Corriere della Sera, 12 ottobre 2022
Intervista a Roberto Garofoli
Magistrato, presidente di sezione del Consiglio di Stato e attento custode del suo profilo istituzionale, il sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli è il regista dei Consigli dei ministri, l’uomo del Pnrr e il coordinatore di quella «transizione ordinata» che Draghi ha raccomandato alla sua squadra.
Con Draghi in Cdm avete brindato alla fine del mandato. Bilancio?
«In questi 19 mesi il Paese ha dovuto fronteggiare emergenze severe e impostare il lavoro inedito del Pnrr, vitale per attenuare i divari e le disuguaglianze, nonché per rilanciare il sistema sociale, educativo, economico».
Che Italia avete trovato quando è caduto Conte?
«A febbraio 2021, quando il governo Draghi si è insediato, la crisi pandemica era ancora terribilmente grave, molte filiere produttive ferme, la campagna vaccinale da organizzare. Le forze politiche, il Parlamento, tutti i livelli istituzionali sono stati concentrati sui gravi problemi di cittadini e imprese. Poi, quando l’Italia era sul sentiero della piena ripresa, è arrivata la guerra. L’unità nazionale è stata un indubbio fattore di vantaggio».
Quale eredità lasciate all’esecutivo che verrà?
«Con le crisi e le emergenze il Paese deve esser pronto a fare i conti. Come scrisse con parole profetiche Ulrich Beck all’indomani della tragedia di Chernobyl, le società occidentali sono sempre più “società del rischio”. Il deterioramento dello scenario geopolitico e la dimensione dei problemi impongono politiche e azioni comuni, come è stato con la risposta europea alla crisi pandemica. Occorre innalzare la capacità nazionale di dare risposte tempestive ed efficaci ed è indispensabile avere un metodo di governo e strutture istituzionali adeguate».
Il metodo Draghi sarà replicabile da parte di un governo politico presieduto da Giorgia Meloni?
«Il Pnrr ha imposto un cambio di approccio, pretendendo che l’azione pubblica sia improntata a logica di risultato e prontezza operativa. L’una e l’altra sono e saranno necessari in futuro, nel perseguire gli obiettivi del Pnrr, nel controbilanciare gli effetti dell’inflazione, nell’affrontare un contesto economico in deterioramento».
Meloni pensa che sul Pnrr si possa fare meglio...
«La Commissione Ue ha riconosciuto che il Paese è in linea con i tempi. Il Piano prevede che le aggiudicazioni con la conseguente messa a terra intervengano nel 2023. Sono in corso centinaia di gare pubbliche».
C’è il rischio che si sprechino i miliardi del Pnrr?
«Occorre proseguire nel coordinare e monitorare tutto questo. Sono state già approntate importanti misure di supporto tecnico-operativo in favore degli enti territoriali. D’accordo con l’Anci, è stato sperimentato un modello che consente ai Comuni di richiedere a grandi stazioni appaltanti dello Stato di progettare e appaltare per loro. Si sta replicando questo modello per altre linee progettuali».
La macchina dello Stato sarà in grado di attuare le riforme imposte dal Piano di aiuti Ue?
«Nel lavoro di contrasto alla pandemia e poi nel Pnrr si è compreso quanto sia necessario irrobustire alcuni pezzi dell’apparato pubblico, fiaccati da anni di spending e di deboli politiche dedicate. Per il Paese è fondamentale innalzare l’adeguatezza del sistema istituzionale, amministrativo e giudiziario».
Come vanno riformati i rapporti tra Stato, Regioni e Comuni?
«È uno snodo decisivo per l’efficiente funzionamento del sistema istituzionale. La leale collaborazione è stata in ogni caso assai proficua in questi 19 mesi. Per fronteggiare crisi complesse e monitorare l’attuazione di piani di riforma è necessario disporre di strutture amministrative che supportino ancor più efficacemente i decisori pubblici. Qualcosa è stato fatto in questi mesi, ma bisogna insistere in questa direzione».
Cosa è stato fatto?
«Nell’esercizio del golden power ad esempio gli affari da esaminare sono passati da 8 nel 2014 a 496 nel 2021, ma la struttura è rimasta immutata il che è assai rischioso per gli interessi nazionali. Abbiamo avviato un processo di rafforzamento sul modello di Francia e Usa. Il secondo esempio è l’istituzione dell’Agenzia per la cyber-sicurezza, che in un contesto di crescenti minacce informatiche non poteva essere rinviata. E per la prima volta ci si è dotati di una macchina dell’attuazione del programma di governo».
Siete andati avanti a colpi di decreti e fiducie...
«Si, ma le emergenze lo hanno imposto. Chigi ha dato impulso a una rete di funzionari dedicati presso i vari ministeri, monitorandone l’operato con obiettivi mensili. È un modello organizzativo nuovo che ha dato risultati tangibili, 1.376 decreti smaltiti, quasi il triplo delle altre esperienze di governo».
La «transizione ordinata» voluta da Draghi si è complicata dopo le dichiarazioni di Meloni, poi rettificate, sui ritardi del Pnrr e l’inutilità dei Consigli Ue?
«Assolutamente no. Al momento del cambio di governo è necessario un supplemento di cooperazione istituzionale. Il passaggio di consegne sarà ordinato, perché abbiamo a cuore il Paese. Metteremo in condizioni il nuovo governo di conoscere, per ciascun dossier, cosa è stato fatto e dove siamo. Le urgenze da affrontare non consentono rallentamenti».