la Repubblica, 12 ottobre 2022
Il Long Covid dei giovani italiani
Invisibili, spenti, sfiduciati. Mai protagonisti, i giovani e giovanissimi italiani sono sempre di meno, contano sempre di meno. E dopo la pandemia guardano con ancora più pessimismo al futuro. Solo il 22% lo immagina migliore, il 40% addirittura peggiore. La generazione post Covid mette al primo posto delle preoccupazioni e dei desideri il lavoro che però non c’è, o è sottopagato. Così si ingrossa l’esercito di Neet, ormai 3 milioni, al top in Europa: giovani che non studiano (il 12,7% abbandona la scuola), non si formano, non cercano un posto. Sempre più preda di agorafobia, depressione, disturbi dell’alimentazione.
Un quadro preoccupante, quello fornito dal nuovo Rapporto Censis sulla “Generazione Post Pandemia”, realizzato per il Consiglio nazionale dei giovani e dell’Agenzia nazionale dei giovani. Dopo il Covid, i giovani sognano di vivere in una società più inclusiva (68%) e meritocratica (32%).
Invece si sentono sbalzati fuori da una gerarchia di adulti over 65 che non lascia il potere e di cui non si fidano. E da una politica che li tiene sempre fuori dalla porta. Il 77% degli under 24 pensa che ci siano troppi anziani ai vertici delle istituzioni. Il 69% non si sente rappresentato dai partiti. Il 23% rinuncia al voto.
Chi può fugge all’estero perché «manca una promessa di miglioramento e di benessere». Chi resta è in preda a «incertezza e ansia », molti hanno rivisto i progetti di vita dopo la pandemia, alcuni hanno smesso di studiare o hanno perso il lavoro. «Moltissimi si trovano in una situazione di sofferenza fisica e mentale», dice ancora il Rapporto Censis. Il contesto, dopo due anni di fermo a intermittenza per il Covid, è «completamente cambiato». E questo «ha ritardato tutti i passaggi alla vita adulta». La disillusione verso le promesse della politica spegne non solo le lotte per i diritti, ma anche la speranza di un ascensore sociale. Il 72% crede sia finito il tempo in cui i figli stavano meglio dei genitori. E quel che è peggio il 64% pensa che il lavoro sia importante ma «solo per garantirsi un reddito».
Tutto questo, secondo il Censis, porta a un «disinvestimento dalle leve tradizionali della crescita socio- economica: istruzione, formazione, lavoro». Il 45% dei giovani dichiara che dopo la pandemia desidera trascorrere a casa più tempo possibile, il 48% ha sviluppato una sorta di agorafobia, una paura a frequentare luoghi affollati, il 47% si percepisce fragile, il 32% si sente solo, quota che sale al 39% tra i giovanissimi, specie nei piccoli Comuni. «Rischiamo di lasciare, ancora, indietro una generazione esausta», dice Maria Cristina Pisani, appena riconfermata alla presidenza del Consiglio nazionale giovani. «Ce n’è abbastanza per comprendere perché i giovani sempre di più scelgono di fuggire all’estero, perché non riescono a mettere su famiglia e fare un figlio. Occorre una concreta promessa di futuro. Ne va anche della competitività del Paese».
Il Pnrr destina ai giovani appena 235 milioni su 191,5 miliardi (lo 0,12%) con la scusa che sono obiettivo trasversale di tutto il Piano. Ma assicura anche «ulteriore debito per le giovani generazioni», nota il Censis. Non bastano «didattica a distanza, smartworking, videochiamate, e-aperitivi e dating digitale» per vincere impotenza (12,5% dicono di provarla) e rassegnazione (11,5%). Giovani in debito di futuro. E anche di ossigeno, asfissiati da un Paese senza progetti.