il Fatto Quotidiano, 10 ottobre 2022
Gas, i tre inverni difficili. Il report Usa
L’Europa deve prepararsi ad almeno tre inverni difficili senza il gas russo. I termostati andranno tenuti a 17-18 gradi per tenere i consumi sotto controllo, mentre si pagherà ancora di più per aumentare la quota di mercato di gas naturale liquido. Lo scenario immediato della crisi energetica europea alimentata dalla guerra in Ucraina emerge da uno studio dell’industria americana dell’Oil&Gas che ha voluto provare a rispondere alla domanda se sarà possibile per l’Europa sostituire completamente il gas russo entro il 2030. La breve conclusione di oltre 100 pagine di tabelle e grafici è che una diversificazione e un ri-bilanciamento del mercato ci saranno, ma non prima del 2027, e solo con nuove infrastrutture e contratti a lungo termine.
Senza gas russo, nel breve termine “le opzioni sono limitate”, dice al Fatto Quotidiano il team di ricercatori di Rystad Energy, che ha realizzato la ricerca con il contributo dell’American Petroleum Institute e della International Association for Oil & Gas Producers (Iogp). Nell’immediato, sarà difficile evitare un “gap” nelle forniture tra il 2023 e il 2025 se si escludono interamente il gas russo e altre fonti troppo care. Gli studiosi stimano un ammanco del 19% nel 2023 se il maxi-giacimento di Groningen in Olanda sarà chiuso e del 12% se sarà in funzione. Ma questo dipenderà dalle decisioni del governo olandese, preoccupato dai terremoti causati dall’estrazione di metano.
In uno scenario dove il gas russo mancasse, la domanda non calasse e le importazioni non aumentassero, sarebbe impossibile per l’Europa garantire a ottobre l’80% di stoccaggi di gas e rispettare l’obiettivo del 90% nel 2023. Nel lungo termine, ci sarà un ribilanciamento e la domanda scenderà, con un ritorno a livelli pre-Covid entro il 2027, aggiungono gli studiosi: le lobby del gas sono convinte che il metano proveniente da Nord America e Medio Oriente sostituirà la gran parte del gas russo.
Lo studio attribuisce un peso anche alla produzione domestica nel mare del Nord, con in testa la Norvegia come principale fornitore europeo. La produzione norvegese resterà ai massimi livelli per tutto il decennio intorno ai 100 miliardi di metri cubi (bcm), dicono i ricercatori.
Le importazioni alternative alla Russia provenienti da Norvegia, Azerbaijan e Algeria coprono solo il 10% delle forniture totali all’Europa. L’Algeria potrebbe spedire più gas in Spagna se ne riutilizzasse di meno per stimolare la produzione, dice lo studio. L’Azerbaijan potrebbe esportare di più attraverso il gasdotto transanatolico Tanap, ma costerebbe troppo nel lungo termine rispetto al gnl americano.
Le stime dello studio non tengono conto delle ultime novità nel risiko del gas, con la Grecia e la Bulgaria che la settimana scorsa hanno attivato il loro gasdotto per trasportare il gas azero. Si aggiunge l’inaugurazione negli stessi giorni del Baltic Pipe, che ha iniziato a trasportare gas dal mare del Nord verso la Polonia attraverso la Danimarca.
Secondo Rystad, però, sarà il gas naturale liquido a coprire il 75% della domanda europea entro i prossimi 10 anni. Si tratta di un incremento del 150% rispetto al 2021: per sostituire il gas russo, si stima un aumento della produzione di Gnl fino al 12% entro il 2039. “Il gas liquido è cruciale per le forniture di gas all’Europa, quindi ci aspettiamo importazioni elevate sia nel breve che nel lungo termine”, dicono gli analisti, con gli Usa a fare la parte del leone.
Per ora dal Golfo del Messico si continua a esportare tutto il gas possibile. Basta recarsi nella lunga striscia di terra che collega il Texas alla Louisiana per vedere navi partire verso l’Europa o l’Asia. Nonostante le preoccupazioni per il caro energia, la Casa Bianca ha confermato l’impegno annunciato a marzo di fornire altro gas all’Europa: “Siamo in contatto ogni giorno coi nostri alleati europei. Fa parte della nostra collaborazione, ad esempio, per raddoppiare la quota di gas naturale Usa diretto in Europa dall’inizio di quest’anno”, ha detto giovedi scorso Brian Deese, direttore del National Economic Council della Casa Bianca.
La conferma avviene nonostante la Casa Bianca non abbia escluso di poter limitare l’export di petrolio in risposta alla decisione dell’Opec+ di tagliare la produzione di 2 milioni di barili al giorno, il 2% della fornitura globale. La decisione viene vista a Washington come un favore dell’Arabia Saudita a Mosca per sostenere i prezzi.
Tutti le ipotesi
tengono comunque ferma una riduzione dei consumi entro il 2040. Allo stesso tempo, l’Europa dovrà rigassificare di più, compresa l’Italia ovviamente che – grazie alle due navi rigassificatrici di Snam – dovrebbe aumentare la sua capacità di circa 10 miliardi di metri cubi all’anno, arrivando a 25 bcm totali nei prossimi anni, secondo Rystad. Sul fronte dell’impatto sul clima, lo studio ritiene che un ribilanciamento del mercato non sarà di ostacolo al raggiungimento degli obiettivi europei di decarbonizzazione, ma ovviamente questo dipenderà anche dalle scelte dei governo. Il tutto avviene mentre l’Ue resta divisa sul tetto al prezzo del gas e prende tempo sull’idea gradita anche all’Italia di una risposta solidale alla crisi energetica emettendo debito comune. Dagli Usa, l’appello è ad agire subito anche con contratti di lungo termine: la verità è che ne hanno bisogno anche i giganti del gas americani per costruire e ampliare i terminal di esportazione, ormai arrivati al limite di capacità.