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 2022  settembre 09 Venerdì calendario

Biografia di Jared Diamond (Jared Mason Diamond)

Jared Diamond (Jared Mason Diamond), nato a Boston (Massachusetts, Stati Uniti) il 10 settembre 1937 (85 anni). Geografo. Ornitologo. Antropologo. Biologo. Fisiologo. Vincitore, nel 1997, del premio Pulitzer per la saggistica col saggio Armi, acciaio e malattie. «Il più celebre geografo vivente è, in realtà, un medico mancato, un fisiologo riluttante, un ornitologo troppo pronto a distrarsi e, tutto sommato, non è neanche un geografo, nonostante la cattedra in Geografia all’Ucla di Los Angeles» (Maurizio Ricci) • «Mia madre è un’insegnante e una studiosa di linguistica, e mio padre un medico che ha studiato l’origine genetica delle malattie infantili. La mia idea, a scuola, era diventare medico, ma avevo anche una passione sfrenata, fin dall’età di sette anni, per l’osservazione naturalistica degli uccelli. Fu così che, nel penultimo anno di università, passai dalla Medicina alla Biologia. Nonostante ciò, per tutta la carriera scolastica la mia formazione fu soprattutto umanistica; e, anche dopo aver deciso di puntare ad un dottorato in Fisiologia, stavo per abbandonare tutto in favore della linguistica. Dopo aver ottenuto il dottorato nel 1961, ho concentrato i miei sforzi scientifici in due campi: la fisiologia molecolare da un lato, la biologia evolutiva e la biogeografia dall’altro». «Jared Diamond […] aveva iniziato studiando Medicina, sulle orme del padre. Scoperto di non avere la vocazione di Ippocrate, il giovane Jared si butta sulla Fisiologia, ed eccolo in Inghilterra, concentrato sulla cistifellea. Ma quando torna in America si rende conto – “con raccapriccio”, racconta – di essere destinato a occuparsi di vescicole biliari per tutta la vita. Parte per il Perù e, l’anno dopo, per il posto più remoto che gli viene in mente, la Nuova Guinea, terra degli uccelli del paradiso e di tanti meravigliosi pennuti, sua passione dall’età di sette anni. “Dopo un po’, però – spiega –, mi sono reso conto che gli uomini intorno erano anche più interessanti”» (Ricci). «Il mio lavoro sul campo mi ha portato a stretto contatto con molte società. Mi occupo soprattutto di biologia evolutiva degli uccelli, il che mi ha spinto a viaggiare in Sudamerica, Sudafrica, Indonesia, Australia e, specialmente, Nuova Guinea. In queste zone ho vissuto in mezzo a popolazioni tecnologicamente primitive, a cacciatori-raccoglitori, a pastori e pescatori nomadi, a uomini che fino a poco tempo fa dipendevano solo dall’uso di oggetti di pietra: ciò che molti occidentali colti considerano uno stile di vita bizzarro tipico di remoti tempi preistorici è per me un’esperienza quotidiana, una parte della mia vita. La Nuova Guinea, ad esempio, anche se non grandissima, ha in sé un’impressionante diversità di popoli e culture: 1.000 tra le circa 6.000 lingue oggi in uso nel mondo si parlano solo lì. Studiando gli uccelli della Nuova Guinea, la mia passione per la linguistica ha avuto di che alimentarsi, visto che ho dovuto imparare i nomi di alcune specie in un centinaio di queste lingue. Il mio […] saggio divulgativo sull’evoluzione umana intitolato Il terzo scimpanzé è nato dalla somma di queste mie esperienze. In un capitolo, intitolato Conquistatori per caso, cercavo di capire cosa fosse risultato dall’incontro tra europei e indiani americani. Fu solo dopo aver completato il libro che mi resi conto che molti altri “incontri” di popoli potevano essere studiati alla stessa maniera». «Nel 1972 un amico papuano, Yali, gli chiede: “Come mai voi bianchi date a noi tutto questo cargo (le novità portate in Nuova Guinea: asce d’acciaio, fiammiferi, medicine, vestiti, aerei, eccetera) e noi neri ne abbiamo così poco?”. Da allora Diamond ha studiato come rispondere a questa domanda. Ne rende conto nella sua opera maggiore, […] Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni (Einaudi), nel quale ricostruisce la storia dell’umanità dalla preistoria all’inizio della colonizzazione europea nel 1500. E in sintesi dice questo: per capire le diversità tra i popoli, non serve esaminare il periodo coloniale, perché allora era già evidente il livello superiore di sviluppo dell’Occidente; occorre invece andare indietro nel tempo, alle radici anche preistoriche dei diversi cammini dei popoli. Però non esiste una risposta semplice alla domanda dell’amico papuano Yali: il problema è complesso. Per Diamond le cause