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 2022  settembre 12 Lunedì calendario

Biografia di Franzo Grande Stevens

Franzo Grande Stevens, nato ad Avola (Siracusa) il 13 settembre 1928 (94 anni). Avvocato, per oltre quattro decenni «l’avvocato dell’Avvocato». Già presidente della Toro Assicurazioni, della Ciga Hotel e della Fondazione San Paolo, oltre che vicepresidente della Fiat, è attualmente presidente onorario della Juventus. Lo studio legale da lui fondato, con sedi a Milano e Roma oltre che a Torino, offre assistenza legale, giudiziale e stragiudiziale, in tutti i settori del diritto civile, commerciale e societario» [Barillà, giùlemanidallajuve.it]
Titoli di testa «Gli uomini che hanno fondato le imprese le amano ben al di là del loro valore patrimoniale» [Sergio Luciano, Pan 13/6/2012].
Vita Nipote del colonnello Harold Stevens, speaker di Radio Londra • «All’età di 8 anni mia madre mi mandò in collegio dall’Abate di Montecassino. Desiderava avessi un’educazione seria e una vera formazione. Si cominciava il mattino in palestra: per un’ora si saliva e scendeva per la pertica. Poi a lezione per quattro ore» [a Francesca Bolino, Rep] • «Mio nonno, siciliano, che aveva perduto i genitori, studiava da solo. A un certo punto accettò un impiego in un pastificio e siccome era molto capace, presto diventò proprietario del negozio e in seguito uno dei maggiori imprenditori della città. Tutte le estati, dall’età di otto anni, veniva a prendermi a Montecassino e mi portava ad Avola. Aveva comprato lì la tenuta di Tangi dove coltivava le mandorle e allevava pecore. Vivevo tra olivi e mandorli, ritornando la sera alla tavola comune dove veniva servita, senza eccezioni, “minuzzagghia chi fave”, e dove imparavo le canzoni un po’ ardite dei giovani lavoratori. Altre volte stavo con i pecorari, assistendo all’alba alla mungitura, e mangiando calda “a ricuttedda”. Partivamo al pascolo per i monti, dove mi insegnavano a suonare lo zufolo, fabbricato con maestria, da una semplice canna di bambù. Anche il pasto di mezzogiorno non variava molto: al pane di grano duro (che si cuoceva una volta alla settimana), s’aggiungeva qualche oliva oppure mezza cipolla affettata, e si beveva un sorso di vino» [torino.corriere.it] • A Montecassino rimane fino all’inizio del conflitto mondiale. Durante la guerra la madre, cittadina inglese, viene messa in campo di prigionia a Chiaiano. Lui viene spedito da una zia sulla collina dei Camaldoli, e ogni volta che arrivavano i tedeschi scappava nei boschi: «Poi sono arrivati gli americani. E anche gli inglesi, e tra loro suo zio, il celebre colonnello Harold Stevens. Un personaggio molto popolare, la voce del Servizio Italiano di Radio Londra. Appena arrivato, all’epoca avevo sedici anni, mi portò a Sorrento per farmi conoscere Benedetto Croce, sfollato da Napoli a villa Tritone. Il colonnello si scusò con Croce del disturbo dato con i bombardamenti su Napoli e per averlo costretto a riparare a Sorrento. Lui rispose: Hic mihi praeter omnes angulus ridet, cioè aldilà di ogni cosa l’angolo che più mi sorride è questo, dove ho i libri e i documenti. Ho molti ricordi, anche amari. La mia famiglia ha avuto una vita molto difficile con i fascisti» [a nuovatlantide.org] • Maturità classica al Gian Battista Vico di Napoli • A 17 anni prende il posto del padre, morto nel 1945, nel pastificio di suo nonno: «Dovevo prendermi cura di mia madre, che era direttrice della scuola di assistenti sanitarie». Si iscrive a Legge • Dopo la tesi in