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 2022  ottobre 10 Lunedì calendario

MELONI 1, MELONI 2 – L’ANALISI DI GIOVANNI ORSINA: “LA LEADER DI FRATELLI D’ITALIA STA CERCANDO DI SCINDERSI IN DUE ENTITÀ DISTINTE. DA UNA PARTE IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SULLA SCIA DI MARIO DRAGHI. DALL’ALTRA PARTE LA LEADER DEI CONSERVATORI EUROPEI, CHE CONSERVA INTATTO L'ASSE COI PARTITI FRATELLI. CON ‘MELONI 1’ A BRUXELLES DOVRANNO LAVORARE. MA ‘MELONI 2’ NON PUÒ PROPRIO PIACERE ALLE ATTUALI LEADERSHIP DI FRANCIA E GERMANIA. ‘MELONI 2’, SE SI RADICALIZZA E ALLONTANA TROPPO DAL ‘POLITICAMENTE CORRETTO’ DI BRUXELLES, RISCHIA DI TRASCINARE A FONDO ‘MELONI 1’…” -

Malgrado il governo non sia ancora nato, la strategia europea di Giorgia Meloni comincia a delinearsi con una certa chiarezza. La leader di Fratelli d'Italia, in buona sostanza, sta cercando di scindersi in due entità distinte.

Da una parte il Presidente del Consiglio italiano, che nel nome della tutela dell'interesse nazionale si mette sulla scia di Mario Draghi e si dice disponibile a partecipare fino in fondo al gioco europeo trattando con tutti i Paesi, a cominciare ovviamente dai più rilevanti, Francia e Germania («Meloni 1»).

Dall'altra parte la leader dei conservatori europei, che conserva intatto l'asse coi partiti fratelli, dagli spagnoli di Vox ai polacchi di Diritto e Giustizia - si veda il suo intervento di ieri in collegamento con la Spagna -, con l'obiettivo di accrescere il peso della propria famiglia politica e spostare verso destra gli equilibri politici continentali («Meloni 2»).

Con «Meloni 1» a Bruxelles dovranno lavorare. Ma «Meloni 2» non può proprio piacere alle attuali leadership di Francia e Germania, espresse da famiglie politiche di centro e sinistra e interessate a conservare le rispettive destre - Rassemblement National e Alternative für Deutschland - al di fuori del perimetro della legittimità.

Si spiega così, alla luce della «Meloni 2», il recente intervento del segretario di Stato francese per l'Europa Laurence Boone sull'intenzione della Francia di vigilare sul rispetto dei diritti in Italia. Intervento che per altro - a dimostrazione del fatto che non s' è trattato di un'uscita estemporanea - ha ripreso nella sostanza una dichiarazione analoga del primo ministro d'oltralpe, Élisabeth Borne, pronunciata all'indomani delle elezioni.

Per entrare nell'Unione Europea e restarci occorre rispettare regole e condizioni: è un dato di fatto ovvio e ragionevole. Quel che sul piano astratto appare pacifico, tuttavia, lo diventa molto meno non appena si scende nel mondo reale, là dove il problema dell'estensione di quelle regole e della loro interpretazione si pone in concreto.

L'Unione ha cercato, per quanto possibile, di affrontare e risolvere la questione sul terreno del diritto e delle procedure - ma il nodo è altamente politico, e può essere sterilizzato soltanto fino a un certo punto. Tanto più che in questi ultimi anni la politica si è profondamente divisa proprio sulla definizione ed estensione dei diritti individuali fondamentali - in relazione alle questioni riproduttive e di genere, ad esempio, ma anche a rifugiati e migranti.

Quali siano i princìpi non negoziabili del club del Vecchio Continente, insomma, e chi sia intitolato a certificarne e punirne la violazione, sono domande che inevitabilmente troveranno risposte differenti a seconda dei rapporti di forza fra i Paesi membri del club e le famiglie politiche che li abitano.

Il fatto che in Europa i meccanismi di legittimazione democratica, malgrado gli sforzi compiuti per trasferirli sul piano continentale, siano rimasti incardinati sugli Stati nazionali complica ulteriormente la questione. Perché ha accresciuto la possibilità che le scelte politiche di un singolo Paese, democraticamente legittimate, entrino in conflitto con i princìpi non negoziabili dell'Unione definiti alla luce di equilibri politici diversi da quelli di quel Paese.

Ma siccome la democrazia è una delle condizioni dell'Unione, e non certo delle ultime, quel conflitto finisce per far emergere la presenza di una contraddizione strutturale - non irrisolvibile ma di fatto irrisolta - della costruzione europea. Il voto in favore dell'Ungheria dato dai sovranisti al Parlamento di Strasburgo esprime anche quella contraddizione.

Che non hanno né creato né inventato i sovranisti, tuttavia: non per caso, l'Unione sta tribolando da anni col caso Orbán e non ne è ancora venuta a capo.

È dall'interno di questo ginepraio - difficile chiamarlo altrimenti - che escono le affermazioni di Élisabeth Borne e Laurence Boone. L'intento è insomma quello di arrogarsi la facoltà politica di disegnare il perimetro della legittimità europea, il diritto di stabilire quali siano i princìpi non negoziabili e di decidere chi li stia violando, a partire da una posizione politicamente centrale nel continente come quella occupata da Emmanuel Macron col suo gruppo Renew Europe e facendo leva sul peso storico e geopolitico della Francia. E il bersaglio è «Meloni 2»: il tentativo di affermare la piena legittimità del conservatorismo su scala europea e di spostare a destra gli equilibri politici continentali.

«Meloni 1» rappresenta il limite principale di quest' operazione di delegittimazione di «Meloni 2». Da un duplice punto di vista. Teorico, innanzitutto, perché il prossimo Presidente del Consiglio italiano godrà di una robusta legittimazione elettorale, la più solida dal 2011 a oggi, e attaccarlo lascia emergere in piena luce la contraddizione interna alla costruzione europea della quale si diceva prima.

Non è un caso se, con un'antinomia evidente, entrambe le esponenti del governo francese, nel momento stesso in cui si dicevano pronte a vigilare sull'Italia, si sono anche dovute dichiarare rispettose delle scelte degli elettori italiani.

Ma soprattutto da un punto di vista pratico, perché, così come «Meloni 1» non potrà che partecipare al gioco europeo, a cominciare dall'interlocuzione con Francia e Germania, allo stesso modo i partner dell'Unione dovranno trattare con la massima autorità politica italiana. Attenzione, però, il meccanismo vale pure in senso contrario.

Così come «Meloni 1», il Presidente del Consiglio di un Paese fondatore dell'Unione Europea, dotato di una robusta legittimazione democratica, protegge «Meloni 2», avversa all'establishment politico continentale e desiderosa di modificarlo, allo stesso modo «Meloni 2», se si radicalizza e allontana troppo dal «politicamente corretto» di Bruxelles, rischia di trascinare a fondo «Meloni 1». La vera sfida per la leader di Fratelli d'Italia sarà trovare l'equilibrio fra i suoi due avatar.