sono essenzialmente geografiche e climatiche, mentre vanno decisamente scartate le cause razziali, la superiorità genetica di una razza umana sulle altre. Nell’evoluzione storica, i popoli euro-asiatici sono stati privilegiati rispetto ad altri dalla presenza di “grandi spazi” che hanno favorito l’agricoltura e di animali di grossa taglia facilmente addomesticabili (i bovini e i cavalli, non presenti fuori dell’Eurasia)» (Piero Gheddo). «“I miei colleghi di università scoprirono che mi dedicavo anche ad altro solo quando si diffuse la notizia che per quel libro mi era stato assegnato il premio Pulitzer”, ride Diamond. “Purtroppo si opposero all’aumento del mio stipendio dicendo che sottraevo tempo al mio lavoro. Fortunatamente fui trasferito al dipartimento di Geografia”. Da fisiologo-linguista-ornitologo-antropologo-geografo, […] Diamond ha continuato ad analizzare la storia dell’umanità, chiedendosi cosa abbia portato al successo certe civiltà e al fallimento altre» (Luca Fraioli). «Nel suo saggio del 2005 Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere esaminava la parabola di Micenei e Vichinghi, Maya e abitanti dell’isola di Pasqua. E chiudeva con un auspicio: che si potesse imparare da quei fallimenti per evitare il nostro, di collasso» (Fraioli). Nel 2012, con Il mondo fino a ieri. Che cosa possiamo imparare dalle società tradizionali? «Jared Diamond intreccia antropologia, biologia evoluzionistica e autobiografia per raccontarci che cosa siamo stati prima di trasformarci in ambiziosi “weird”, acronimo anglosassone che sta per “occidentali, educati, industrializzati, ricchi e democratici”: portando alla luce le innumerevoli invenzioni del passato ancestrale e le tante sopravvivenze del presente globalizzato, il celebre antropologo-geografo della University of California spiega che cosa significa l’avventura della vita per “tipi strani” come i cacciatori della Guinea, gli inuit del Polo, gli indios dell’Amazzonia, i san del Kalahari e tanti altri popoli che frettolosamente (e con senso di colpa) bolliamo con l’etichetta di “primitivi”. […] Lei analizza la “paranoia co­struttiva” dei primitivi: sono attenti a segnali per noi insignificanti e stanno sempre sul chi vive, ben sapendo che la vita è un bene fragile. […] “Dovremmo avere un atteggiamento simile in modo da affrontare meglio i pericoli delle società contemporanee, a cominciare da quelli della guida, dello scivolare nella doccia e sulle scale o dell’ubriacarci. Trascorriamo troppo tempo a preoccuparci del terrorismo e degli incidenti aerei, che in realtà uccidono molti meno italiani e americani dei piccoli incidenti quotidiani. Quando spiego i rischi della doccia, mi sento rispondere: ‘Ma, Jared, le chance sono appena una su mille!’. Ma, visto che ho 75 anni e posso aspettarmi di vivere fino a 90, ciò significa che, se faccio una doccia al giorno, ne devo prevedere altre 5.475: quindi, nonostante le mie attenzioni, ma dando retta alla statistica, rischio di uccidermi cinque volte prima di raggiungere i 90 anni. Basta leggere le necrologie di qualunque giornale per rendersene conto”. […] “Le società tradizionali rappresentano […] decine di migliaia di esperimenti su come risolvere problemi umani universali, come allevare i bambini, affrontare la vecchiaia, mantenersi in salute, seguire la religione, costruire linguaggi e amministrare la giustizia. Molte società hanno affrontato queste realtà meglio di noi, e noi non siamo affatto costretti a continuare con tante delle nostre peggiori abitudini: possiamo imparare nuovi comportamenti a partire da ciò che è già stato fatto”» (Gabriele Beccaria). «In realtà, nel libro […] Jared Diamond offre una spiegazione ambientale della superiorità dell’Occidente sulle altre civiltà che elude l’argomento razzista ed etnografico, tipico dell’antropologia primonovecentesca. Ma la tesi esposta è sufficiente per attirare su Diamond gli strali dell’establishment accademico, di cui pure è una star indiscussa. […] Il libro di Diamond non cede ai facili romanticismi sul mondo non industrializzato, anzi introduce il concetto di “gerarchia”, tanto odiato dagli antropologi. L’antropologo sostiene che vi sono molti elementi che l’Occidente dovrebbe imitare dalle società meno avanzate, su tutti l’educazione dei figli. […] Altro che “vita secondo natura”: Diamond nel libro descrive la pratica dell’eutanasia degli anziani e dell’infanticidio come prassi comune fra le popolazioni non industrializzate» (Giulio