Diritto commerciale con il professor Alessandro Graziani, muove i primi passi d’avvocato nello studio di Francesco Barra Caracciolo. Nel 1953, a Napoli, deve incontrare Paolo Greco, professore torinese e direttore della Rivista di diritto commerciale, ma a causa della morte di Dante Livio Bianco l’appuntamento salta e Grande Stevens decide di salire a Torino per incontrarlo • «L’idea, ovviamente, è quella di tornare a breve nella sua Napoli. Ma le cose vanno diversamente. Bianco, ex comandante partigiano e studioso di diritto processuale civile, fino a quel momento era stato il principale aiuto di Manlio Brosio, importante avvocato torinese che, poco prima della scomparsa del suo collega, aveva accettato la nomina di ambasciatore italiano a Mosca ed era partito per la Russia. Quando Grande Stevens arriva a Torino, lo studio Brosio è sostanzialmente sguarnito. Greco e altri esponenti dell’ex Partito d’Azione, come Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone, decidono di adottare professionalmente il giovane giurista arrivato in treno da Napoli e affidargli le cure dello studio del loro amico scomparso. «Praticamente mi sequestrarono facendomi alloggiare in una camera ammobiliata dalla cognata di Livio in via Cibrario» [legalcomunity] • Nel 1955 la sua prima causa di rilevo con Piero Calamandrei e Ferruccio Parri «In difesa di Parri. Accusato da Servello di aver tradito i suoi compagni partigiani per salvarsi la vita» [a Bruno Quaranta, Sta] • Lavorava da mattina a sera, ma non riusciva a mantenersi: «Giorgio Agosti, segretario generale della Sip (società idroelettrica piemontese) e amico di Livio Bianco, mi diede la consulenza legale dei dipendenti della società per guadagnare qualcosa in più • «Era come se avessi già le carte in regola per accedere a quella Torino del dopoguerra: ero cresciuto in un ambiente profondamente antifascista, mia madre, i miei professori e mio zio, il colonnello Harold Stevens che parlava a Radio Londra. Tutto questo mi ha formato e mi sono trovato perfettamente a mio agio con l’ambiente partigiano di Torino» [Bolino, Rep.] • «Immagino dovette imparare anche il dialetto? Allora era abituale nelle conversazioni. “Un giorno a colloquio con un dipendente Sip gli stavo spiegando che gli avevano fatto un contratto decisamente a suo sfavore. Ma non era poi una cosa così tragica, poiché i giudici sarebbero stati dalla sua parte. Ci fu un momento di silenzio e poi lui mi disse: ‘quand a fioca dan la feuja, l’inver a l’a nen veuja’” (quando in autunno nevica, l’inverno è mite). Non ho più dimenticato questa frase. Ne posso raccontare ancora uno? […] Un giorno, terminata la mia consulenza, uscii con un dipendente della Sip. Stavamo camminando in via San Dalmazzo. Una strada molto stretta. C’era una fila di macchine parcheggiate, e quelle in transito facevano davvero fatica a muoversi. Noi ci mettemmo con le spalle al muro. Più di così non potevamo fare. Così la persona che era con me sbottò con una frase che mi fece davvero ridere ‘chiel cosa c’a veul? C’am pitura?” (vuole che diventiamo un quadro?) [ibid.] • «Chi sono stati i suoi maestri torinesi? “Bobbio e Galante Garrone che mi prendeva in giro perché andavo a perfezionare il mio inglese da sua moglie che era la figlia di Domenico Riccardo Peretti Griva, un grande magistrato di Torino e presidente della Corte D’Appello”» [ibid.] • Cassazionista appena ventottenne: «Quando andavo in Cassazione mi guardavano con sospetto fino a chiedermi di allontanarmi perché non ero