il venerdì, 7 ottobre 2022
Su "Memorie di un baro" di Sacha Guitry (Adelphi)
A pagina 30 delle sue memorie, il narratore rivela: "Più che scriverle le butto giù, senza fatica, senza pensarci troppo, nell’assolato dehors di un modesto bistrot all’angolo tra Rue des Vignes e Rue Boulainvilliers". Ho verificato sul posto: all’angolo tra le due strade parigine non c’è nessun bistrot. Magari si trovava nei locali oggi occupati da un’agenzia di assicurazioni. Ma preferisco pensare che non sia mai esistito. Altrimenti che razza d’impostore sarebbe il protagonista dell’unico, delizioso romanzo di Sacha Guitry?
Inedito in Italia e ora pubblicato da Adelphi, Memorie di un baro uscì nel 1935. D’un bagliore, riaccendeva nella cupissima Europa dell’epoca la levità scanzonata dell’antica tradizione picaresca. Humor nero incluso. Non per niente, Mémoires d’un tricheur si apre con una strage. Punito per un furterello, il protagonista bambino viene mandato a letto senza cena. Una fortuna. Perché, dopo essersi spazzolati a tavola una vagonata di ottimi funghi, ma velenosi, gli undici membri della sua famiglia crepano tutti uno appresso all’altro. Rimasto solo in questo mondo crudele, l’eroe commenterà: "Ero vivo perché avevo rubato. Di lì alla conclusione che gli altri erano morti perché erano onesti".
Eccovi servita da subito la morale del tricheur, la sua gaia scienza: vivere=barare. Chi è ligio soccombe. L’imbroglione di Guitry non ha che un obiettivo: diventare ricco. Però non è un mefistofelico genio della truffa, quanto piuttosto un radioso edonista. Ricorda Felix Krull, l’irresistibile avventuriero di Thomas Mann (che però ha origini borghesi e tecnicamente non è un "picaro"). La furbizia non corrompe il candore del baro, le bastonate inferte dalla vita non lo rinchiudono in un rancoroso cinismo, ma lo fanno decollare verso nuove, alate scommesse, amori, cabale, imprese ("Partito dal basso, sono arrivato se non molto in alto almeno molto lontano"). In undici capitoli appena, lo vediamo guadagnare e bruciare milioni di franchi, cambiare "cinque nazionalità, quattordici nomi e nove facce", trasformarsi in garzone, fattorino d’hotel, cospiratore antizarista suo malgrado, gigolò con anziane contesse, croupier, fantaccino nella Grande guerra e infine baro di professione. Danaroso, ma inappagato. Per questioni di spoiler, mi fermo qui. Anche i romanzi-commedia hanno diritto alla suspense. E di commedie Alexandre-Georges-Pierre Guitry, detto Sacha (1885-1957), se ne intendeva come pochi. Ne avrebbe scritte e messe in scena centoventiquattro.
Drammaturgo, regista, interprete, cineasta, caricaturista, negli "anni folli" tra le due guerre fu il teatro a incoronarlo monarca assoluto della scena parigina, "Re Sole del Boulevard", "Molière della Terza Repubblica". Senza barare, ma col medesimo fregolismo del suo tricheur, guadagnò anche lui montagne di quattrini per poi finire spiantato. E tuttavia la vita di Guitry non potrebbe stare tutta dentro un romanzo solo.
Alla corte dello zar
Era nato a San Pietroburgo, ma di slavo non aveva nemmeno un’oncia. Tanto il nome Alexandre che il nomignolo "Sacha" vennero scelti in omaggio allo zar Alessandro III, ammiratore e maxi-sponsor di suo padre Lucien, leggendario divo teatrale osannato in patria come tra le élite francofile della Russia imperiale. Un tipo ingombrante, papà Lucien. È lui a lanciare nel mestiere il piccolo Sacha facendolo esibire a corte in costume da Pierrot. Lo coccola, se lo tiene strettissimo. Se l’è portato a Pietroburgo strappandolo con l’inganno alla madre, l’attrice Renée Delmas, da cui ha divorziato.