Meotti). Nel 2019 fu la volta di Crisi. Come rinascono le nazioni, con cui Diamond «propone di esaminare […] le vicende dei popoli confrontandole con la vita degli individui. Il parallelo individuo-nazione, che sarebbe tanto piaciuto a G.B. Vico, si applica a sette casi di studio, a sette grandi crisi: la Finlandia in guerra con l’Urss, il Giappone ottocentesco dei Meiji, il Cile di Pinochet, l’Indonesia degli anni Sessanta, la Germania e l’Australia dopo la guerra, gli Stati Uniti oggi» (Giancarlo Bosetti). «Ho studiato le crisi nazionali tracciando un parallelo con le crisi personali studiate dagli psicologi comportamentali. Quello che secondo me è emerso negli ultimi anni, soprattutto nella società americana, è il fenomeno della polarizzazione: non c’è più dialogo tra chi la pensa in modo diverso. In passato i parlamentari democratici e repubblicani erano spesso amici, ora sembra inconcepibile. Io penso che abbia a che fare con gli smartphone e i social network: è molto più facile bestemmiare contro un telefonino che contro un essere umano in carne e ossa che ti guarda negli occhi» • «La storia dell’umanità è stata segnata da numerose epidemie, come lei ben descrive in Armi, acciaio e malattie. Che peculiarità ha il Covid rispetto alle pandemie del passato, remoto e prossimo? “Alcune delle più note epidemie del passato sono state selettive. Si accanivano, in particolare, su alcuni settori della popolazione, mentre altri risultavano sostanzialmente immuni. Ciò le ha rese armi di conquista o di difesa. Penso, ad esempio, ai virus portati dai conquistatori iberici nelle Americhe, che hanno contribuito significativamente allo sterminio dei nativi, favorendo la dominazione del continente. O, viceversa, alla malaria, che, in Africa, a lungo, ha fatto strage delle forze coloniali, risparmiando, invece, gli autoctoni. Ciò spiega perché gli europei siano riusciti a spartirsi il continente solo nel corso dell’Ottocento, dopo la scoperta del chinino. Il Covid, invece, è davvero globale”» (Lucia Capuzzi). «Da questa crisi, dalla pandemia, quale lezione non dovremmo sprecare? “La lezione più importante è che i problemi globali richiedono soluzioni globali. Nessuno al mondo sarà al sicuro dal Covid se ci sarà ancora un Paese in cui infuria. […] È una lezione generale: oltre al Covid, altri grandi problemi globali che richiedono soluzioni globali includono il cambiamento climatico, l’esaurimento delle risorse, la disuguaglianza e le armi nucleari”» (Jaime D’Alessandro) • Sposato con una psicologa, due figli gemelli (maschi) • Poliglotta: conosce una decina di lingue, tra cui l’italiano. «“Per lavoro leggo saggi. Ma per piacere leggo in italiano. Ho riletto La tregua di Primo Levi per la quarta volta. Se non ora, quando? per la quinta. E Se questo è un uomo per la sesta. Ora [nell’aprile 2020 – ndr] sto rileggendo Le due città di Mario Soldati”. Perché? “Perché amo la vostra lingua. E perché Levi e Soldati sono scrittori riflessivi. A ogni rilettura ne scopro aspetti nuovi, passaggi su cui interrogarmi”» (Paolo Giordano) • «Da sempre – o meglio dal famoso Armi, acciaio e malattie del 1997 (tradotto in italiano l’anno dopo) – il fascino dei libri di Jared Diamond consiste nel fatto di porre questioni di grande portata e di lungo periodo: questioni cruciali nella sostanza ma che alla maggior parte di noi sfuggono, non tanto per difetto di informazione, quanto per ristrettezza di prospettiva. La realtà umana è fatta di tante cose: ci sono le istituzioni, la tecnologia, la storia, le tradizioni; ma ci sono anche i dati geografici e climatici, ci sono gli equilibri (o squilibri) ecologici, c’è un’eredità genetica, c’è la nostra storia evolutiva. Quello che Diamond ci insegna è che per comprendere la realtà presente, e ancor più per prendere decisioni per il futuro, occorre mobilitare una pluralità di competenze, attingere a molti diversi rami del sapere, cercare di trovare situazioni comparabili – per quanto audaci – e confrontarle con spregiudicatezza» (Mario Barenghi). «L’approccio interdisciplinare, che spazia dalla geografia alla geologia, dalla biologia all’antropologia, rispecchia la personalità poliedrica di questo studioso atipico» (Raffaella De Santis) • «Lei sembra fautore di una sorta di determinismo ambientale, che privilegia l’influenza dell’ambiente rispetto a tutti gli altri fattori. Anzitutto, si ritrova nella definizione? “Sì, benché sia una definizione alla quale gli storici reagiscono (negativamente) in