il Fatto Quotidiano, 12 ottobre 2022
L’inedito di Freddy Mercury
Più che un presagio era una certezza. Freddie sapeva che “alla fine, devi affrontarla da solo”. La Signora con la Falce lo aspettava, lui esorcizzava l’incontro in ogni canzone delle ultime stagioni. Anche in Face it alone, che i Queen hanno “ritrovato” nei loro archivi. Brian May e Roger Taylor giurano sia “una piccola gemma di struggente bellezza”: domani il mondo la scoprirà. Le metropoli del pianeta sono da giorni tappezzate di manifesti che annunciano l’evento, come se Mercury fosse tornato sul palco con la sua band e il tempo avesse fatto una capriola indietro di più di trent’anni.
Rimettere insieme i pezzi dell’inedita Face it alone è stato un lavoro di pazienza: “Sapevamo che fosse lì, in bella vista, ma eravamo certi dell’impossibilità di portare a compimento l’impresa”, hanno ammesso i due leader superstiti dei Queen. Invece, con infinita pazienza, i tecnici sono riusciti a incollare i frammenti elaborati negli studi di Montreux e Londra in quel 1988 in cui Freddie&C. registrarono The Miracle, il tredicesimo album della loro storia, di sicuro il più drammatico. Perché in quel frangente il frontman non poteva più ignorare che i suoi giorni fossero contati. L’AIDS gli era stato diagnosticato nell’aprile dell’anno precedente: una macchia sospetta sulla mano, la biopsia. Il dottore cercò Mercury per comunicargli l’infausta novità, lui non prese la telefonata. Fu Mary Austin, la “Love of my life” della rockstar, l’amica più che speciale, ad accogliere la sentenza della malattia incurabile. Che Freddie nascose quasi a tutti, fino a 24 ore dalla scomparsa, il 24 novembre 1991. Un comunicato per rivelare ai fans come stavano le cose, i paparazzi che assediarono la residenza a Logan Place, nel quartiere londinese di Kensington, la fine repentina nel volgere di una giornata.
Pochi erano stati a conoscenza del dramma privato del cantante: tra questi i Queen, naturalmente. Freddie aveva parlato loro all’indomani del referto medico. A cena, mostrò i segni sulla pelle. Un piede sarebbe stato quasi cancellato dalla ferocia dell’AIDS. Di tornare in tour non se ne parlava: i Queen uscivano da un periodo complicato dal punto di vista della carriera (c’erano stati progetti centrifughi, la sortita di Mercury con Montserrat Caballé su Barcellona) e personali (May turbato da un divorzio lacerante), ma si ricompattarono. Freddie diceva agli altri: “Suonate tutto ciò che vi passa per la testa, io canterò ogni cosa, non fermiamoci mai più”.
Per The Miracle furono provinati trenta pezzi: dieci finirono sull’album originale nell’aprile ’89, altri sette arricchirono l’edizione deluxe del 2011. Face it alone fu giudicata “perduta”, “irrecuperabile”. C’è voluta la caparbietà di May e Taylor (e la certezza che il brand Mercury vende ancora alla grande, dopo il biopic Bohemian Rhapsody) per lucidare a specchio il gioiello postumo, uno dei lasciti più eloquenti del mood già da cupio dissolvi che pervadeva Freddie, in forma vocalmente fino all’ultimo, mentre fisicamente andava declinando.
La “nuova” Face it alone aggiunge chiaroscuri alla narrazione del crepuscolo d’artista di quello che era stato il mattatore assoluto del Live Aid. L’ultima apparizione di Mercury in pubblico fu nel 1990 ai Brit Awards. Il volto paurosamente smagrito, il corpo precocemente disincarnato, camminava sull’orlo dell’abisso. Smise di curarsi nel novembre ’91, sentendo approssimarsi, in gran fretta, la Signora con la Falce. Tre giorni prima dello sconvolgente annuncio sull’AIDS, volle essere sorretto dai collaboratori per scendere le scale di casa a Logan Place. Voleva dare un’occhiata, al piano terra, alla propria collezione d’arte moderna. L’ultimo desiderio. Anzi, il penultimo. C’era un’altra volontà da rispettare: che nessuno, tranne l’amata Mary Austin, sapesse dove sarebbero state custodite le ceneri.
Il segreto è stato mantenuto. Qualcuno giura sia sepolto sotto un ciliegio nel giardino domestico, altri sostengono che l’urna sia stata aperta sopra le acque del lago di Ginevra. Dove Freddie aveva trovato pace in un’altra tana accanto allo studio di Montreux. Oggi, in quell’angolo di paradiso svizzero, la sua statua da rockstar esultante saluta i tramonti. Di sicuro, in qualche modo, Mercury è lì.