28 settembre 2022
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Biografia di Lisette Oropesa
Lisette Oropesa, nata a New Orleans (Louisiana, Stati Uniti) il 29 settembre 1983 (39 anni). Soprano. «Sono figlia di migranti. Nata in Louisiana, cresciuta al Met. Quando raggiungi un traguardo, pensi: il sogno americano esiste» (a Simona Antonucci) • Figlia di immigrati cubani, con ascendenze spagnole. «I suoi genitori le parlavano di Cuba? “Mi dicevano che ha alcune tra le più belle spiagge del mondo. La gente è gentile e generosa. Fu triste per la mia famiglia lasciare la loro isola nel 1968, ma sono così riconoscente che l’abbiano fatto. Ho avuto tante maggiori opportunità nella vita, grazie a quella decisione. Sapevano che la cosa migliore per il futuro era di fuggire dal regime di Fidel Castro. La storia della mia famiglia è difficile, non sono mai ritornati a Cuba. Una possibilità del genere è ancora più remota per i cubani che si sono trasferiti negli Stati Uniti”» (Valerio Cappelli). «Che infanzia ha avuto, a Baton Rouge? “Bella, anche se eravamo immigrati, un po’ poveri. Non potevamo permetterci giocattoli costosi come la Playstation, e probabilmente è stato un bene: ho dovuto sviluppare la creatività, sia suonando sia disegnando. Per la verità, la mia vera aspirazione era diventare artista di cartoon”» (Maria Laura Giovagnini). «Mio padre e mia madre erano rigidi e non mi lasciavano molto libera. Io sono sempre stata una ragazza romantica: leggevo molto, avevo il mio mondo di fantasia». «È nata e cresciuta in Louisiana. Come mai ha scelto di diventare cantante lirica nella terra del jazz e del blues? “Mia madre era cantante, cantava sempre in casa, e mio nonno era un grande appassionato di lirica: a Cuba ascoltava molto la zarzuela, ma quando si è trasferito negli Stati Uniti, poiché si ascoltava maggiormente l’opera, ha cominciato a costituire una grande collezione di dischi e cd delle trasmissioni del Met, delle matinée del sabato, che registrava sempre. Aveva un’enorme collezione di tutti i cantanti, da quando si era trasferito negli Stati Uniti, dal ’68 in poi”. E quali erano i cantanti che apprezzavate maggiormente? “Mio nonno era un tenore, aveva una voce naturale anche se non aveva mai studiato il canto, era autodidatta con una voce molto bella; al contrario di mia madre, che invece aveva studiato canto lirico. Mio nonno adorava Kraus, Jussi Björling e Domingo, mentre mia madre, che era soprano, amava Anna Moffo, la sua preferita, e ancora la Caballé e la Scotto, che le piaceva molto. La mia preferita, invece, è sempre stata Maria Callas”» (Giuseppe Montemagno). «Mamma suonava (e insegnava) pianoforte. Era sicura che dovessi puntare sulla voce, e io – cabezona, testarda – avevo deciso di studiare il flauto. Non che fossi ribelle: volevo trovare da sola la strada. E come flautista mi sono iscritta alla Louisiana State University School of Music». «A volte, al liceo, col mio flauto mi sono unita alle jazz band per brevi periodi; ma non avevo lo stile e l’abilità che avevano gli amici che suonavano il sassofono o la tromba. Più spesso cantavo. C’è un pezzo di Lonnie Donegan che si intitola I’ve Got Rocks in My Bed. Il direttore della band mi disse: “Hai una bella voce, dovresti cantare di più”». «Il mio amore era il flauto. Sognavo di suonare in orchestra. Poi al conservatorio, proprio su insistenza della mamma, feci un’audizione anche come soprano. Lì cambiarono le mie prospettive e le mie aspettative» (a Giuseppe Videtti). «Ho studiato voce e musica all’Università della Louisiana, poi ho partecipato a un concorso