il Fatto Quotidiano, 10 ottobre 2022
Biografia di uno stronzo. Ovvero la vita di Axl Rose
Uno stronzo megalomane. E un attaccabrighe dal record di arresti più corposo di Lucky Luciano, ma con capi d’imputazione ridicoli, alla Braccio di Ferro. Risse, sbotti d’ira, cazzotti al primo malcapitato. Quel che è peggio, Axl è una rockstar spesso inaffidabile, visti i leggendari ritardi prima di salire sul palco, roba da mandare al manicomio manager e pubblico. Eppure, senza di lui la storia del rock sarebbe un libro più arido. Non solo perché gli albi d’oro dei frontmen lo hanno piazzato in vetta, meglio di Robert Plant e Freddie Mercury, ma anche per la narrazione che offre il suo personaggio, agli agiografi come ai detrattori. Solo la sua infanzia vale una dark novel da far accapponare la pelle. La psiche di Axl è una trottola impazzita, ma ha dei motivi per non sapersi fermare in cerca di equilibri.
Era un frugoletto di due anni a Lafayette, Indiana, quando il suo padre naturale – con cui avrebbe condiviso nome e cognome, William Rose – lo abbandonò a sua madre e poi lo rapì. Per violentarlo. Nel frattempo mamma Sharon, in cerca di protezione, era finita nelle mani sbagliate. Il nuovo marito, il reverendo pentecostale Stephen Bailey, era solito picchiare tutti in famiglia. Moglie, figlia e soprattutto William jr., imputandogli i peccati di guardare troppo le ragazzine e di ascoltare la musica del diavolo. Mentre faceva il surf emozionale nell’incubo domestico, il futuro “Axl” ignorava che Bailey non fosse il genitore biologico. Lo scoprì casualmente a 17 anni, il mondo gli cadde addosso. Però le botte ricevute non bastavano a giustificare la sua angoscia ipercinetica. Doveva esserci dell’altro. Con l’ipnosi regressiva riaffiorarono le violenze sessuali imposte dall’uomo che gli aveva concesso di vivere. Scappare era l’unica soluzione. Via da quel buco di culo di provincia, direzione Los Angeles, il forno ribollente della mitologia industriale hard rock. Lì comincia un’altra vita: la racconta, con passione documentata, Ken Paisli nella biografia Axl (Il Castello), che tiene conto anche dei più recenti colpi di scena nella vicenda a singhiozzo dei Guns N’Roses dopo la clamorosa reunion del 2016 della band (quasi) originaria. I GN’R di Axl e dell’altro leader Slash. Quelli che agli esordi, sconosciuti e senza un dollaro in tasca, scroccavano passaggi da camionisti strafatti, al volante per giorni senza dormire. E quelli dei jet privati, mattatori assoluti della metallurgia anni Novanta, quando riempivano gli stadi e a volte, come a Donington, ci scappavano i morti tra i fans: e se ci metteva lo zampino il maltempo, l’isteria di chi premeva contro le transenne metteva l’ultimo tassello alla disgrazia. La voce di carta vetrata di Axl scrostava le anime di chi lo idolatrava, ne riportava alla luce la fame per la distruzione e le illusioni da usare, come suggerivano i titoli dei dischi dei GN’R. Ogni cosa sembrava possibile, allora. O quasi. Se tutti approvavano ridendo la trovata di mettere nella registrazione di Rocket Queen l’orgasmo di una non-fidanzata che in studio stava facendo sesso con Axl, l’establishment faticò a perdonare il testo di One in a million. Axl attaccava “negri” e “checche”: spiegò che si trattava della realtà in certi quartieri malfamati di L.A. dove alcuni cercano di fregarti perché sei il pollo da spennare arrivato dallo sprofondo campagnolo, e altri tentano di buttartelo in quel posto. Canzone scomoda, trent’anni fa: neanche i suoi compagni ne erano contenti, marchiò la band come fascista o quasi. Oggi sarebbe impossibile pubblicarla, in nome del politically correct: ma nel brodo di cultura hard rock, a guardarlo bene, trovi sempre germi disturbanti. Prendere o lasciare. Omofobia, razzismo, misoginia, nichilismo. La droga? Axl e gli altri sono sempre stati nella top ten dei Prossimi Morti Famosi. Le ragazze? Bambole da scopare, finché non trovi quella che ti frega. Mr. Rose si è innamorato giusto un paio di volte. Erin Everly, che minacciava di morte, proponendole pure l’omicidio-suicidio. E la supermodella Stephanie Seymour (coprotagonista del video di November rain), vittima di sanguinose liti con il compagno rocker, al quale il disturbo di bipolarità è stato diagnosticato tardi, a 26 anni.
Oggi Axl è un sessantenne sorprendemente vivo: anzi, è diventato puntuale ai concerti, di nuovo al fianco di Slash (che aveva avviato trattative di pace notturne nel 2015) dopo la clamorosa separazione dei primi GN’R nel ‘96. Axl aveva tentato di mantenere il marchio con altri musicisti, ma non era andata alla grandissima: né live né con gli album, visto che per far uscire il deludente Chinese Democracy c’erano voluti ben 17 anni di attese e rimandi. Così, dopo aver quasi fatto a botte con Bowie, Cobain e Jagger per questioni di ego, donne e rispetto, Axl Rose è ancora in giro. C’è tempo per bussare alla porta del paradiso. O dell’inferno.