposta si ammette che ‘Il fatto che la lecita e reale causale di questo continuo flusso di denaro (indicato in euro 26.075.263,00, allegato 2 della nota della Guardia di Finanza del 22 febbraio 2022) non sia stata mai accertata, non può che dimostrare che la presunta liberalità di Berlusconi verso Dell’Utri trova le sue origini nella peculiare storia dei loro rapporti e degli affari poco limpidi che il proposto ha perseguito tramite l’imprenditore milanese. Se non può affermarsi con certezza che tali emolumenti rappresentino il frutto di estorsione o siano dazioni dovute per occulte cointeressenze del proposto nel patrimonio berlusconiano, tuttavia, indubbiamente, essi non sono lecitamente spiegabili”.
La tesi della Procura di Palermo è che dietro quei pagamenti non ci sia solo l’amicizia e le prestazioni professionali ma anche i segreti. Per i pm “il patrimonio che il Dell’Utri ha costruito nel corso della sua storia, non può considerarsi l’esito dell’incontro tra uno straordinario talento e l’occasione offerta dal libero mercato, bensì il frutto dei suoi duraturi ed intensi legami con la consorteria mafiosa nonché della costante strumentalizzazione dell’attività di impresa a fini illeciti”.
Secondo la Procura tutto inizia negli anni ‘70: “Dell’Utri da quel momento è diventato, per un verso, il tramite dell’accordo e, per altro verso, il testimone di rapporti inconfessabili che sono all’origine di una delle maggiori fortune accumulate da un imprenditore di successo”. La Procura di Palermo nella sua proposta di sequestro sul punto va oltre le sentenze: “non può revocarsi in dubbio che questo delle origini sia il vero punto di svolta dell’intera carriera – professionale, imprenditoriale, criminale e, poi, anche politica – di Dell’Utri Marcello, frutto degli investimenti realizzati dal gruppo mafioso capeggiato da Bontate nelle società di Silvio Berlusconi (…) In questa prospettiva – sempre per la Procura – trovano una giustificazione anche le ingenti somme donate da Berlusconi al Dell’Utri e utilizzate da quest’ultimo tanto per scopi personali quanto per soddisfare i termini dell’accordo tra Cosa nostra e Berlusconi”.
Il Tribunale di Palermo ha bocciato questa ricostruzione nettamente. “Ad avviso del Collegio – scrivono i giudici – gli elementi di prova emersi nei vari processi o procedimenti penali citati nella proposta non consentono di affermare con la sufficiente certezza l’esistenza dei due fatti storici negli esatti termini in cui sono stati descritti dall’Organo proponente”. Sul finanziamento poco limpido agli inizi della Fininvest di Berlusconi il Tribunale scrive: “Con riferimento al primo episodio va detto che la tesi dell’Organo proponente inverte quello che è stato l’accertamento svolto in sede penale. (…)È stato, pertanto, accertato attraverso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sul punto piuttosto dettagliate e convergenti, un pagamento di denaro da Berlusconi a membri di Cosa Nostra ripetuto nel tempo. L’Organo proponente, invece, ipotizza che l’organizzazione mafiosa abbia messo un proprio uomo nel gruppo imprenditoriale di Berlusconi, per tutelare gli investimenti di Cosa Nostra in quella realtà azienda e, quindi, un flusso di denaro da Cosa Nostra alla Fininvest. (…) In sede penale non è stata, invece, raggiunta la prova che Cosa Nostra abbia effettivamente investito in lottizzazioni a Milano per il tramite di Dell’Utri e, in particolare, nella realizzazione di Milano 2”. Dunque proseguono i giudici “non risultando (dal punto di vista giudiziario) che vi sia stato un apporto di capitali illeciti da parte di Cosa Nostra verso Fininvest, non si può affermare che Dell’Utri abbia potuto, per questa ragione, ricattare Berlusconi nel corso degli anni”.
Sul secondo punto scrive il Tribunale: “l’altra possibile fonte di ricatto poteva essere costituita dalla rivelazione dell’appoggio dato da Cosa Nostra al movimento politico Forza Italia in occasione delle elezioni del 1994, anche in questo caso reso possibile dalla ‘mediazione’ di Dell’Utri”. Anche su questo secondo aspetto la Procura non è riuscita a portare prove del presunto ‘ricatto’. Il Tribunale ricorda i contatti di cui parla la sentenza di primo grado del processo sulla ‘Trattativa Stato-Mafia’ tra Marcello Dell’Utri (poi assolto in appello) e Vittorio Mangano nel periodo vicino alle elezioni del 1994, ma conclude che “va stabilito se tali interlocuzioni potessero costituire una fonte di ricatto sufficiente a giustificare il tipo di rapporto che Dell’Utri ha avuto con Berlusconi negli anni successivi”. La risposta dei giudici è no. Non c’è prova del ricatto.
