il Fatto Quotidiano, 11 ottobre 2022
‘La vedova’ ripudiata da Saramago
Il 16 novembre si celebrerà il centenario della nascita di José Saramago, Nobel per la Letteratura nel 1998. Nel suo Portogallo saranno piantati cento ulivi e ciascuno sarà battezzato con il nome di un personaggio dei suoi romanzi. Da noi Feltrinelli riporta da oggi in libreria alcuni suoi capolavori come Cecità, Le intermittenze della morte, Il vangelo secondo Gesù Cristo. Un bottino al quale si aggiunge La vedova, un romanzo sin qui inedito. Si tratta dell’esordio di Saramago, pubblicato a 24 anni nel 1947 quando, autodidatta e sotto la dittatura di Salazar, lavorava come impiegato in un ospedale di Lisbona. La vedova dello scrittore, fatale corrispondenza, riesuma La vedova affinché critici e lettori possano godere della totalità della sua produzione.
Il romanzo a suo tempo non ebbe nessuna eco. Deluso, con un temperamento alla Svevo, il futuro Nobel attese trent’anni per tornare alla narrativa in un Paese frattanto approdato alla democrazia. La vedova è un debutto che Saramago ha sempre ricusato, opponendosi in vita a una sua ripubblicazione. Eppure, contravvenendo alla sua volontà, risulta utile conoscere questo primo parto creativo, sebbene si aggiri nella sua bibliografia come un testo paradossalmente apocrifo. Sì, perché non c’è ancora l’impronta del suo stile (periodi protratti e dialoghi privi di virgolette che si fondono con il testo). Tuttavia certi temi sullo sfondo – che sembrano riecheggiare La casa di Bernarda Alba di García Lorca – sono già un parziale deposito di tutti i libri successivi: dal peso della fede alle ingiustizie sociali dentro la Storia.
Lo schema dei personaggi de La vedova è quello classico dei microcosmi rurali: un proprietario terriero, un fattore con i suoi contadini, servitù fedele e bigotta, medico e sacerdote alla stregua di figure carismatiche. Siamo nell’Alentejo, in quella regione sconfinata di campi a cui Saramago consacrerà l’epopea di Una terra chiamata Alentejo. La storia segue i tormenti esistenziali di un personaggio femminile. Dopo la morte prematura del marito Manuel Ribeiro, proprietario della tenuta La Quinta Seca, Maria Leonor, madre di due figli, resta vedova e cede alla prostrazione. Si ammala e mentre tenta di guarire da una polmonite si sente sopraffatta, non solo dalle nuove responsabilità che la attendono ma anche dal severo giudizio di Benedita, sua servitrice fedele, che pian piano si profila come lo specchio della sua coscienza inquieta. Quando Maria si rimette in sesto sconta un disagio duro da sciogliere: “Contemplava i figli, i contadini, tutta la gente che gravitava intorno alla Tenuta, come satelliti di un pianeta. Quando attraversava l’aia diretta al torchio e vedeva i domestici scappellarsi al suo passaggio era come se fosse tornata ai tempi biblici dei patriarchi”.
Saramago restituisce gli scenari agresti qua e là con un lirismo stonato ma in certi passaggi sa essere efficace nel ritratto d’ambiente: “Poi un colpo di vento proveniente dalla parte dell’abitato trasmise nell’aria uno scampanacciare di bestiame, i latrati dei cani e il brusio attutito delle voci delle donne che lavavano al fiume. Si udiva il rumore del bucato sbattuto sui sassi, con un suono chiaro che si ripercuoteva tra gli alberi”. Le giornate di Maria si susseguono scandite dall’abulia: “Le domestiche, sedute intorno al focolare, le gambe composte sotto le gonne, parlavano dell’umore della signora. Facendo la calza e srotolando in grembo il filo di cotone, parlottavano della vita noiosa della casa”. Ecco però che irrompe un tentativo di seduzione del cognato Antonio Ribeiro, subito intercettato e biasimato dalla domestica Benedita che, per anni vincolata a una cieca obbedienza, ora si accredita come “la custode della moralità della casa”.
Perché Maria Leonor si sente prigioniera del suo giudizio e reprime ogni slancio verso se stessa? Un passaggio ce lo chiarisce: “La morte del marito l’aveva bruscamente ridestata a una vita che ormai non era più la sua e, tremante di paura, sentiva che stava tornando al passato popolato di terrori e di ombre, a quel passato sterile e inutile che riteneva morto. E si dibatteva, cercando qualcosa a cui aggrapparsi, nell’ansia di una salvezza che la logorava”. Maria, sollecitata dalle avances del dottor Viegas, medita dunque di liberarsi dall’ipoteca del suo “doppio” Benedita risposandosi con il medico del villaggio. Ma ancora una volta la domestica, avvertito l’afrore di una stanza convertita in alcova, la costringe a una nuova esitazione. È un evento infausto che incombe alla fine del romanzo a sciogliere le tensioni e a riconciliare le due donne. La fedeltà di Maria al marito scomparso si sovrappone dunque alla fedeltà surrogata di Benedita. Entrambe, padrona e serva, sono vedove. L’una di un amore consumato, l’altra di un amore idealizzato.
A dodici anni dalla sua morte Saramago con La vedova ci riporta al cuore antico delle donne, eternamente in bilico tra desiderio e virtù.