Anteprima, 14 settembre 2022
Tags : Jean-Luc Godard
Biografia di Jean-Luc Godard
Jean-Luc Godard (1930-2022). Regista francese. Tra i massimi esponenti della Nouvelle Vague. Nato a Parigi da una ricca famiglia protestante di origine svizzera. «La via verso la regia inizia con un documentario, Opération béton (1955), nato da un periodo di lavoro in Svizzera per la costruzione di una diga, e prosegue con alcuni corti (il primo è Une femme coquette, 1955, ispirato a Il segnale di Maupassant) fino a quando l’amico François Truffaut gli offre il soggetto di Fino all’ultimo respiro (1960) storia della breve e burrascosa relazione tra l’omicida di un poliziotto (Jean-Paul Belmondo) e una studentessa americana (Jean Seberg): riprese nelle strade e non negli studio, budget ridotto, tanto amore per il poliziesco americano e per un linguaggio visivo lontanissimo dalla tradizione, fatto di sguardi in macchina e un montaggio liberissimo (“sconnesso” hanno scritto), dove i personaggi e il loro slanci vengono prima della narrazione e della sua coerenza. Con I 400 colpi di Truffaut è il manifesto della Nouvelle Vague e il portabandiera di un cinema dove l’unica regola è filmare quello che si ha voglia di riprendere. Una libertà che diventa sempre più evidente nei film successivi, dove il suo linguaggio cinematografico si fa più anticonvenzionale e disarticolato grazie anche a didascalie e giochi di parole (“La fotografia è la verità, il cinema è la verità 24 volte al secondo”), a volte a rischio di confusione ideologica (come in Le petit soldat, contraddittoria riflessione sulla Guerra d’Algeria che dovette aspettare due anni - girato nel 1961 uscì nel ’63 - per ottenere il visto). O come nella confusa satira del militarismo che è Les Carabiniers (1963), altre volte esemplare nella sua efficacia brechtiana (La donna è donna, 1961, sulla mercificazione del corpo; Una donna sposata, 1964, saggio freddo e dolente sull’alienazione femminile), altre volte ancora troppo ambizioso per non incorrere nei fulmini della produzione (Carlo Ponti massacrò l’edizione internazionale di Il disprezzo, 1963, riflessione “tragica e disperata” sulla purezza del cinema, con la Bardot, Michel Piccoli e Fritz Lang). Un primo periodo, questo, che trova in Il bandito delle undici (1965, con Belmondo e la Karina, ai tempi sua compagna) e poi in La cinese (1967) la messa in discussione definitiva della forma tradizionale del film. A cominciare da Week end, un uomo e una donna dal sabato alla domenica (1967) per proseguire con La gaia scienza (1968) e One plus One (1968) è la politica che fa il suo ingresso nei film di Godard che cerca di confrontarsi con quello che succede fuori dai cinema, nelle strade e nelle piazze: non per raccontare una storia ma interagire con la Storia, nei modi che allora sembravano più efficaci, quelli della militanza politica e dell’annullamento dell’individuo nella massa, arrivando nel 1969 e per tre anni a “scomparire” nel Gruppo Dziga Vertov, i cui film però (Pravda, 1969; Vento dell’est, 1970; Lotte in Italia, 1970; Vladimir e Rosa, 1971) finiscono per essere soprattutto documenti della crisi che colse gli intellettuali più tormentati dopo il Sessantotto» [Mereghetti, CdS]. «Protagonista di grandi polemiche e furiosi litigi, nel 2017 è stato raccontato nel biopic di Michel Hazanavicius Il mio Godard, con Louis Garrel nei panni del regista, un personale omaggio al maestro che racconta la storia d’amore tra il cineasta e l’attrice Anne Wiazemsky e i giorni del Maggio parigino in cui fermò il festival di Cannes insieme ai colleghi della Nouvelle Vague. L’ultimo lavoro di Godard, Le livre d’image (Il libro dell’immagine) è stato presentato in concorso al festival di Cannes ma Godard non è andato. Negli ultimi anni il maestro ha vissuto rintanato in un borgo svizzero, sfuggendo a ogni occasione pubblica o mondana. Ma in quell’occasione ha parlato ai giornalisti collegandosi in video con un cellulare: “A questa età ho difficoltà a vivere la mia vita, ma ho ancora il coraggio di immaginarla”» [Celi, Rep]. Morto nella sua casa a Rolle, sulle rive del lago Lemano. Il quotidiano francese Libération ha fatto sapere che ha fatto ricorso al suicidio assistito. «Non era malato, era semplicemente esausto» ha rivelato una fonte vicina alla famiglia citata dal giornale, aggiungendo che il regista «aveva quindi preso la decisione di farla finita. È stata una sua decisione, ed era importante per lui che si sapesse».