autorizzato e mi chiedevano di mostrare la tessera. Dopo poco mi conoscevano tutti, quel ragazzo troppo giovane per essere già cassazionista, e mi trattavano con riguardo» [trino.corriere.it] • C’è una causa a cui è particolarmente affezionato? «La causa Meroni, il campione del Torino. Ottenni che venisse sancito il diritto di credito, ossia che l’assicurazione risarcisse la società. Una rivincita. Non era andata in questo modo allorché a Superga perì il Grande Torino» [a Bruno Quaranta, Sta] • Poco dopo l’incontro con Giovanni Agnelli: «Mi contattò dovendo vendere un’azienda di macchine utensili agli americani. Lusingandomi. Suo nonno, abbisognando di un avvocato civilista, si rivolse a chi veniva considerato il migliore, Vincenzo Janfolla, un napoletano. Di me gli avevano parlato bene, e dunque...» [Quaranta, cit.] • «Lo affascinava la storia di Torino. Dal mio studio si intravede, in piazza Savoia, l’obelisco eretto per celebrare le leggi Siccardi, che abolirono, fra l’altro, il foro ecclesiastico. Lo divertiva il racconto del vis-à-vis fra Siccardi e Vittorio Emanuele II, esitante a firmare la rivoluzionaria normativa. Salvo, una volta decisosi, puntualizzare in dialetto al ministro: “Io firmo, ma sia chiaro che all’inferno va lei!”» [ibid] • Diventa consigliere dell’Ifi: «Segue l’acquisizione di Toro assicurazioni, l’ingresso nel capitale Fiat della Lafico e il primo tentativo di alleanza con General Motors. Ma il merito più rilevante, probabilmente, è “quello di aver costruito un sistema giuridico che assicurasse alla famiglia dell’Avvocato il controllo delle attività economiche e imprenditoriali del loro Gruppo”» [legalcomunity] • «E tra i dirigenti dell’Avvocato chi ricorda con maggiore affetto? “Ah certamente Gianluigi Gabetti che l’avvocato conobbe a New York poiché era nel consiglio di amministrazione del Moma. Gli chiese di diventare il direttore generale dell’Ifi a Torino. Rimase di sasso. E poi accettò. Era il 1958. Con lui ho lavorato fianco a fianco per tutta la vita. Ci stimavamo moltissimo. Sembravamo due gemelli”» [Bolino, cit.] • Nel 1976 Fulvio Croce gli affida la difesa di Renato Curcio nel primo processo alle Brigate Rosse: «Quando in Tribunale i brigatisti rifiutarono la difesa, presi la parola e dissi che secondo me avevano diritto di difendersi personalmente. Nessuno mai aveva detto una cosa simile. Fui il primo. Ma la Corte aveva bisogno di controllare che loro si comportassero secondo legge o meno. Portai come esempio un caso accaduto in Canada […]. Anche lì, gli arrestati che erano dei rivoluzionari non volevano difensori d’ufficio. E la Corte accettò, ma nominò un avvocato amicus curiae in modo da poterli controllare. In fondo l’avvocato corregge gli errori della Corte. Quando raccontai del caso in Canada, una brigatista venne ad abbracciarmi e mi disse “Lei sì che è un avvocato”. E Fulvio Croce con il suo sorriso mi disse “Hai fatto un’altra conquista, Franz”. La questione finì in Cassazione che mi dette ragione». Poi Fulvio Croce viene ucciso: «Ero qui in studio. Ebbi la notizia e mi raccontarono che qualcuno lo chiamò “Avvocato”. Lui si voltò e gli spararono» [ibid]. Sulla vicenda scriverà Vita d’un avvocato, pubblicato con la Cedam nel 2000, ad oltre vent’anni dall’omicidio di Croce [a Bruno Quaranta, Sta]. • «Poi arrivano i primi contatti con i grandi imprenditori come i Ferrero: “Ero un giovane avvocato e venne da me la mamma di Michele chiedendomi due cose. La prima, di stare un po’ dietro a Michele: lei era preoccupata