la Repubblica, 12 ottobre 2022
Ritratto di Giancarlo Giorgetti
Ieri Giancarlo Giorgetti aveva mal di schiena. «Mi sentivo più giovane quando sono entrato la prima volta. Ora ho tutti i dolori articolari», ha detto dopo essersi registrato alla Camera dei deputati. Gli avevano appena chiesto se sarà lui il prossimo ministro dell’Economia. Subito dopo le elezioni venne fuori che invece sarebbe rimasto escluso, su decisione di Matteo Salvini: «Uno si riposa, si cura», filosofeggiò. Insomma, non dà l’impressione di volerlo farlo a tutti icosti, anzi. Eppure in queste ore è il cuore dell’ingranaggio: sistemato lui, tutte le caselle del risiko della destra andrebbero misteriosamentea posto. È un veterano del potere. Sta per iniziare la sua legislatura numero sette. Aveva 29 anni quando entrò a Montecitorio, ora ne ha 55.
Una vita da eterno predestinato. O da secondo. Per tutti, anche per gli avversari, (Giorgetti ha molti estimatori), è semplicemente «Giancarlo». Il leghista dal volto umano che ha vissuto sempre un passo indietro, rispetto a Bossi, Maroni, Salvini. Uno che ormai piace più fuori che dentro al suo partito.
Non a caso Salvini lo vorrebbe inserirenel governo in quota tecnici. I due non si sono mai amati.
La verità è che vorrebbe fare il presidente della Camera. Quella è l’ambizione nascosta. Ma gli hanno preferito finora il giovane Molinari. Per fare il ministro del Tesoro ci vuole un fisico bestiale, e come responsabile dello Sviluppo economico, dicono, Giorgetti ha delegato molto. Le competenze non sono in discussione, avendo fatto il presidente della commissioneBilancio, ma qual è esattamente il suo temperamento politico, visto il ruolo che richiede spiccata personalità? Lui è nato invece mediatore. Lo hanno paragonato a Gianni Letta, a Richelieu, a Penelope. «In tanti vogliono fare gol, io preferisco giocare a centrocampo, essere Pirlo», ammise una volta. Garbato e cordiale, ma anche riservato e sfuggente, refrattario ai social, nessuno sa davvero chi sia veramente. È stato gratificato di iperboli. «Il potente sottosegretario leghista», si diceva all’epoca dei gialloverde; «l’uomo che dà del tu a Mario Draghi». A gennaio tifò per il premier in carica al Quirinale «in versione De Gaulle», ha perso anche quella battaglia. Minacciò di andarsene.
Filoamericano, ma anche salviniano. Ancora quattro anni fa diceva meraviglie di Trump, Orbàn, Putin: «A noi leghisti piacciono le persone di buonsenso, che dicono quel che pensa la gente normale, non il mainstream buonista del politicamente corretto», (La Stampa ,11 gennaio 2018). Sono parole che probabilmente non ripeterebbe più. Poi ha tessuto il filo per una Lega meno sovranista, cercando sponde nel Ppe. Anche a destraparlano bene di Giorgetti. «È un mio amico e potrebbe fare tutto: anche il generale delle Forze Armate », lo ha elogiato Ignazio La Russa, che concorre alla carica di presidente del Senato.
Quando torna a casa, a Cazzago Brabbia, 820 abitanti, in provincia di Varese, «da qualche parte della brughiera», come scrisse una volta su questo giornale Brunella Giovara, passeggia da solo, anche sotto la pioggia. Gli piace curare il giardino, coltivare i ribes e le more, Di Cazzago è stato anche sindaco, dal 1995 al 2004. Tutti i Giorgetti sono stati pescatori, il padre, il nonno, il bisnonno, Giancarlo è il primo che ha studiato: laureato in Economia aziendale, alla Bocconi, nel 1990. E nella Lega ruspante degli esordi, quella del celodurismo e di Roma ladrona, passava per troppo educato. Da piccolo leggeva Il piccolo missionario , poi lo scoprì Umberto Bossi, che se ne innamorò mentre sembrava avviato a un tranquilla carriera di commercialista. «Da Bossi ho imparato il 99 per cento di quel che so», disse una volta, esagerando. La madre ha fatto la tessitrice, infatti Giorgetti è così anche «l’instancabile tessitore».
Altero lo è per passione calcistica. Tifa, dall’età di undici anni, per gli inglesi del Southampton, l’altro fine settimana era in Inghilterra, allo stadio. Il soprannome della squadra è “i santi”. E ogni volta che può Giorgetti, cattolico praticante, va a messa alle sette del mattino. Nella foto dell’altro giorno del governo Draghi lui è il compagno di scuola che sta laggiù, in fondo, bisogna guardare a lungo per riconoscerlo un po’ sfocato. Nonostante gli acciacchi, le prudenze e un’apparente refrattarietà al potere resta il centro di gravità nella Lega, e c’è in questa contraddizione il segno della sua longevità.