Anteprima, 7 settembre 2022
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Biografia di Mariella Mehr
Mariella Mehr (1947 -2022). Scrittrice. Poetessa. «Non aveva vissuto una vita sola. Da bambina, figlia di madre Jenisch (la terza popolazione nomade europea dopo di Rom e i Sinti), fu vittima del programma eugenetico Kinder der Landstrasse (figli della strada) organizzato dalla Pro Juventute dal 1926 al 1973: era un’“opera di soccorso” svizzera che prevedeva di “estirpare il fenomeno zingaro” sottraendo i figli alle madri (che venivano sterilizzate). I bambini venivano rinchiusi in istituti dove veniva cambiato loro il nome perché i genitori non potessero rintracciarli, infine finivano in affido presso famiglie contadine. Nei suoi libri autobiografici Mehr raccontò degli stupri e degli elettroshock subiti, della sterilizzazione forzata cui fu sottoposta a 24 anni, dopo aver messo al mondo un figlio, che le era stato portato via. Chiusa, come sua madre, in un centro psichiatrico, Mariella aveva passato buona parte dell’infanzia senza parlare, poi affidata a una famiglia ticinese e ricondotta in un altro manicomio. A 19 anni si sposò con la speranza di riavere il bambino, lo ottenne ma dopo il divorzio finì per perderlo di nuovo. “Fai crescere la rabbia, piccola, ti scalderà, ti permetterà di sopravvivere a questo inferno di ghiaccio”, scrisse in Steinzeit, il suo primo libro, uscito in tedesco (la sua lingua) nel 1981 (con il titolo Silviasilviosilvana uscì nel 1995 da Guaraldi). La rabbia è il motore di Mariella Mehr donna e scrittrice: alcolista, farmacodipendente per depressione e per angoscia, ribelle. Il suo “inferno di ghiaccio” durò 31 anni, finché si sottopose a una terapia “per esorcizzare la follia”, come ha scritto Anna Ruchat, sua traduttrice in italiano e amica: “Il tema dell’emancipazione dell’adulta dalla bambina sofferente e bisognosa sarà declinato nei romanzi successivi in diverse forme — la rabbia, il desiderio di vendetta, il gelo affettivo — e diventerà poi l’asse portante della trilogia della violenza”. Dopo quasi due anni di carcere, la lenta risalita comincia quando Mariella si presenta dalla famiglia affidataria del suo piccolo implorando di poterlo tenere con sé per un paio di settimane. Raccontò con un sorriso in un’intervista del 2006: “Quando la polizia è venuta a chiederlo per riconsegnarlo alla Pro Juventute, ho detto: aspettate qui, arrivo subito... Sono tornata sulla porta con il coltello più lungo che avevo in cucina e ho minacciato: o vi ammazzo io o mi ammazzate voi. Se ne sono andati e tutto è finito così”. Nel ’72 diede inizio alla lunga battaglia di denuncia pubblica contro quella “pulizia etnica” in salsa elvetica. L’anno dopo l’“opera di soccorso” fu chiusa e dovettero passare anni perché la Pro Juventute facesse il mea culpa ufficiale riconoscendo che sui bambini e le bambine spesso erano stati commessi abusi sessuali. Questa è, in breve, la storia delle tante vite (e battaglie) di Mariella Mehr. C’è poi, ma insieme alla combattente, la scrittrice e la poetessa. La trilogia narrativa «della violenza» comprende i romanzi La bambina (uscito da Effigie nel 2006), Il marchio (Tufani, 2005), Accusata (Effigie, 2008). Libri scritti in Toscana, dove aveva deciso di trasferirsi per un lungo tratto di anni (fino al 2014), ridotta quasi in cecità per una malattia non curata durante l’infanzia: nei tre romanzi, la memoria ferita di Mehr mette in scena diversi alter ego, che soffrono frustrazioni, abusi, infelicità, silenzi in un clima di allucinazione crescente reso con una prosa incalzante e fortemente espressionista» [Di Stefano, CdS]. È morta il 5 settembre a Zurigo, la città dov’era nata.