perché il figlio, nelle rare pause dal lavoro, andava in giro a velocità non del tutto moderata con la sua Ferrari. La seconda richiesta era di assisterli nell’acquisto di una vecchia filanda che un’organizzazione religiosa di Alba aveva messo all’asta. Loro volevano comprarla per farci un nuovo stabilimento, ma temevano che presentarsi con il nome Ferrero avrebbe fatto immediatamente schizzare il prezzo. Così io gli organizzai l’offerta anonima ‘per persona da nominare’ e l’affare si concluse bene"» [a Giorgio Meletti, Fatto] • Poco tempo dopo Michele Ferrero lo chiamò di nuovo: «Era preoccupato di non poter usare il nome Mon Chéri per un cioccolatino che s’era inventato. Il problema era che esisteva un bar, a Cuneo, che aveva quel nome. Sa come la risolvemmo? Comprammo il bar» [legalcomunity]. Il brevetto della macchina per iniettare l’alcol nello scrigno di cioccolata, sempre su suggerimento di Grande Stevens, venne poi registrato in Egitto: «Per un concorrente sarebbe stato difficile immaginare che proprio ai piedi delle piramidi c’era il segreto di Ferrero, e comunque il ponderoso documento era ovviamente scritto in arabo, dopo una lunga e laboriosa opera di traduzione, e insomma, a quei tempi era abbastanza improbabile che qualcuno andasse fino al Cairo a trovare e leggere in arabo la tecnica di produzione dei Mon Chéri» [Meletti, Fatto] • Poi «un giorno Michele Ferrero venne da me con una scatoletta che faceva “tic tac”. Mi disse che voleva fare delle mentine. Aveva trovato in Giappone questa scatoletta. Inventò così le famose caramelle. Solo che voleva venderle negli Usa, ma fu un’operazione complicata per via dei dazi doganali. Così gli dissi di andarle a produrle a Portorico, uno stato che godeva di un libero scambio con l’America e dove tutto costava meno. Aprì lì un’azienda». Aiuta anche la Lavazza «a salvare il marchio del decaffeinato Dec (iniziale di un nome comune). Per difenderlo proposi di scrivere Dek con la K. In questo modo nessuno avrebbe potuto dire nulla» [Bolino, ibid.] • È stato definito un “navigato professionista delle emergenze che interpreta lo spirito del compromesso sotto la Mole”. Tra i suoi clienti ci sono stati anche Carlo De Benedetti, Luigi Giribaldi, Karim Aga Khan (il principe ismailita inventore della Costa Smeralda), i Pininfarina, il Vaticano e lo Ior [Luca Curino] • Il suo capolavoro risale al 1987, quando per primo in Europa applicò al gruppo Agnelli uno strumento giuridico rivoluzionario, poi adottato da quasi tutti i grandi gruppi economici a controllo familiare: la società in accomandita per azioni, una cassaforte a prova di scalata e di dissidi intestini [Sergio Luciano, Panoma] • A fianco della famiglia Agnelli, e con Gianluigi Gabetti, ha anche gestito la discussa operazione dell’equity swap, che permise alla dinastia di conservare il controllo della Fiat dopo la conversione del maxiprestito bancario che la salvò nel 2005. Insomma, Grande Stevens sta all’impresa familiare come il Papa a San Pietro: «Gli uomini che hanno fondato le imprese sono catalizzati dall’esigenza di assicurare per le loro creature il futuro migliore» [Luciano, cit.] • Nel 2003 diventa presidente della Juve: «Quando morì l’avvocato Vittorio Chiusano, mi chiesero di prendere il suo posto ai vertici della società. Ero riluttante, ma Umberto Agnelli seppe convincermi: Vittorio sarebbe contento” disse, e io accettai» Barilla, [cit.]