il Fatto Quotidiano, 12 ottobre 2022
Intervista a Gianfranco Rosi
Gianfranco Rosi, che cos’è il suo ultimo film, In viaggio?
In viaggio non suggerisce risposte, è una Via crucis terrena. E un tributo a chi cerca di cambiare qualcosa. Inizia con il radar che cattura le voci disperate da un’imbarcazione che affonda nel Mediterraneo: “What is your position?”, chiede il capitano. Fa da metafora a tutto il film: qual è la nostra posizione nei confronti della guerra, delle armi? Dove siamo noi, ognuno di noi?
Lei, Rosi, dov’è?
Questa guerra ci ha coinvolto tutti, serve un momento di riflessione, stiamo un po’ perdendo tutti. Dobbiamo trovare a ogni costo una via d’uscita, è il momento di passare all’agenda Bergoglio. E quando poi sento dire “vabbè, ma è il Papa, chiaro che è contro la guerra e per la pace” come se fosse un atteggiamento pastorale, come se questa tragedia fosse ineluttabile, senza poter intervenire…
Come nasce questo suo documentario sulle missioni apostoliche di Papa Francesco?
Per Fuocoammare a Lampedusa incrociai Papa Francesco nel suo primo viaggio, nove anni dopo Notturno come lui faceva tappa in Iraq, e nel 2010 avevo realizzato El Sicario in Messico, meta di un’altra trasferta di Bergoglio: queste coincidenze mi hanno fatto riflettere. A oggi ha compiuto 37 viaggi in 53 Paesi, è un Papa in costante movimento, il suo è un pellegrinaggio al contrario. Lo inquadro al di fuori delle mura vaticane, volevo uscire dai labirinti della Chiesa, che Francesco ci portasse in angoli del mondo colpiti dai drammi dei nostri tempi, che i suoi viaggi fossero mappa della condizione umana.
La sfida?
La totale libertà. Il Vaticano mi ha dato 800 ore di materiale, e col mio montatore Fabrizio Federico ne ho tratto un primo montaggio: sperimentale, astratto, con una struttura impressionistica, non a tesi. Un film sul Papa, senza teologia né ideologia, senza giudizio. Si partiva dall’Iraq e si arrivava a Lampedusa per libere associazioni.
Non è però il film che troviamo in sala, che è successo?
La guerra. È scoppiata a febbraio, ha incrociato il film, e divorato il montaggio. Sono entrato in crisi: come approdare al conflitto? Il Papa aveva preso una posizione molto dura: “Ferma la mano di Caino! Illumina la nostra coscienza, non sia fatta la nostra volontà, non abbandonarci al nostro agire! Fermaci, Signore, fermaci! E quando avrai fermato la mano di Caino, abbi cura anche di lui. È nostro fratello. O Signore, poni un freno alla violenza! Fermaci, Signore!”.
Soluzione?
La più semplice, montare in senso cronologico, da Lampedusa alla guerra in Ucraina. In viaggio ha trovato una sua struttura, persino una autodeterminazione: un cammino ineluttabile, che incrocia la storia, che nell’iterazione dei vari temi, dalla povertà alla vendita delle armi e all’ambiente, pare uno sbobinamento delle encicliche papali.
Il film inizia dal sogno.
E il sogno è oggi il cessate-il-fuoco che ha chiesto Papa Francesco. Aspirare alla pace può sembrare un sogno, ma anche le Nazioni Unite sono nate da un sogno, anche la parità di diritti, anche i sindacati e la fine della segregazione razziale. In viaggio si apre con queste parole di Francesco: “Non pensare mai che la lotta che conduci quaggiù sia del tutto inutile. E soprattutto sogna, non avere paura di sognare”. Credo sia un dovere di tutti aspirare alla pace, l’agenda Bergoglio è oggi l’unica possibile.
Chi l’agenda Bergoglio non la prende in mano?
La politica, l’America sicuramente. Gli interessi dell’America spesso non coincidono con quelli dell’Europa. Credo che questa sia una sconfitta della diplomazia e dell’Europa. La politica americana è scandita dalle midterm elections, allora Biden capirà probabilmente che fare: nel frattempo traccheggia.
In viaggio è aperto.
È in divenire, perché voglio seguire il processo del Papa verso la pace. Si conclude con quella tendina che si muove, e sarà un altro viaggio apostolico, spero importante per una soluzione pacifica.
A Kiev o a Mosca?
A tutte e due, probabilmente prima Kiev e poi Mosca, ma non si può escluderne una. Nel film c’è un momento drammatico, già nel 2016 il Papa ci parlava di quella guerra. Quando visionai i materiali, mi chiesi: “Ma quale guerra?”. Bergoglio incontrava il patriarca di Mosca Kirill, oggi sembra un abbraccio col diavolo, allora era ecumenico. Subito dopo ai giornalisti avrebbe detto qualcosa che ora suona come una profezia: “Abbiamo discusso delle nostre Chiese, ma soprattutto della guerra, che adesso è circoscritta, però rischia di coinvolgerci”. Oggi ci ha coinvolto tutti, e forse non si poteva allora essere equidistanti, voltarsi dall’altra parte. Era sei anni fa il momento di intervenire con forza, ma la guerra in Donbass l’abbiamo scoperta solo qualche mese fa.
Chi s’è voltato dall’altra parte?
Tutto l’Occidente, l’Europa, l’America.