al Met di New York, e la carriera si è avviata» (a Leonetta Bentivoglio). «Se la sua vita fosse un libro, il secondo capitolo? “Il trasferimento a New York a 22 anni, dopo aver vinto una borsa di studio per il Met, la Metropolitan Opera House. Non avevo mai visto una grande città, né la neve! Lì sono diventata adulta e ho seguito il training professionale completo: venivano come coach personaggi leggendari (dalla Scotto a Mirella Freni a Kiri Te Kanawa); vedevamo ogni produzione, era parte del piano di studio. Ho ricevuto anche un prezioso consiglio personale. Affettuoso, eh, non una minaccia”. Quale? “Dimagrire. Ero troppo gordita, grassoccia: la voce era leggera e doveva esserlo pure il corpo, per armonizzare. In famiglia mangiavamo in eccesso – quasi fosse una compensazione – e non praticavamo sport. Ci ho messo cinque anni, a perdere una quarantina di chili: sono andata lenta per non rovinare le corde vocali. Ho iniziato a frequentare la palestra, a prendermi cura del cibo: adesso sono vegana, ho capito che i latticini mi danneggiano la gola. Ormai mantengo lo stesso peso da oltre un decennio perché sono disciplinata: non diventa mai facile, se non sei magra di costituzione. Ogni giorno devi scegliere e stare attenta”» (Giovagnini). «Ho riscoperto il corpo. È stato come essermi scrollata di dosso un’altra persona. Correndo medito e prendo energia. La corsa mi aiuta a tenere a lungo i fiati e a sentirmi fortissima in palcoscenico». «“Puoi correre ovunque tu sia, nei parchi delle città in cui devi cantare, e non costa nulla. […] Partecipo alle maratone, anche se da qualche tempo i miei impegni professionali sono aumentati e faccio solo mezze maratone. Una volta ho cantato a Pittsburgh La figlia del reggimento e la mattina dopo ho corso una maratona”. Prima si era mai sentita umiliata? “Ero timida, non praticavo sport e mi vergognavo di me stessa. A un’audizione per Don Giovanni mi hanno scartata dicendomi che volevano un cast giovane e sexy. Ci tengo, a dire che non è una discriminazione di genere: se uno deve cantare Don Giovanni non può somigliare a Falstaff. Io dico che ci sono cantanti che non riescono a dimagrire e hanno diritto a cantare. […] Non do giudizi, ma i tempi sono cambiati, e bisogna prenderne atto”» (Cappelli). «Non importa se lo trovo giusto. Il mondo non è giusto, la vita non è giusta, sorry. Se lo fosse, in ogni opera ci sarebbero tre ruoli per soprano, uno per baritono e uno per tenore. Così non è, ma io volevo cantare comunque» (a Michele Razzetti). «“Si è dimostrata una Susanna vocalmente e fisicamente agile, con un timbro attraente, setoso e flessibile. I suoi fini istinti comici e il suono allegramente brillante l’hanno messa al comando del palcoscenico. Ma ha anche trasmesso profondità emotiva, in particolare nel suo commovente e cupo resoconto di Deh vieni, non tardar nell’atto finale”. Scriveva così il critico musicale Allan Kozinn sul New York Times all’indomani del debutto di Lisette Oropesa ne Le nozze di Figaro di Mozart al Met di New York. Era il 2007, e da allora il nome del soprano americano è stato sulle locandine dei più importanti teatri, diretta da grandi maestri come Riccardo Muti, Yannick Nézet- Séguin, Antonio Pappano, Daniele Gatti» (Laura Cavallaro). «Lei è stata lanciata dal Metropolitan, però è strano, perché quel teatro non propone molti ruoli per un soprano di agilità. “Il belcanto in effetti si fa solo in funzione di una star, di cantanti specifici: Flórez, Dessay, la stessa Netrebko. A un certo punto ho dovuto decidere: o restare al Met a vita con ruoli da comprimaria o giocarmi