A scuola, Guitry jr. è un disastro. Preferisce jouer (recitare/giocare), e sul palcoscenico dà prova di precoce talento. In breve i rapporti con l’augusto genitore diverranno competitivi. Tra allievo e maestro, astro nascente e astro calante è duello: si rubano la scena, le amanti. La rottura è nell’aria. Avverrà nel 1905. Per tredici anni i due non si rivolgono la parola. Ma prima della morte di Lucien faranno in tempo a riconciliarsi. Al padre, Sacha doveva tanto. Sotto la sua ala era stato un rampollo viziato, un giovane dandy che a cena in casa si ritrovava gente del calibro di Georges Feydeau, Edmond Rostand, Georges Courteline, Octave Mirbeau, Sarah Bernhardt, Anatole France, Auguste Rodin, Jules Renard, Georges Clemenceau o Léon Blum. Il milieu artistico-intellettuale della Belle Époque sarà per Sacha una palestra di intelligenza, perfidia, umorismo, pettegolezzo, joie de vivre.
Un pozzo di aforismi
A Parigi le commedie di Guitry sono ancora oggi costantemente in cartellone. "Le Roi" le aveva fatte girare anche all’estero (a Roma, nel ’32, si esibì al Teatro Valle e incontrò Mussolini). Eppure, fuori dai confini francesi, l’ex ambasciatore della gaîté parisienne, l’allegria parigina, è ai giorni nostri un mezzo Carneade. Chissà perché. Datato? Inadatto all’export? Troppo "franchouillard", "provinciale" nel suo spirito da boulevard? Certo, pur collocandosi a pieno titolo sulla direttrice Molière-Marivaux-Beaumarchais, il teatro di Guitry non raggiunge l’universalità dei predecessori né la farsesca potenza sismica del grande vaudeville. Ma, rilette o riviste adesso, molte sue pièces conservano una bella freschezza. Soprattutto rimangono un favoloso giacimento di aforismi. Specie in Francia, "chiunque sia a corto di citazioni e voglia aprire un articolo o chiudere un discorso con un motto di spirito, può usare la sua opera come un breviario" scrive Christophe Barbier nel divertentissimo Le monde selon Sacha Guitry (edizioni Tallandier, 2018), un compendio del Guitry-pensiero. Che è fatto di misoginia, sarcasmo, disincanto, ma pure di autocritica, malinconia, crepuscolare saggezza: "Negare Dio è privarsi dell’unico interesse che può avere la morte" annotava presago.
La morte lo avrebbe colto a 72 anni nella sua casa-museo di Rue Elisée-Reclus, a pochi passi dalla Tour Eiffel. Un "Vittoriale" con appese alle pareti tele di Renoir, Cézanne, Matisse, Braque... Però lo sfarzo celava l’abisso. La vendita all’asta di quel popo’ di patrimonio non fu sufficiente a ripianare i debiti ammassati dal divino Sacha.
Ombre brune
Malgrado il train de vie principesco, dopo l’ultima guerra non era più lo stesso. Alla liberazione lo avevano arrestato in vestaglia e pantofole, picchiato, deriso, imprigionato. L’accusa: collaborazionismo. Ma, nel turbine delle epurazioni, era più che altro livore sociale verso uno che sotto l’occupazione nazista aveva continuato a spassarsela, a recitare la commedia nella tragedia. È vero, sulle prime Guitry era stato apertamente maréchaliste. In linea con la stragrande maggioranza dei francesi, aveva visto in Pétain "le bouclier", lo scudo protettivo e non il traditore della Patria. Gli aveva perfino dedicato un volume dove lo includeva tra i salvatori della Nazione, a cominciare da Giovanna d’Arco. Sacha non si era attivato per la resistenza, ma grazie alle simpatie di cui godeva presso i tedeschi, che lo carezzavano come un chihuahua, aveva pur sempre sottratto un sacco di gente alle grinfie dell’invasore. Insomma: partigiano no, ma "collabo" nemmeno. Casomai apolitico in odore di qualunquismo ("Per me un governo che cade è come una pièce che viene tolta e sostituita dal cartellone"). Le assoluzioni lo tirarono fuori dal carcere, senza risparmiargli però due anni di messa al bando dalle scene della Repubblica. Per lui che controllava l’orologio in attesa di una poltrona all’Académie Française si apriva invece il viale del tramonto.