. «Oggi Fca è un gruppo internazionale. Più americano che torinese, dopo la fusione con Chrysler. Merito o colpa dell’ad, Sergio Marchionne? “Assolutamente merito”, risponde Grande Stevens. “Umberto Agnelli, sul letto di morte lo disse chiaramente a me e Gabetti: ‘È lui quello giusto’. Aveva ragione”» • «Gabetti ed io avremmo potuto considerarlo per la nostra età un figlio (il mio primo ha soltanto quattro anni di meno) e invece divenne un nostro fratello, che ci consultava e ci insegnava che cosa vuol dire occuparsi del successo di una grande azienda. Il dolore per la sua malattia è indicibile. Quando dalla tv di Londra appresi il giovedì sera che egli era stato ricoverato a Zurigo, pensai purtroppo che fosse in pericolo di vita. Perché conoscevo la sua incapacità di sottrarsi al fumo continuo delle sigarette. Tuttavia, quando seppi che era soltanto un “intervento alla spalla”, sperai. Invece, come temevo, da Zurigo ebbi la conferma che i suoi polmoni erano stati aggrediti e capii che era vicino alla fine. Alla società, ad Elkann, che è esponente e leader della proprietà, la mia commossa partecipazione. Marchionne ha lasciato una società che ha raggiunto l’incredibile risultato dell’azzeramento del debito e l’avvio di una vita di successi. Mi auguro che sulla strada che egli ha tracciato, sul suo esempio, la Fca prosegua con gli stessi risultati. Soltanto così il grande dolore di tutti noi potrà alleviarsi» [sul Corriere] • Nel 2009 con Gianluigi Gabetti e Virgilio Marrone è accusato di aggiotaggio informativo nel processo per l’equity swap di Ifi-IFIL ed Exor che nel 2005 ha consentito agli eredi Agnelli di mantenere il controllo della Fiat. Assolto in primo appello, il 21 febbraio 2013 viene condannato a un anno e quattro mesi. Condanna poi caduta in prescrizione • Assolto, con Gianluigi Gabetti e Siegfried Maron, nella causa civile sull’eredità intentata da Margherita Agnelli • Indagato dalla Procura di Torino (false comunicazioni al mercato o aggiotaggio informativo) anche per la cessione del 27% della società Campi di Vinovo al costruttore Girardi • «Oggi lo studio di Grande Stevens rimane uno dei punti di riferimento per l’impresa italiana. Sull’uomo che tuttora lo guida, si può forse solo ricordare una frase di Piero Calamandrei che lo stesso Grande Stevens ama ripetere: “Gli avvocati bisogna che lavorino disperatamente per aprire la strada agli altri, arrivando alla morte senza aver potuto fare quello che li riguarda personalmente e che per tutta la vita hanno dovuto rimandare a domani”» [Lettera43].
Amori Sposato dal 1954 con Giuliana Greco, figlia di Paolo: «E da laico vi siete sposati con un matrimonio civile? “Certamente. L’unico che si prestò a celebrare un matrimonio civile fu l’assessore repubblicano Emilio Bachi”. Tre figli: «Solo una, Cristina, 57 anni, lavora con me. Poi c’è Riccardo, 64 anni che è a Montecarlo e fa il finanziere. E Sofia, 53 anni, si occupa di bambini con problemi: infermità psichica. Riccardo non è sposato e non ha figli. Cristina ha tre figlie e anche Sofia. Dunque ne ho 6. La più grande è Cecilia: un genio della filosofia. Ha una biblioteca che arricchisco con i miei libri che non sono di argomento giuridico”». Poi ci sono Filippo che si occupa di revisione dei bilanci delle società, Giulia che lavora con la madre Cristina per imparare il mestiere. E ancora Lucia che fa l’elicotterista e la guida alpina, Maria che fa la maestra di tennis e Sebastiano che studia fisica. Gli ultimi tre sono figli di Sofia [Bolino, cit.].
Titoli di coda «Ai miei nipoti ricordo che non vivono solo in Italia ma anche in Europa e nel mondo».