la partita in teatri americani regionali, per poi tentare l’avventura in Europa. È quello che ho fatto”» (Cappelli). «Lisette Oropesa fa parte di quella generazione di artisti cresciuta con registi che hanno letteralmente rivoluzionato l’opera: ai cantanti si richiedono ormai capacità attoriali e complicati movimenti scenici. “Sono sempre stata consapevole del doppio ruolo che andavo ad affrontare”, conferma. “Ho esordito nel momento in cui Peter Gelb prendeva il posto di Joseph Volpe alla guida del Met. Gelb ha rivoluzionato il sistema opera: registi audaci, allestimenti ambiziosi, progetti cinematografici e televisivi. […] Ho scoperto e imparato. Non solo a cantare, ma anche a recitare, a usare il corpo e l’espressione del viso. Con la mia maestra Renata Scotto ho lavorato parecchio sui primi ruoli verdiani: Gilda nel Rigoletto, Nannetta nel Falstaff e Violetta nella Traviata. Mi ha insegnato a concentrarmi sulle emozioni, sull’intenzione e sul ritmo, le caratteristiche tipiche del belcanto”» (Videtti). «Ha cantato in oltre cento recite al Metropolitan di New York, il teatro che più l’ha formata, affrontando ruoli come Susanna nelle Nozze di Figaro e Gilda in Rigoletto. È stata Traviata a Philadelphia e ha trionfato […] a Londra come Lucia di Lammermoor. Si esibisce in Europa e negli Usa con maestri quali Muti, Gatti, Barenboim e Levine. È adorata dai melomani e incensata dal New York Times» (Bentivoglio). «La prova più difficile sul palco? “I masnadieri alla Scala, lo stress più grande della mia carriera: un’opera non popolare, difficile”» (Giovagnini). «Oropesa ha un rapporto particolare con la Violetta della Traviata: […] a febbraio 2020 al Met di New York ha letteralmente travolto il pubblico. Il New York Times ha scritto: “La sua performance vale da sola il prezzo del biglietto”. “È stata l’ultima cosa che ho fatto prima del lockdown, in scena con il baritono Luca Salsi e il tenore Piero Pretti, i miei amici italiani”, ricorda. “Dovevano essere sei recite. Ne abbiamo fatte solo quattro, poi siamo partiti immediatamente: non volevamo trascorrere il lockdown lontani da casa. Cinque, sei mesi di blackout. Poi La traviata a Madrid: il teatro ha rispettato il distanziamento sociale e siamo andati in scena. È stato un sogno: adoro Violetta”» (Videtti). Pochi mesi dopo, «per la pandemia ha dovuto rinunciare al suo primo 7 dicembre alla Scala: sarebbe stata la seconda americana… “C’è gente che dice che Maria Callas non lo era… Era esattamente come me: lei figlia di greci e io di cubani. Siamo figlie di immigrati, nate negli Stati Uniti. Dunque, sì, dopo la sua Norma sarei stata la seconda cantante statunitense che avrebbe inaugurato la Scala”» (Cappelli). «Ho saputo che Lucia di Lammermoor non si faceva più mentre correvo al parco. Mi è mancato il fiato, ho dovuto fermarmi» (a Giuseppina Manin). «Quando sono stata alla Scala per I masnadieri, nel 2019, mi sono fatta una foto accanto alla statua di Gaetano Donizetti. Diventare la sua Lucia di Lammermoor in quel teatro sarebbe un sogno. […] Tutta l’opera è un capolavoro, dall’inizio alla fine. Non c’è solo la famosa scena della pazzia. Spesso nel belcanto le storie non sono interessanti: qui, invece, vicenda e musica vanno assieme. A-do-ro! Potrei morire felice su quel palco». Il 7 dicembre 2020, comunque, «Oropesa è stata una delle star della serata-evento A riveder le stelle che ha aperto la stagione scaligera, dove ha cantato Regnava nel silenzio dalla Lucia di Lammermoor. Pochi minuti in scena in una sorta di varietà della lirica: magra consolazione per lei che, in assenza di