Corriere della Sera, 12 ottobre 2022
La rivelazione su padre Dall’Oglio
L’ultima testimonianza è arrivata nel gennaio scorso, tramite l’Unità di crisi del ministero degli Esteri, da un sedicente membro dell’Isis, lo Stato islamico. Dice di chiamarsi Ibrahim Saleh Al Hamdan, e davanti a una telecamera racconta il sequestro e l’omicidio di padre Paolo Dall’Oglio, scomparso da Raqqa, in Siria, il 29 luglio 2013. Ma gli elementi a disposizione non consentono di andare avanti nell’accertamento delle responsabilità, e dunque la Procura di Roma alza bandiera bianca chiedendo l’archiviazione dell’indagine. Ora sarà un giudice a pronunciarsi, valutando gli indizi raccolti con difficoltà da inquirenti e investigatori. A cominciare proprio dalla ricostruzione di Al Hamdan.
Il testimoneQuel giorno di nove anni fa, secondo il filmato acquisito dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, l’autista dell’Isis (o Daesh, in arabo) si trovava con il dirigente Abu Hamzeh Riadiat, nel momento in cui quest’ultimo fu avvisato che il gesuita italiano – all’epoca cinquantanovenne, sostenitore del dialogo interreligioso con il mondo islamico, espulso dalla Siria un anno prima – era stato rapito da un certo Kassab, responsabile del villaggio Karama, a est di Raqqa. Lì padre Dall’Oglio era andato per incontrare l’emiro Abu Lukman, con il quale intendeva intercedere per la liberazione di due religiosi (uno greco-ortodosso e l’altro siriaco-ortodosso) sequestrati ad aprile da un gruppo jihadista. Abu Lukman però non c’era, Dall’Oglio parlò con un’altra autorità e dopo essersi allontanato a piedi si imbatté nel gruppo guidato da Kassab che, intuite le «potenzialità» del possibile prigioniero, lo prese in ostaggio.
La confessione
Avuto questo racconto Abu Hamzeh Riadiat cercò subito al telefono Kassab, riuscì a parlarci dopo un’ora, ma «questi gli comunicava di avere già ucciso padre Dall’Oglio». Riadiat, «estremamente irritato per l’accaduto e per non essere stato informato», raggiunse subito l’emiro Abu Lkma presso la diga Al Baath, sempre accompagnato dal testimone Al Hamdan. Il quale racconta che l’emiro «andò su tutte le furie richiedendo l’arresto di Kassab».
Il presunto reo confesso fu quindi fermato e trattenuto per due giorni, nei quali spiegò di aver ucciso il sequestrato dopo essersi convinto che «rappresentava una minaccia, poiché se arrivava a una riconciliazione tra le fazioni, queste ultime si potevano schierare contro di noi». L’omicidio, avrebbe aggiunto Kassab, fu commesso nonostante i tentativi di Dall’Oglio di convincerlo che «non si poteva assassinare un prete loro ospite», e il corpo della vittima sarebbe stato sepolto in un «cimitero noto agli abitanti del villaggio nonché ai membri di Daesh del tempo, alcuni dei quali attualmente detenuti dai curdi».
Conferme
Il racconto di Ibrahim Saleh Al Hamdan, per quanto generico, è il più dettagliato tra quelli accumulati durante nove anni di indagini, e si sovrappone ad altre indicazioni sullo stesso, ipotetico assassino. Già una fonte confidenziale dell’Aise, definita dal servizio segreto italiano per l’estero «soggetto siriano ben introdotto negli ambienti di Raqqa», aveva detto nel febbraio 2014 che padre Dall’Oglio era stato ucciso da un certo Kassab Al Jazrawi, «ex elemento di Jabhat al Nusra (fazione jihadista attiva dal 2012, ndr) che aveva combattuto in Iraq». Secondo la stessa fonte l’omicidio del gesuita avvenne dopo il tentativo di incontrare Abu Luqman e Abu Bakr Al Baghdadi, all’epoca califfo e poi emiro dell’Isis.
Altri ostaggi dalla sorte migliore hanno riferito di aver saputo, durante la loro prigionia, che l’omicidio avvenne subito dopo il sequestro. Per esempio l’attivista di un’organizzazione non governativa Federico Mokta, rapito ad aprile 2013 e liberato a maggio 2014: «I miei sequestratori mi hanno detto che avevano ucciso padre Dall’Oglio, e questa cosa ci è stata riferita credo nel mese di febbraio 2014. Inoltre io avevo percepito, parlando con altri sequestrati, che padre Dall’Oglio si trovava a Raqqa per svolgere un’attività e lì era stato preso». Due giorni prima del rapimento lo stesso gesuita aveva scritto una e-mail a uno dei suoi fratelli in Italia per informarlo che si trovava a Raqqa e che il giorno dopo «si sarebbe recato nella località di Deir El Zor, dove si sarebbe trattenuto due giorni per trattare la liberazione di due fratelli religiosi, i quali erano nelle mani di estremisti islamici».
«Ipotesi più concreta»
Questi elementi, insieme ad altri, hanno convinto l’aggiunto Colaiocco e il procuratore Franco Lo Voi che l’ipotesi di un omicidio conseguente al rapimento «appare quella maggiormente concreta» rispetto a un sequestro prolungato. Tuttavia «l’incertezza sulla identificazione» dei responsabili, indicati tramite «appellativi da ritenersi probabilmente solo dei soprannomi, rende impossibile ogni ulteriore approfondimento». Anche i test del Dna effettuati sui resti di 30 persone, tra cui 13 uomini, ritrovati in una fossa comune a Raqqa, nel 2018, hanno dato esito negativo.
In attesa della decisione del giudice e «in assenza di «riscontri e acquisizioni dirette» al momento ritenute impossibili dagli inquirenti, quello di padre Paolo Dall’Oglio resta il sacrificio di un sacerdote che credeva nel dialogo interreligioso, scomparso nel tentativo di salvare due vite umane.