Corriere della Sera, 10 ottobre 2022
Chef divisi sulla pasta a fuoco spento
«Indefinita. La pasta cucinata a fuoco spento non è cotta, né cruda: semplicemente indefinita. In quanto tale un attentato al gusto. E che uno scienziato, fosse anche il Nobel per la Fisica al quale va tutto il mio rispetto, suggerisca un compromesso su un rito gastronomico, è quantomeno fuori luogo».
Classe 1956, chef, imprenditore e albergatore, Antonello Colonna, una stella Michelin al ristorante dell’omonimo «Resort & Spa» di Labico, Roma, boccia senza riserve la teoria di Giorgio Parisi che, lo scorso settembre, affidò ai social un endorsement in piena regola nei confronti della cottura passiva del primo piatto italiano per antonomasia. Obiettivo: limitare i consumi per contrastare gli effetti della crisi energetica. Stando al post dello scienziato – sostenuto da un altrettanto illustre collega, il chimico Dario Bressanini – «dopo avere portato l’acqua a ebollizione si butta la pasta e si aspetta un paio di minuti. Quindi si può tranquillamente spegnere il fornello: è sufficiente utilizzare un coperchio – da tenere sempre, il calore si perde moltissimo per effetto dell’evaporazione – e calcolare all’incirca un minuto in più». In questo modo si risparmierebbero 8 minuti di gas. «Credo che sia una notizia da divulgare». Non c’è stato bisogno: la teoria ha fatto il giro del mondo da sé. E creato una netta spaccatura tra sostenitori e contrari.
A fare da eco ad Antonello Colonna, che per economizzare preservando consistenza e sapore suggerisce di «preferire la pasta fresca, con un tempo di cottura variabile da uno a tre minuti a seconda della grandezza dei formati, dello spessore e della qualità del grano», è Gennaro Esposito, due stelle Michelin alla «Torre del Saracino» di Vico Equense, Napoli: «Possiamo ridurre le spese in mille modi – spiega – ad esempio indossando un maglione in più e abbassando il riscaldamento in casa, ora che ci si avvia alla stagione fredda. Ma cucinare un piatto di pasta è una liturgia: maccheroni, paccheri, bucatini & co. si reidratano quando calati in acqua bollente e lì tenuti per tutto il tempo necessario. Gli “spaghetti alla Parisi” non possono che risultare ammollati».
Diversa la posizione di Luciano Monosilio, chef una stella Michelin celebre per avere sdoganato la carbonara nell’alta ristorazione. Per lui «nessuna controindicazione alla cottura passiva». Secondo uno studio promosso dai pastai di Unione Italiana Food, spegnere il fuoco dopo i primi due minuti di cottura, lasciando il coperchio così da non disperdere il calore, consente un risparmio energetico fino al 47%. «La resa può risultare un filo gommosa, ma se la materia prima è eccellente il rischio svanisce».
Convintissimo sostenitore del teorico dei buchi neri è Davide Oldani, due stelle Michelin al «D’O» di Cornaredo, Milano, e macaron verde per la sostenibilità. «Conosco la cottura passiva da anni: me l’ha insegnata mia mamma. Da sdoganare, anche con il supporto della tecnologia. In tal senso la vera svolta può essere il passive cooker. Si tratta di un timer con sensore di temperatura che avverte, tramite smartphone, quando buttare la pasta, spegnere il fuoco e scolarla, come da metodo Parisi. Il quale potrebbe apprezzare pure la pratica della tostatura. E cioè faccio tostare la pasta a crudo affinché esca tutto il carattere del grano, aggiungo acqua poco alla volta – solo quella che serve come si fa con il riso – spengo, lascio riposare. L’amido imprigionato nella pasta lega con i condimenti che hanno bisogno di meno grassi aggiunti. Un altro modo di promuovere la rivoluzione ecologica in cucina».