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 2022  ottobre 11 Martedì calendario

"IL MIO OBIETTIVO E' SEMPRE STATO ARRIVARE CON IL RAP A TUTTI" - TOMMASO "PIOTTA" ZANELLO RACCONTA LA STORIA E L'EVOLUZIONE DEL RAP IN ITALIA - LA SCENA ROMANA CON PRIMO BROWN DEI "COR VELENO", DANNO E MASITO DEI "COLLE DER FOMENTO" E ICE ONE: "CI GODEVAMO VILLA ADA CON IL REGGAE, CANNETTE E PARTITE A PALLONE" - IL SUCCESSO DI "SUPERCAFONE": "A UN CERTO PUNTO CALIFANO SI SCAGLIÒ CONTRO DI ME. POI MI INVITÒ AL SUO COMPLEANNO E MI DISSE…" - VIDEO -

È diventato nazional popolare con il brano " Supercafone", ritratto tamarro dell'estate italiana di fine secolo, ma dietro la musica di Tommaso " Piotta" Zanello, 50 anni ad aprile c'è molto di più. Colto, autoironico, malinconico, è stato tra i primi ad animare la scena rap. Una storia che ripercorre nel suo nuovo libro - edito da Chinaski con una prefazione dei Manetti Bros - "Il primo Re( p). Alle origini del rap italico".

Qui distende i fili della memoria già disseminati nel brano "Di noi", dedicato a Primo Brown, scomparso nel 2016. Uno dei "quattro amici al bar" da cui parte tutto. Gli altri sono Danno e Masito dei Colle der Fomento che, con Piotta e Ice One, diedero vita alla Taverna Ottavo Colle: prima crew a rappare declinando l'hip hop nello slang romano.

Partiamo dal titolo: perché Il primo Re(p) romano? «Capita che mi fermino per strada dicendomi: "Oh, sei stato il primo". Ci ho voluto giocare in modo ironico, come se andassi a raccontare le mie gesta, ma anche quelle di tutti gli altri che hanno vissuto quel periodo, un'epoca fa».

Perché definisce il suo libro una "non fiction novel"? «Perché c'è una parte di vita vissuta ma non segue le regole delle autobiografie. C'è un ordine emotivo più che temporale. Durante il lockdown ho scritto ogni giorno un capitolo. Partivo da un flash, un ricordo, come se fosse una cartolina, infilandomici dentro per farla tornare in vita».

Che ruolo ha avuto il benzinaio di viale Conca d'oro nella sua storia? «Importantissimo. Il mio obiettivo è stato sempre lo stesso: arrivare con il rap a tutti. Lui era incuriosito dalla mia musica, ma non la capiva. E, alla fine, ci sono riuscito con "Spingo io", perché ha quella cantata a squarciagola, stiracchiata, sguaiata, un po' stonata da fischiettata romana».

Il libro è denso della sua Roma, quali sono i luoghi a cui è più legato? «Villa Paganini, che rappresenta l'infanzia, poi c'è Villa Ada, posto imprescindibile per più di una generazione. Lì ci godevamo la Villa Ada Posse di Brusco: radiolone con il reggae, cannette e partite a pallone. Al Giulio Cesare ho incontrato il rap e Danno.

Di piazza Rondanini ho un ricordo forte perché è lì che ho conosciuto Primo, così come lo Stellarium, è un luogo del cuore, lì Masito trovò per me il nome Piotta. Ma c'è anche la Roma est di mio fratello Fabio, quella del Forte Prenestino - fu tra i primi ad animare quel luogo magico che ospitò anche le prime jam - . E della sua Torpignattara dove, ora che non c'è più, torno per immergermi nei libri che ha lasciato».

Nei suoi testi ci sono sempre state citazioni di film, il cinema torna anche nel libro. Come andarono le cose con Matteo Garrone? «Ha girato molte scene di "Estate romana" sulla spiaggia di Capocotta dove "Supercafone" era perennemente presente. Garrone conosceva mio fratello, la sua chiamata mi arrivò al fisso di casa. La mia etichetta, però, si oppose e preferì dare il brano a un cinepanettone».

Anni dopo è arrivato su Netflix firmando la colonna sonora di "Suburra".  Com' è nata "7 vizi capitale"? «Quella canzone nasce per "Roma nuda", film che avrebbe segnato il ritorno di Tomas Milian, accanto a Califano, una bomba che non uscì mai. La ripresi in mano anni dopo, volevo un sound che fosse nuovo, ma che avesse in sé anche la Roma più vecchia, così ho chiamato gli amici del Muro del canto».

 Di Franco Califano parla anche in "Supercafone", l'ha mai incontrato? «A un certo punto, si scagliò contro di me per quella citazione. Poi, per riparare, mi invitò al suo compleanno e mi capì subito tanto che mi disse: "Va bene il rap, vanno bene le cose divertenti, ma tu devi tirare fuori Tommaso. Devi tirare fuori la tua parte più poetica».

Cosa ha condiviso con Jovanotti? «Lorenzo è sempre presente. I suoi dischi, i programmi in radio e in tv sono stati fondamentali per noi per conoscere il rap e i nomi della scena. Poi ci siamo ritrovati spesso negli anni; ho cantato con lui al Flaminio, così come al suo primo Jova Beach Party».

Tra i tanti ricordi di persone che non ci sono più emergono, forti, quello di Primo e di suo fratello «Era vivo quando ho scritto il libro, quindi parlo di lui come scrittore, come saggista, come fratello più grande. Non ho voluto declinare i verbi al passato, volevo che fosse un presente che non c'è più. David, purtroppo, è morto molto tempo prima: per fortuna restano le sue canzoni, così come restano i libri di Fabio».

Perché scrive di sentirsi simile a un personaggio di Zerocalcare? «Siamo come Ulisse che, dopo svariate peripezie, torna sempre al punto di partenza, arricchito dal viaggio che ha fatto. Pronto a ripartire subito, ma, avendo sempre chiaro che il viaggio è bello perché c'è il ritorno, a volte anche simbolico, a Roma».