Oltre che in teatro, Guitry aveva primeggiato nella celluloide. Di cinema non sapeva granché, ma girò 36 film, tra cui Le roman d’un tricheur (1936, tratto dal libro), nel quale sembrava anticipare Quarto potere di Orson Welles raccontando la storia del baro quasi tutta in voce-off e con pochissimi dialoghi. Non solo. Prima dell’avvento del sonoro, Sacha era stato un pioniere del documentarismo. Nel 1915 aveva filmato all’opera gli amici Rodin, Monet, Renoir, Degas... Sono praticamente le uniche immagini in movimento che ci restano di quei Sommi.
Il principe dei cornuti
Ma dietro lo sfavillante successo, tra le quinte del Guitry privato si avverte sempre qualcosa di teneramente patetico. I suoi scritti pullulano di malignità sugli uomini che sposano donne più giovani ("Aveva la metà dei miei anni: normale che ne facessi la mia metà"), finendone fatalmente cornificati. Però con quelle boutades l’ilare moralista metteva sulla graticola in primis se stesso. Prestante, non bello, le consorti (in numero di cinque, tutte attrici in erba di cui fu pigmalione) lo avrebbero ricordato come un seduttore vorace, ma un amante così così. Impalmando l’ultima della serie, Lana Marconi, le disse: "Sarai la mia vedova!". Nel ménage coniugale era possessivo, ma più infervorato dal lavoro e dalle mondanità che dalla passione. Di Yvonne Printemps - la sua Signora nell’âge d’or 1919-’34 - si tramanda che si facesse accompagnare dall’autista alle Galeries Lafayette per riemergere dallo shopping dopo un’oretta abbondante. Nel frattempo era sgattaiolata fuori dal retro ritrovando in un alberghetto il fustaccio di turno.
In fondo Sacha muore come aveva vissuto: nella solitudine del commediante che ha smascherato le ipocrisie borghesi del denaro, della reputazione, del matrimonio, del sesso, elevando quella sapienza ad arte, ma scoprendosi incapace di applicarla alla propria vita, di tradurla in verdetto. Si cita sempre Guitry come maestro di cattiveria. In realtà il suo castigat ridendo mores è un esercizio di indulgenza. Scettico però esente da acrimonia. Troppo gustosa è la finzione. Piuttosto che giudicare, Guitry si abbandona alla corrente. La felicità è commedia oppure non è. Ha la volatilità del denaro. Impossibile da accumulare, fermare: "Essere ricchi non è avere soldi: è spenderli" assicura il tricheur.
Tutti marci!
Mentre il baro pronunciava quelle parole, la Francia non si era ancora rimessa dagli scandali facenti capo a un autentico truffatore d’alto bordo, l’ebreo-russo Stavisky. Farfallone in casinò e grandi hotel, anche lui si chiamava Alexandre, detto Sacha. In vent’anni di carriera criminale - con la complicità di politici, banchieri, poliziotti, giornalisti - aveva falsificato di tutto: titoli finanziari, bilanci, gioielli, biglietti da visita... Addirittura la propria morte, spacciandosi tra le vittime di un disastro ferroviario. Nel gennaio del 1934 si sparò in uno chalet di Chamonix. Strano suicidio: in testa aveva due pallottole.
L’affaire Stavisky dà fuoco alle polveri della rabbia antiparlamentare. I governanti? Tous pourris!, tutti marci. Il 6 febbraio successivo, una manifestazione organizzata dalle Leghe di estrema destra davanti alla Camera dei deputati scatena disordini che in Place de la Concorde e dintorni si lasceranno dietro una ventina di morti. Nel Palazzo salta qualche testa. La Terza Repubblica vacilla. Sei anni dopo verrà spianata dalle armate hitleriane. Il mondo dei Sacha era davvero finito