Avvenire, 13 ottobre 2022
Quando il cibo finisce nella spazzatura
Un’alimentazione più sbrigativa in vacanza, il caldo che non aiuta nel deperimento dei cibi freschi, un utilizzo più disinvolto di stoviglie monouso, le buone abitudini di acquisto e conservazione del cibo che vengono messe un po’ nel dimenticatoio. E così anche le stagioni sembrano favorire o meno lo speco alimentare, con l’estate che diventa il periodo dell’anno in cui si spreca un po’ di più, almeno in Italia. E con la frutta che si conferma il cibo più gettato nella spazzatura in assoluto (30 grammi), seguito da insalata (26 grammi) e pane fresco (22 grammi). La quota di spreco settimanale pro capite, infatti, nella stagione calda appena finita è passata da 595,3 a 674,2 grammi, per un valore annuo di oltre 9 miliardi andati in fumo. A calcolarlo il nuovo monitoraggio dell’Osservatorio internazionale di Waste Watcher/ Spreco Zero, che ha analizzato nelle settimane estive i comportamenti di 9mila cittadini di nove Paesi del mondo (Italia, Spagna, Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Sudafrica, Brasile, Giappone) i cui risultati verranno presentati oggi a Roma. «I costi economici, energetici e idrici dello spreco alimentare domestico in Italia – sottolinea perciò Andrea Segrè, fondatore campagna Spreco Zero e direttore scientifico Osservatorio Waste Watcher – rappresentano un’emergenza del tutto sottostimata dalle istituzioni. Per questo, chiediamo al nuovo governo di intervenire con campagne di educazione alimentare e di informazione e sensibilizzazione dei cittadini. A fronte del dovere di non sprecare, bisogna riconoscere un diritto ad un’alimentazione adeguata, lo ius cibi».
Da questa indagine, firmata da Waste Watcher, International Observatory on Food & Sustainability,
promossa dalla campagna Spreco Zero di Last Minute Market con il monitoraggio Ipsos, emerge che Sudafrica e Giappone sono i Paesi più virtuosi, perché nelle loro case si spreca circa la metà rispetto all’Italia (324 e 362 grammi a settimana), mentre in Europa è la Francia il Paese da applauso con “appena” 634 grammi settimanali. Germania e Regno Unito svettano, invece, nel vecchio continente come le “pecore nere”, rispettivamente con 892 e 859 grammi. Gli Stati Uniti poi sembrano incorreggibilmente portati allo spreco, con 1.338 grammi di cibo gettato a settimana, per quanto in lieve discesa rispetto al 2021, quando avevano gettato 64 grammi in più. Il Brasile, per la prima volta monitorato da Waste Watcher, si posiziona al quarto
posto complessivo nella ‘hit’ degli sprechi domestici, con 794 grammi di cibo gettato ogni settimana, sempre pro capite. Se invece esaminiamo la frequenza dello spreco alimentare domestico, sono decisamente i giapponesi in testa alla hit virtuosa: in casa oltre 7 cittadini su 10 sciupano cibo meno di una volta a settimana (74%) e solo 1 giapponese su 5 spreca almeno una volta a settimana. A loro si avvicinano – ed è una buona notizia – gli italiani e i francesi, con il 68% dei cittadini che dichiarano di sprecare meno di una volta a settimana. Seguono tedeschi (65%), spagnoli (63%), inglesi (59%), e via via sudafricani (58%), statunitensi (55%) e a fondo classifica i brasiliani: 1 su 2 conferma di gettare il cibo almeno una volta a settimana.
«Il nuovo report internazionale vale come un “G9” dello spreco – spiega ancora Segrè – perché è un “tracciamento” che permette di comporre la mappa degli stili alimentari sulla Terra: utile a tutti per migliorare il proprio comportamento, e alle istituzioni per valutare misure concrete di sensibilizzazione e promozione dell’educazione alimentare a livello domestico e di filiera produzione – distribuzione del cibo, per guidarci in direzione degli Obiettivi dell’Agenda 2030». E quali sono i provvedimenti pubblici che, dal punto di vista dei cittadini, potrebbero aiutare a ridurre lo spreco del cibo, se messi in atto dalle istituzioni e dai governi del mondo? Certamente per tutti svetta la prospettiva di campagne capillari di educazione alimentare e sensibilizzazione dei cittadini sugli effetti negativi dello spreco per l’economia e l’ambiente: vale per tutti i Paesi, con livelli di consenso fra il 70 e l’80 %, tranne gli Stai Uniti, un po’ più freddi all’ipotesi (58/59%). Sensibili alla questione etichette alcuni Paesi, l’Italia in particolare (84%), mentre l’idea di tassare chi spreca convince molto meno i cittadini internazionali, tranne gli italiani (54%), i giapponesi e sudafricani (48%). Così come si storce il naso per l’aumento dei costi dei generi alimentari, come strategia per restituire valore al cibo: un’idea che resta il fanalino nella classifica dei provvedimenti pubblici anti-spreco.