maniera automatica. Ma l’ambiente ha sicuramente un’influenza sugli affari umani, che in qualche caso è inevitabile: ad esempio, gli esquimesi non hanno mai sviluppato l’agricoltura non per motivi culturali, ma perché non glielo permetteva l’ambiente artico. […] L’ambiente è stato fondamentale per la nascita delle civiltà, ma per la loro sopravvivenza e il loro sviluppo intervengono sicuramente altri fattori: la capacità di gestire le risorse, i cambiamenti climatici, il ruolo delle popolazioni nemiche, la gestione delle relazioni commerciali. Ad esempio, le cause ambientali non sono state fondamentali per il crollo di Cartagine o dell’Unione Sovietica, benché lo siano state per la caduta dei Maya”. Il suo approccio fa presagire una “storia come scienza”, per usare una sua espressione: quanto è lontana la cosa? “La storia non è ancora una scienza, ma potrebbe diventarlo. Una scienza diversa dalla fisica o dalla chimica, però, e più simile all’ornitologia o alla paleontologia, nelle quali si possono fare ragionamenti ma non esperimenti”» (Piergiorgio Odifreddi) • «“Il mondo è un tutto, dove l’orologio continua a ticchettare. La cattiva notizia è che utilizziamo sempre più risorse. La buona notizia è che la consapevolezza dello spreco cresce. […] Non ci sono misteri sulle soluzioni: consumare meno e creare più eguaglianza”. […] Secondo lei, dobbiamo imparare dal passato: qual è la lezione da non dimenticare mai? “Proviene dagli ultimi 30 mila anni: noi umani, spesso, abbiamo minato le basi stesse dell’economia, sterminando specie e distruggendo habitat. Così molte società sono crollate, e, se è successo nel passato, quando eravamo meno numerosi e dotati di mezzi più primitivi, oggi distruggiamo tutto molto più velocemente. Ecco perché il destino del mondo si decide entro i prossimi decenni”. Entro il 2050? “Sì. O avremo realizzato un’economia sostenibile o avremo cancellato tutto in modo irreversibile. E nel secondo caso precipiteremo in un’altra età della pietra o, peggio, lasceremo il posto a topi e insetti”» (Beccaria). «Le sue critiche allo stato delle cose trovano obiezioni nei modernisti che ritengono che viviamo in ogni caso nel migliore dei mondi finora esistiti: i grandi dati globali ci parlano di riduzione della povertà, miglioramento della salute e delle aspettative di vita, crescita dell’alfabetizzazione e in generale dello sviluppo umano. Quindi avrebbe ragione chi come Steven Pinker vede l’Illuminismo sulla cresta dell’onda come mai prima. “Conosco bene, certo, le tesi di Steve Pinker, e ne sono anche amico. Ci vediamo ogni anno. Lui ha assolutamente ragione nel sostenere che molte cose nel mondo sono oggi migliori che in qualunque altro momento della storia: meno carestie, meno guerre, miglior controllo delle malattie. Mai così bene. E questa è una buona notizia. Ma se volgiamo lo sguardo al futuro la domanda non è se le cose siano migliori oggi o nel passato, ma è un’altra: come saranno tra trent’anni. Molte cose nel mondo stanno andando in un modo tale che, se continuassero così per i prossimi trent’anni, rovinerebbero la vita sulla terra: penso al rischio nucleare, al climate change, all’uso insostenibile delle risorse e all’ineguaglianza. A chi sostiene l’idea che il mondo di oggi è il migliore finora esistito rispondo paragonando questo mondo a una persona che abbia un conto in banca che sia continuamente cresciuto e che poi abbia smesso di guadagnare e continui a spendere come prima. Finirà senza soldi. E quando dice di avere più soldi in banca di quanti ne abbia mai avuti prima dice una cosa vera, sì, ma sta scivolando inesorabilmente verso lo svuotamento. Perciò farebbe bene a smettere di felicitarsi per quanto grande sia il suo conto e cominciare a preoccuparsi della bancarotta in arrivo tra 30 anni”» (Bosetti) • «Va riconsiderata la nostra idea di progresso? “Dobbiamo saperne valutare i vantaggi ma anche i rischi. Per esempio, io amo la Nuova Guinea, ci vado spesso, ma non mi trasferirei mai lì per vivere in una società di cacciatori-raccoglitori: preferisco avere un’aspettativa di vita di ottanta anni anziché di quarantacinque, sapere che i miei figli siano tutti vivi e non morti appena nati, amo Bach e Verdi. Ma in Nuova Guinea il senso dell’amicizia è diverso che da noi: ti parlano stando a meno di un metro di distanza e fissandoti negli occhi, senza guardare lo smartphone. Il nostro compito è scegliere i vantaggi del progresso senza sprofondare nei suoi rischi”» (Fraioli).