il Fatto Quotidiano, 11 ottobre 2022
Intervista ad Alessandro Barbero
Pubblichiamo uno stralcio dell’intervista di Alessandro Di Battista allo storico Alessandro Barbero, quinto episodio della nuova serie podcast “Ostinati e contrari”.
È stato comunista, iscritto al Partito comunista quando c’era Berlinguer. Si definirebbe ancora comunista?
È una cosa che mi chiedo ogni tanto, perché in realtà ci sono due significati diversi di questa parola. Per gran parte della sua storia il comunismo è stato un progetto plausibile, poi concretamente realizzato in modi purtroppo largamente insoddisfacenti, se non criminali in tanti casi. Però è stato un grande progetto che generazioni e generazioni di esseri umani hanno portato avanti, credendoci. Era il futuro. In quel senso oggi mi sembra difficile essere comunisti. Magari rinascerà, ma in questo momento non vedo quella alternativa al capitalismo e al sistema unico. Non ne vedo neanche nessun’altra, beninteso, ma questa proprio non la vedo.
(…) In questo senso, non riesco in piena sincerità a dire sì, sono comunista. Se poi essere comunista vuol dire che comunque quel progetto, con tutti i suoi sbagli e con tutti i suoi crimini, fa vibrare dentro un’emozione positiva mentre il progetto fascista o nazista e anche il capitalismo totale e trionfante ti suscitano ripugnanza, ecco in quel senso so di stare da quella parte. Appartengo a quel mondo e a quella cultura. A me non succederà mai che una falce e martello o una stella rossa possano sembrare dei simboli del male.
Cosa pensa delle parole di papa Bergoglio sulla guerra in Ucraina e sulle responsabilità della Nato, e cosa pensa di papa Bergoglio?
Non ho la tendenza a dare giudizi sulle persone (…) Mi colpisce di più il fatto che in questo nostro Paese, con forti radici cattoliche, dove per tanto tempo qualunque cosa dicesse un Papa era l’apertura del telegiornale, con questo Papa che dice cose che possono dare fastidio non c’è nessuna apertura del telegiornale.
Viene quasi censurato…
Questo mi colpisce. Bergoglio, nel buttarsi nella mischia in questo momento specifico, mi sembra abbia dimostrato più coraggio di quello che mi sarei aspettato. Però ricordo che anche papa Wojtyla, che politicamente non ammiravo poiché per la sua ossessione anticomunista (comprensibilissima in un ecclesiastico polacco, però comunque un’ossessione) era stato portato ad avere frequentazioni e indulgenze molto criticabili, a suo tempo si oppose a guerre insensate. E anche lui, che di solito veniva sistematicamente ripreso, in quel caso lì non riuscì a combinare niente. Ecco, questa è la cosa più istruttiva, effettivamente.
Ero giovane, però ricordo che quando, anche giustamente dal suo punto di vista, Giovanni Paolo II si scagliava contro il comunismo aveva tutte le prime pagine dei giornali. Invece quando si scagliò contro l’intervento militare in Iraq subì una censura simile a quella che sta subendo Papa Bergoglio.
È così. E forse già allora avremmo dovuto prevedere quello che sta succedendo adesso e che invece ci stupisce così tanto. Dopodiché, ci rendiamo conto sempre più come vengano messe tranquillamente nel dimenticatoio le parole d’ordine tradizionali su cui si è costruito l’Occidente, cioè il pluralismo e la tolleranza delle opinioni diverse dalla propria, che sono poi le uniche cose al di là del benessere materiale che giustificano una supremazia dell’Occidente nel mondo. La tradizione della tolleranza del dire ‘non sono d’accordo, però sono pronto a combattere perché tu possa esprimere la tua opinione’.
Luciano Canfora ha detto: “Rivendico la possibilità di osservare e analizzare lucidamente i fatti. Da quando è caduta l’Urss, il metodo dell’Occidente è stato demolire tutto il blocco sovietico pezzo per pezzo, facendo avanzare minacciosamente il confine della Nato fin sotto Pietroburgo”. E ancora: “Nessuno è più intollerante dei liberali”. È d’accordo?
In questo momento è così. Per carità, l’intolleranza è una tentazione costante dell’umanità e dei regimi. Anzi, quando Voltaire parlava di tolleranza e per un po’ l’Occidente l’ha sposata come valore di fondo, stava facendo una cosa che non si era mai vista né sentita perché la normalità umana è sempre stata l’intolleranza. Da una parte e dall’altra. Sia gli uni sia gli altri pensavano: ‘Noi abbiamo ragione. Dio è con noi e quegli altri sono dei maledetti infedeli’. (…) Ci vuole un enorme lavoro di civilizzazione per farci abbandonare la nostra pulsione di base e costringerci a convivere con chi è diverso da noi, a discutere e accettare la diversità. E a quanto pare ci vuole pochissimo a dimenticare questi sforzi. Quindi sì, oggi i pochi Paesi che hanno nel loro Dna l’eredità liberale non sembrano così attenti a preservarla. Poi, beninteso, che gli altri Paesi del mondo questa eredità non ce l’abbiano neanche e non siano dei modelli di tolleranza e liberalismo non ci sono dubbi. Sia chiaro, però che noi critichiamo il “nostro” Occidente non perché ci piacciono di più i regimi dittatoriali, ma proprio perché l’Occidente è nostro, siamo noi e vogliamo che sia superiore.
Facciamo un gioco. È evidente che non vi sia nessuna epoca uguale a questa, però può esserci un periodo storico simile ai giorni che stiamo vivendo?
(…) Quando noi medievisti studiamo la fine del mondo antico, con le invasioni barbariche, siamo colpiti non solo dal collasso delle infrastrutture e delle tecnologie, di cui pure qualche piccolo sintomo oggi comincia a delinearsi, ma anche dal degradarsi della capacità di ragionare. Dal fatto che anche nel dibattito pubblico, nel dibattito intellettuale, a un certo punto diventa normale fare ragionamenti che non sono più ragionamenti, accostamenti arbitrari, fare parallelismi senza accorgersi che si sta ragionando meno bene di prima. La frequenza con cui assistiamo a questo fenomeno nel dibattito pubblico e nell’informazione, mi fa venire in mente un parallelo con il VII secolo, epoca in cui la capacità di ragionare in modo logico non era la cosa più apprezzata.