Quindi il Tribunale passa a esaminare la questione centrale in un paragrafo apposito dal titolo: “Le somme di denaro date da Berlusconi”. Il Tribunale parte da più di 30 anni fa. “Nel processo per frode fiscale celebrato a Torino viene riportata la circostanza documentale di numerosi versamenti di contanti e assegni negli anni 1991-1992, spesso per somme di poco inferiori al limite di 20 milioni di lire all’epoca prevista per la segnalazione di operazioni sospette, complessivamente pari ad oltre 1 miliardo di lire, che secondo Dell’Utri erano donazioni di Berlusconi per l’acquisto della casa”. E ancora “nello stesso processo risulta un accordo transattivo tra Fininvest e Dell’Utri per la somma di 4,38 miliardi di lire concluso davanti al giudice del lavoro nel 1994 (…). Nella sentenza – proseguono i magistrati di Palermo citando gli atti dei loro colleghi piemontesi – viene spiegato che l’accordo transattivo, conseguente al passaggio di Dell’Utri da Fininvest a Publitalia 80, (entrambe società del gruppo Berlusconi, Ndr) era un mero espediente per corrispondere a titolo personale a Dell’Utri la somma di 3 miliardi di lire ed evitare così sia pagamenti in nero, che l’esborso di somme ulteriori a titolo di tassazione, dal momento che il risarcimento del danno non veniva tassato come fonte di reddito”. Il Tribunale dopo aver ricostruito questa lontana lite di lavoro si occupa di anni più recenti.
I consulenti tecnici dei pm e ben tre forze di polizia (Guardia di Finanza, Dia e Polizia di Stato) hanno fatto un lavoro enorme di ricostruzione e i giudici così proseguono nel loro riepilogo dell’attività dell’accusa: “Una prima nota del C.T. nominato dal P.M. datata 20 novembre 2015 riferisce di dazioni in titoli e danaro pari ad euro 5.718.315,89 dal 1989 al 1995 e di euro 28.079.346,96 dal 2008 al 2012 (di cui circa 20 milioni di euro per l’acquisto di una villa sul lago di Como…). Nella stessa nota si ricorda che dal 1997 e fino al 2004 Dell’Utri come manager della Fininvest guadagnava mediamente euro 1.400.000,00 annui.(…)”.
Uno dei punti di debolezza dell’azione della Procura è il tempo trascorso dal periodo in cui Dell’Utri è ritenuto pericoloso socialmente dai magistrati, cioé il periodo oggetto della sua condanna che parte negli anni ‘70 ma si ferma al 1992.
Il lavoro della Procura inizia dopo la sentenza definitiva di condanna di Dell’Utri a sette anni del maggio 2014, finita di scontare nel 2019. I ritmi sono stati rallentati anche dalla difficoltà a reperire le carte di procedimenti di 40 anni fa.
Nel 2021 c’è stata la prima proposta di sequestro. Il Tribunale di Palermo per due volte ha chiesto con decreto ulteriori elementi per decidere sì o no. La Procura ha insistito: il primo decreto era del 18 marzo del 2021. Con il secondo decreto del 24 gennaio 2022 il Tribunale ha chiesto di precisare meglio i calcoli sulla sproporzione fra le entrate lecite e le uscite (o i risparmi) del nucleo familiare dei Dell’Utri. Per procedere al sequestro dei beni infatti i pm non devono dimostrare la colpevolezza del soggetto come nel processo ordinario. Basta dimostrare che è stato socialmente pericoloso e che i suoi beni sono stati accumulati in quel periodo.
Prima dell’estate c’è stata una nuova proposta di applicazione delle misure personali e patrimoniali contro Dell’Utri (con ricadute anche sui suoi familiari più stretti cioè la moglie Miranda Ratti e i tre figli).
Il Tribunale, presieduto dal presidente della sezione Raffaele Malizia, con la decisione depositata il 29 giugno ha risposto no alla proposta di sequestro fissando l’udienza al 20 ottobre prossimo a Palermo per discutere la misura della sorveglianza speciale.
La ragione di questa decisione è che per il Tribunale, “La circostanza (obiettivamente sospetta) che l’odierno proposto abbia ricevuto nel tempo ed a vario titolo, a volte sotto forma di donazione o prestiti infruttiferi (che non risultano essere stati mai restituiti), decine di milioni di euro da Berlusconi potrebbe, però, trovare spiegazione alternativa nei rapporti di amicizia e dì lavoro che uniscono i due da decenni. Non si tratta, infatti, – prosegue il Tribunale – di somme date ad uno sconosciuto, ma ad un soggetto che per decenni ha condiviso la parabola imprenditoriale e politica di una persona che ha oggettivamente caratterizzato gli ultimi 30 anni della vita pubblica nel nostro Paese”.
La Procura ha cercato di dimostrare un nesso tra questi passaggi di denaro e un potenziale ricatto a Berlusconi ma “ad avviso del Collegio resta solo una supposizione o un’ipotesi priva del sufficiente conforto probatorio che le dazioni di denaro esaminate dal 1994 in poi trovino causa in queste vicende”. Non si può quindi applicare per i giudici a Dell’Utri “lo schema concettuale dell’imprenditore mafioso (qui declinata nel paradigma del manager mafioso ovvero di colui che, per ottenere e mantenere questa carica, si avvale del suo rapporto privilegiato con Cosa Nostra)”.