Il Messaggero, 11 ottobre 2022
Intervista a Blake Bailey
«Sì, sono il biografo letterario più boicottato di tutti i tempi». Firmato Blake Bailey, l’autore dell’unica biografia ufficiale di Philip Roth, lo scrittore americano più letto del Novecento, l’autore di capolavori come Il lamento di Portnoy, Pastorale americana e La macchia umana, scomparso nel 2018, a 85 anni. Accusato di essere misogino e misantropo, in queste pagine Roth rivela il proprio mondo emotivo, aprendo il baule dei ricordi e affrontando il rapporto con la scrittura, con un’unica, straordinaria avvertenza rivolta a Bailey: «Non voglio che mi riabiliti. Solo che mi rendi interessante». Un lavoro fianco a fianco cominciato nel 2012, un’impresa titanica per svelare il romanziere di Newark, parlando dei suoi matrimoni naufragati, del sesso e della mancata vittoria del Nobel, creando una biografia potente e ambiziosa che si legge come un romanzo. Ma la stella del 59enne Bailey si è offuscata di colpo nell’aprile del 2021. Accusato di molestie sessuali, l’editore W. W. Norton ha sospeso la promozione e nonostante il sostegno di diverse associazioni sulla libertà di stampa, ha ritirato le copie, ignorando i proclami di innocenza dell’autore. Solo mesi dopo la biografia è tornata disponibile negli Stati Uniti. In mezzo c’è stato un silenzio assordante. Philip Roth. La biografia arriva oggi sugli scaffali italiani (pubblicata da Einaudi e tradotta da Norman Gobetti) e con Il Messaggero, in esclusiva, Blake Bailey rompe il silenzio: «Se fosse vivo, Roth sarebbe solidale con me. Non è bello vedere la vita di un amico andare in pezzi».
Cosa si aspettava da lei Philip Roth?
«In realtà, credo sperasse in una riabilitazione. Inizialmente, il suo biografo era il suo migliore amico Ross Miller e si misero al lavoro perché nel 1996, nel memoir della sua seconda ex moglie, Claire Bloom, Leaving a Doll’s House, Roth veniva descritto come un misogino machiavellico. Ma con Miller le cose non funzionarono e subentrai io».
La conosceva?
«Sì, aveva letto il mio libro su John Cheever, sapeva che potevo essere piuttosto duro, o comunque obiettivo».
Che tipo di uomo era?
«Philip poteva essere caustico, e naturalmente non aveva un briciolo di monogamia in corpo, e questo scontentava alcune delle sue partner romantiche, specialmente le due che ritenne opportuno sposare, con esiti disastrosi. Intendiamoci, se Philip era di buon umore, era la migliore compagnia del mondo: uno degli uomini più divertenti mai esistiti. Era anche generoso».
La mancata vittoria del Nobel è stato un grande rammarico per Roth?
«Come scrivo nella biografia, Philip non si sarebbe comportato come Sartre e non avrebbe rifiutato il Nobel, anzi, credo che sarebbe stato felicissimo di vincerlo. Detto ciò, la mancata vittoria non fu per lui un tormento, e negli ultimi dieci anni della sua vita si era decisamente rassegnato».
Noi l’abbiamo intervistata per la pubblicazione americana della biografia, un grande lancio nazionale e poi il silenzio. Vuole raccontarci i fatti?
«Se voglio rivivere tutto quel terribile episodio? No. Ma i lettori possono cercarlo su Google molto facilmente. Basti dire che nego categoricamente le accuse più gravi».
Si parla molto di cancel culture. Lei è stato censurato?
«Credo di poter dire con certezza di essere il biografo letterario più boicottato di tutti i tempi, sì».
Dopo il ritiro delle copie, mesi dopo, è tornato in libreria con un altro editore in America. Con quali sentimenti?
«Una profonda gratitudine. Ero inorridito – insieme a PEN America (l’associazione che ha organizzato la lettura a New York, dopo l’aggressione a Salman Rushdie, ndr), alla National Association Against Censorship, alla Authors Guild – dalla decisione dell’editore W. W. Norton di interrompere la pubblicazione dell’edizione originale americana. Dopo tutto, la mia vita privata non ha nulla a che fare – zero – con la qualità del libro che ho scritto e le persone dovrebbero avere il diritto di leggere indipendentemente da ciò che pensano di sapere sull’autore. Per questo sono grato che Skyhorse, il mio nuovo editore americano, sia intervenuto e abbia ripubblicato la biografia».
Roth era davvero un demone del sesso ossessionato dalle donne?
«Bisogna definire il termine demone del sesso».
Ovvero?
«Philip aveva una libido attiva, soprattutto da giovane, ma amava la compagnia delle donne anche per diverse ragioni, non solo per l’attrazione sessuale».
Oggi Roth potrebbe scrivere libri così potenti ed espliciti come Il lamento di Portnoy? Ovvero, lo pubblicherebbero?
«Mi piace pensare che Portnoy sia un libro troppo divertente per essere vietato del tutto del resto, è stato incluso nella lista della Modern Library dei 100 migliori romanzi in lingua inglese del XX secolo».
Anche oggi, con questo clima culturale perbenista e un po’ bigotto?
«Da un lato, ciò che rendeva il libro così scioccante nel 1969 – la masturbazione – difficilmente sarebbe scioccante per i lettori di oggi, mentre il linguaggio usato per descrivere le donne, ad esempio, sarebbe molto più problematico oggi. Per usare un eufemismo».
Ma se Roth fosse ancora vivo, come commenterebbe tutta questa situazione intorno alla sua biografia?
«Credo che ne avrebbe riso e mi avrebbe detto che se lo aspettava. Sapeva di essere un parafulmine per le polemiche, soprattutto dopo il memoir di Claire Bloom. Ma il suo sentimento principale sarebbe stato di profonda solidarietà, credo. Ci piacevamo e non è mai bello vedere la vita di un amico andare in pezzi».