Covid, sarebbe stata la protagonista della versione integrale dell’opera di Donizetti. […] “Lo spettacolo di Livermore era un po’ strano”, riflette. “All’inizio non ero neanche stata informata che la mia esibizione sarebbe stata ambientata su una spiaggia. Certo, la cancellazione della Lucia è stata dolorosa, ma cantare alla Scala è comunque un privilegio”» (Videtti). «Come ha vissuto l’esperienza del film-opera La traviata, diretto dalla coppia Martone e Gatti e trasmesso su Rai 3, chi come lei è abituata al contatto con il pubblico? “Posso dire che non ero preparata a quel tipo di difficoltà perché cantare un ruolo dall’inizio alla fine come facciamo in teatro è una cosa, ma quando devi ripetere le stesse scene più volte, lavorando anche dieci ore al giorno, allora capisci veramente quanto è complesso fare cinema. Da Mario (Martone) mi sono sentita molto sostenuta, tanto da provare cose nuove che non potrei mai fare in palcoscenico. È stata una bella esperienza, anche se faticosa”» (Cavallaro). A inizio 2022 ha esordito, acclamatissima, nel suo primo ruolo belliniano, la Giulietta di I Capuleti e i Montecchi, al Teatro alla Scala di Milano • «Durante il lockdown, quando la vita e la carriera di tanti giovani musicisti si era fermata, mi è venuta un’idea. Forse per cercare di vincere l’ansia o provare ad andare avanti, su Facebook e Instagram ero bombardata di domande: come si canta questo, come affrontare una nuova opera… Così ho pensato di usare internet come palcoscenico e dare vita a delle masterclass sulla tecnica vocale e l’interpretazione aperte a tutti. Subito sono arrivate centinaia di adesioni, poi migliaia, e adesso ho una community di 7.000 allievi da tutto il mondo, ciascuno con la sua storia, la sua voce. Alcune molto belle, da scoprire e coltivare. Ho cercato di insegnare i segreti del mestiere, di prepararli alle audizioni e ai concorsi. […] E qualcuno ha già trovato la sua occasione professionale. Un’esperienza bellissima anche per me, felice di poter dare una mano a nuovi talenti. Continuerò» • Dopo un matrimonio infelice contratto da giovanissima («una scelta frettolosa e prematura»), dal 2012 è sposata in seconde nozze con un suo ex fidanzatino dei tempi delle superiori, l’informatico Steven Harris. «Ci eravamo conosciuti alle superiori. Dopo un paio di mesi i suoi si erano trasferiti: ci siamo scritti per un lungo periodo, poi silenzio. Io per tanti anni avevo guardato le sue lettere e, allo scadere dei 10, ho deciso: le brucio! Una cerimonia d’addio: Steven mi mancava e sapevo che era inutile sperare ancora. Poco dopo mi ha trovata lui su Facebook: mi ero iscritta da appena tre giorni… “Ciao Lisette, ti ricordi di me?”. Se mi ricordo!? Non ci siamo più lasciati un attimo e facciamo tutto assieme» (ad Alessandro Bugno). «Giro nei teatri internazionali con mio marito, che è un “web developer” e mi sostiene molto nel lavoro, e sono felice così. Non progettiamo bambini. Non fa parte del mio destino» • «Credo decisamente nel divino e credo nel destino e in un potere superiore. […] Non sono superstiziosa, ma credo fermamente nei fantasmi» (a Paolo Tancredi) • Nel 2019 ha ottenuto la cittadinanza spagnola. «È stato interpretato come un gesto antiamericano: non è così. Sono cittadina americana e spagnola. L’ho fatto per evitare lo stress dei visti di lavoro» • Nel 2020 ha votato per Biden • «Si parla molto delle molestie che subiscono le donne, e che infesterebbero anche il mondo della classica. Lei conferma? “La cosa riguarda pure gli uomini, non solo le donne. Io non ne sono mai stata vittima. Forse perché mio marito mi sta sempre accanto? Molte cantanti riferiscono episodi pesantissimi, ma senza fare i nomi di chi le avrebbe molestate. Posso dirle che il teatro predispone a certe situazioni, dato che provoca intimità: in scena capita di essere baciata o toccata da sconosciuti”» (Bentivoglio) • «Quanto è importante il denaro per lei? “Estremamente: venendo da una famiglia che in passato ha vissuto con gli aiuti sociali, apprezzo l’importanza del denaro guadagnato duramente”. In cosa è più spendacciona? “Cosmetici e abbigliamento. Amo poi ‘viziare’ la mia famiglia con viaggi e vacanze”» (Tancredi) • «Qual è la colonna sonora della sua vita di tutti i giorni? “Un mix di canzoni della Disney e di musica latina con un tocco di Puccini”. […] Il film più amato? “Cime tempestose del 1992, con Ralph Fiennes e Juliette Binoche. Le riprese in esterna sono alcune fra le più belle che abbia mai visto, e, avendolo visto in giovane età, ne sono rimasta impressionata e ha lasciato un’impronta indelebile sulla mia psiche”» (Tancredi) • «Corre ogni giorno? “Almeno tre volte alla settimana, e per prepararmi faccio stretching e yoga”. […] Ascolta musica quando corre? “No, niente cuffie. Sento musica in teatro per ore e ore, ogni giorno, fra le prove e le rappresentazioni. Perciò correndo preferisco riposare le mie orecchie ascoltando solo il mio respiro. Mi immetto in uno stato di meditazione dinamica”» (Bentivoglio). «Rivede mai le sue vecchie foto? “No, non ci riesco. Mi sembra un’estranea”» (Cappelli) • «Incantevole, sexy e spiritosa» (Manin) • «Lisette Oropesa è una delle stelle più luccicanti dell’olimpo della lirica, amata dal pubblico e dalla critica per la vocalità straordinaria e per le doti di grande attrice» (Francesco Lodola). «Soprano lucente, dal fisico magnetico, ha la voce di un usignolo con tenuta e spessore, arricchita da una gamma di colorature esatte» (Bentivoglio). «Artista completa e sensibile: […] una voce che brilla per legato e intensità, tutta “avanti” e con uno squillo e una punta che le permettono di farsi udire in teatri grandi e di superare con successo l’ascolto in registrazione. […] In più […] possiede la lingua del belcanto, specie nei grandi legati, innervati da micro-variazioni dinamiche pur in una apparente fermezza e costanza della linea» (Nicola Cattò) • «Nessun divismo: ho avuto un dono e devo applicarmi per migliorarlo» • «Si sente più vicina a Lucia, a Violetta o a Gilda? “Forse un po’ più a Gilda, perché mio padre, che è morto, […] soffriva di distrofia muscolare. Camminava come se fosse un gobbo, non poteva correre, saltare: giocava con noi a carte, con giochi da tavolo o a scacchi – mi ha insegnato a giocare a scacchi –, ma non poteva fare sport a causa della sua disabilità. Ma era anche molto protettivo con noi tre, le mie due sorelle e io, era un ‘gran padre’: non potevamo uscire fuori di casa, non potevamo avere dei ragazzi. Era così, come Rigoletto. E come lui era molto triste, perché aveva lasciato la sua terra, Cuba, era emigrato negli Stati Uniti e sapeva che non sarebbe mai potuto tornare in patria: ha avuto una vita molto difficile, e quando è morto sapevamo che aveva smesso di soffrire”» (Montemagno). «Se le fosse concesso di scegliere un ruolo, quale sarebbe? “Elvira ne I puritani!”» (Tancredi) • «Che lavoro avrebbe fatto, se non fosse diventata una cantante lirica? “Probabilmente, sarei diventata una professoressa di inglese”» (Tancredi) • «C’è un sogno nel cassetto che vorrebbe realizzare? “Mi sento la più ricca di tutti, benedetta e molto, molto fortunata. Cos’altro potrei chiedere?”» (Cavallaro).